Nel redde rationem su Generali a perdere è Mediobanca

L’alleggerimento del patto di sindacato

Nel giorno del redde rationem sugli ex vertici di Generali Giovanni Perissinotto e Raffaele Agrusti, il principale azionista della compagnia triestina, Mediobanca, ha reso noti i conti del semestre chiuso il 31 dicembre. A giudicare dal calo del margine d’intermediazione, in contrazione da 916 a 875 milioni di euro, l’istituto guidato da Alberto Nagel è in mezzo al guado. L’abbandono del modus operandi da holding rispetto alla forma da banca commerciale sta dando riscontri immediati, come dimostra l’utile che sfiora i 305 milioni rispetto ai 124 milioni del dicembre 2012. Alleggerire la propria presenza in Rcs, liberarsi di Telco, scatola che detiene la maggioranza di Telecom Italia, di Gemina, che gestisce gli aeroporti di Roma, e dei grandi magazzini Saks – venduti assieme all’ex consigliere Diego Della Valle a Hudson Bay la scorsa estate – ha portato una plusvalenza da 150 milioni, ma non è replicabile.

Esclusi i benefici dello sfoltimento della giungla di partecipate, Mediobanca fatica a calzare i panni della banca commerciale. Il momento non è facile, come dimostrano le rettifiche sui crediti che «raddoppiano da 46,5 a 84,9 milioni per effetto di cessioni e del rafforzamento del coverage ratios sulle deteriorate (dal 39% al 42%)» – si legge nella nota stampa – che evidenzia come «i finanziamenti alle imprese, escludendo quelli alle controllate, flettono da 15,5 a 14,4 miliardi per effetto di rimborsi per circa 1 miliardo, generalmente rifinanziati sui mercati obbligazionari». E in effetti nel mix delle fonti di finanziamento aumentano le obbligazioni da 25,9 miliardi di giugno 2013 ai a 26,8 miliardi di dicembre, ma soprattutto la raccolta retail sale da 11,9 a 13,3 miliardi (+12%).

Il merito è sostanzialmente di CheBanca!, meno dispendiosa da gestire in virtù del calo dell’interesse sui conti deposito dal 3,5 al 2,2 per cento. D’altronde il rischio Italia, a guardare lo spread, non sembra più preoccupante, anche se negli ultimi sei mesi i Btp in portafoglio sono scesi di un miliardo a 6,7 miliardi, mentre gli strumenti liquidi sono raddoppiati a 7,8 miliardi. Scelta prudenziale che non ha pagato, come dimostrano i ricavi del segmento dedicato all’attività d’investimento, che scendono del 32% su dicembre 2012 a quota 272 milioni. Meno male che c’è il credito al consumo di Compass, con margini in crescita del 13% a 306 milioni di euro.

Un’altra fonte di reddito definita «interessante» da Nagel in conference call è la creazione di una bad bank gestita da Mediobanca in cui conferire i crediti deteriorati degli istituti di medie dimensioni: «Ci stiamo lavorando, dobbiamo vedere se è tecnicamente fattibile. Nei prossimi due mesi avremo migliori indicazioni», ha detto il top manager, sottolineando che le difficoltà maggiori stanno nell’haircut delle esposizioni e nella copertura imposta dalle autorità di vigilanza.

Il cambiamento di cultura aziendale dietro all’ambizioso piano industriale messo nero su bianco dal management lo scorso ottobre e accelerato dall’arrivo dell’ex Barclays Stefano Marsaglia a capo dell’investment banking non si costruisce dall’oggi al domani. Guardando a Piazza Affari, oggi Piazzetta Cuccia capitalizza 6,3 miliardi, più di Ubi Banca, ferma a 5,3. Eppure, tolta Generali, si avvicina al Banco Popolare, le cui azioni valgono complessivamente 2,5 miliardi. Sebbene è prevista la discesa dal 13 al 10% del Leone, l’ala protettiva della compagnia assicurativa è vitale per gestire produttivamente la transizione.

Non è detto che ciò accada. Il consiglio d’amministrazione di Generali, iscritta da Mediobanca a bilancio a 2,5 miliardi di euro quando alla chiusura del 19 febbraio vale 3,38 miliardi, ha deciso di dare mandato all’ad Mario Greco «di avviare immediatamente le idonee azioni risarcitorie e di responsabilità in sede giuslavoristica nei confronti sia di Giovanni Perissinotto, sia di Raffaele Agrusti» in merito alla lunga serie di investimenti in conflitto d’interesse con i propri azionisti forti di cui Mediobanca non poteva non essere a conoscenza. Uno showdown che coinvolge la rinegoziazione delle buone uscite dei due ex manager dal tempismo infelice, visto che la stessa governance dell’istituto sta cambiando.

Il patto di sindacato ha infatti autorizzato il finanziere bretone Vincent Bolloré a salire dal 6 all’8% e ha contestualmente abbassato la soglia di decadenza dal 30,05% al 25 per cento. Troppo poco per leggere un indizio del suo prossimo scioglimento, anche se l’appello del governatore di Bankitalia Ignazio Visco sulla necessità di «decisi miglioramenti nella governance» degli istituti di credito non è passato inosservato dalle parti di Piazzetta Cuccia. Si tratta pur sempre di rendere contendibile la terza compagnia assicurativa europea, l’unica multinazionale italiana non controllata dallo Stato.     

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