Adesso arriva il difficile per Matteo Renzi: formare un governo che si preannuncia già debole, accontentando le varie correnti e correntine dei partiti, dal Pd fino ai dissidenti di Sel, che lo sosterranno in Parlamento. Dopo la caduta di Enrico Letta, in via del Nazareno c’è già chi parla di «manuale Cencelli fiorentino» in perfetto stile democristiano, per soddisfare la sete anche dei più piccoli partiti. Il segretario del Partito democratico ci lavorerà ancora per qualche giorno. Dopo tutto ci sono due passaggi istituzionali da superare: come il presidente della Repubblica accoglierà le dimissioni di Letta, atteso in mattinata al Colle, e come Renzi otterrà l’incarico. Già oggi pomeriggio il Colle potrebbe incominciare le consultazioni. Non sono previsti passaggi parlamentari, anche se Forza Italia e il Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo invocano una «sfiducia formale» alle camere sulla sfiducia. Napolitano dovrebbe tirare dritto come un treno. E quindi già lunedì – al massimo a metà della prossima settimana – Renzi potrebbe ricevere l’incarico di formare un nuovo esecutivo e chiedere la fiducia.
La composizione della nuova squadra di Palazzo Chigi non è facile. «Più che un governo Leopolda», scherza qualcuno, qui «si rischia un governo da Prima Repubblica». La corsa alle autocandidature è cominciata ormai da una settimana. Circolano i nomi più disparati. Renzi rivendica di voler fare di testa sua. Annuncia sorprese, novità, quote rosa, ma potrebbe presto scontrarsi con la dura realtà dei partiti che lo sostengono. Del resto, Angelino Alfano, segretario di Nuovo Centrodestra, ha chiesto chiaro e tondo che quello di Renzi non sia un «governo di centrosinistra». Tradotto: non dimenticavi di noi. Eppure, da quel che filtra, Ncd potrebbe perdere diversi ministeri importanti. A cominciare dalle Infrastrutture, dove Maurizio Lupi dovrebbe cedere il passo. Gli spifferi dicono che il ministero potrebbe essere spacchettato in due, con la nascita di una nuova delega ai Trasporti: in lizza per una delle due cariche il sindaco di Bari Michele Emiliano. D’altra parte il governo ha come obiettivo di durare fino al 2018, quindi potrebbe avere anche più ministeri dell’ultimo di Enrico Letta. Di sicuro Mario Mauro “scenderà” dalla Difesa, dove potrebbe arrivare quel Marco Minniti, sottosegretario ai servizi segreti, ex uomo di Massimo D’Alema, che in molti danno anche agli Interni.
A quanto pare anche Scelta Civica avrà una sua rappresentanza. Andrea Romano, il capogruppo del partito di Mario Monti, potrebbe essere viceministro dell’Economia. Si aggiunga che nei prossimi giorni poi si dovrà capire in che modo Sinistra e Libertà di Nichi Vendola possa far parte del governo. Il punto è cruciale, perché il presidente della Regione Puglia non vuole far parte di un governo insieme con Alfano. E viceversa. Si continua a trattare. Poi ci saranno da soddisfare anche i grillini dissidenti che dovrebbero appoggiare Renzi. Insomma troppa carne sul fuoco che rischia di bruciarsi. Assicurate le forze minori, quindi, il segretario del Pd dovrà occuparsi del suo partito. Il clima dopo la direzione al Nazareno è incandescente. In più adesso c’è una variabile impazzita, chiamata Enrico Letta, che dovrà essere decifrata nelle prossime settimane.
Renzi, che non ha ancora chiarito se manterrà l’incarico di segretario, ha offerto al premier uscente un posto nell’esecutivo, dalla Farnesina fino al ministero dell’Economia, come annunciato da Linkiesta lunedì scorso, anche se nel Pd l’ipotesi è stata smentita. «La ferita brucia ancora» spiegano esponenti della minoranza, che non sanno a questo punto come si comporterà Letta rispetto a Renzi e al partito. Sarà anche per questo motivo che diversi renziani di ferro dati in corsa per il governo vengono riposizionati in queste ore da molti nella segreteria. Maria Elena Boschi è in corsa per diversi incarichi. Ma a quanto pare dovrebbe diventare sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Lorenzo Guerini invece si avvia verso la Funzione Pubblica, così come Matteo Richetti è in pole per gli Affari Regionali. Graziano Delrio dovrebbe spostarsi al ministero dell’Interno. Ma Luca Lotti – che fino a qualche giorno fa era nella lista del totoministri – ora sembra destinato a presidiare le retrovie del Nazareno.
Ancora più difficile sarà soddisfare le richieste della minoranza del Pd. Dario Franceschini otterrà un incarico di peso: per lui si parla del ministero degli Esteri o della Giustizia. Gianni Cuperlo dovrebbe diventare ministro ai Beni Culturali. Alessandro Baricco, scrittore, sarebbe stato accantonato: su di lui peserebbe il conflitto d’interesse con la Scuola Holden che riceve finanziamenti pubblici. Stefano Fassina, ex viceministro, fino a poche settimane fa molto critico nei confronti di Renzi, è dato in pole position per il ministero del Lavoro, posto che potrebbe essere ricoperto anche da Guglielmo Epifani. Infine dovrebbero essere soddisfatti anche i prodiani: Sandro Gozi è dato vicino all’incarico di ministro degli Esteri. Alle Riforme dovrebbe andare invece il professore Roberto D’Alimonte, padre dell’Italicum. Suggestivo lo scenario al ministero dello Sviluppo Economico. Il quotidiano online Il Progressista ha lanciato il nome dell’ex ad di Fastweb, Silvio Scaglia, passato alla storia come un emblema degli errori della magistratura italiana: banda larga e modernizzazione del sistema telematico del Paese potrebbero essere i suoi obiettivi da qui al 2018. Ma su questo ministero circolano pure i nomi di Vittorio Colao, amministratore delegato di Vodafone e Paolo Gentiloni.
Il nodo vero è l’Economia. Il palazzo di via XX settembre è il più ambito. E da esso passeranno tutte le decisioni di carattere economico del nostro Paese, come i rapporti con la Germania in Europa. È evidente, quindi, che ci vorrà un po’ di tempo per sbrogliare la matassa. I nomi in lizza sono due: Lucrezia Reichlin e Lorenzo Bini Smaghi. La prima è stimata a livello internazionale, in corsa per un posto alla Banca d’Inghilterra. Il secondo è cugino di Jacopo Mazzei presidente della Cassa di Risparmio, grande sponsor fiorentino del rottamatore. Molto dipenderà da quello che deciderà Napolitano e soprattutto il presidente della Bce Mario Draghi. Ma sulla sfondo c’è chi scommette pure sul Commissario straordinario per la spending review Carlo Cottarelli, il tecnico venuto dal Fondo Monetario.