Antonio Di Pietro rischia di riporre anche la toga da avvocato. Dopo aver abbandonato la magistratura, essere stato fatto fuori dal Parlamento a colpi di inchieste sulla gestione dell’Italia dei Valori, ormai ai margini della politica nazionale, il Tonino nazionale aveva incominciato la settimana scorsa la sua battaglia per la verità nel processo sulla compravendita dei senatori per far cadere il governo Prodi. Aveva ripreso la toga, lo smalto di sempre, le battute, la gioia delle telecamere e delle interviste. L’Idv si è costituita parte civile nel procedimento che vede Silvio Berlusconi indagato per finanziamento illecito e corruzione. E Di Pietro è il legale del partito.
La «spettacolarizzazione» del processo, però, non piace ai magistrati Henry John Woodcock e Enzo Piscitelli. Troppe telecamere, troppo caos in un aula che deve già affrontare lo «spettro» del Cavaliere. Così, durante l’ultima udienza, quando si è cominciato a discutere della costituzione di parte civile del Senato (dopo la decisione del presidente Pietro Grasso, ndr), di quella dell’Idv e di Forza Italia (per responsabilità civile, ndr), a prendere la parola è stato proprio Woodcock. «I partiti – ha detto il magistrato nato in Inghilterra – devono rimanere fuori da quest’aula, a noi interessa solo stabilire se il mercimonio dei voti in parlamento sia un fatto penalmente rilevante. Ogni minuto perso per far parlare persone delegittimate è tempo perso per scoprire la verità». In pratica secondo l’accusa l’unica parte civile ammessa sarebbe quella di Palazzo Madama. Mentre i legali del Cavaliere ritengono che non possa costituirsi neppure il Senato.
Di Pietro – che sta sfruttando il processo dal punto di vista mediatico per rifarsi una verginità anche in vista delle prossime elezioni europee – non l’ha presa bene. «Siamo stati danneggiati. De Gregorio e Berlusconi ci hanno impedito di esprimerci come partito». Ora la palla è nelle mani del tribunale. Durante la prossima udienza, il 26 febbraio, si deciderà pure sulla lista dei testi ammessi, tra questi figurano lo stesso ex premier Romano Prodi, l’ex capogruppo al Senato dei democratici Anna Finocchiaro, persino il presidente di Panama Ricardo Martinelli. Teste potrebbe essere poi lo stesso Antonio Di Pietro. Del resto, un punto mai risolto dell’inchiesta sulla compravendita dei senatori è quello della famosa cassetta (o nastro) che l’ex pm di Tangentopoli sostiene di aver perso ma dove ci sarebbe una prova del tentativo di corruzione da parte di De Gregorio di un senatore dell’Italia dei Valori. In quella registrazione ci sarebbe appunto il tentativo di comprarsi l’onorevole Giuseppe Caforio. La proposta sarebbe stata 1,5-2 milioni subito e altri 3 negli anni a venire. A distanza di quasi sette anni, però, era il marzo del 2007, di quella storia continua a non rimanere traccia.
Di Pietro sostiene di averla passata al suo collaboratore Salvatore Scaletta, capitano della Finanza ora di stanza a Kuala Lumpur, in Malesia. Il Fatto Quotidiano ha ricostruito la vicenda l’anno scorso, e di novità a oggi non ce ne sono state. Tutto è fermo. Alla procura di Roma non risulta alcun esposto né deposito alcuno. E c’è chi come Antonio Borghesi, ex esponente dell’Italia dei Valori, si domanda: «Possibile che in 5 anni noi tutti non sapessimo di quella registrazione? Possibile che un pm l’abbia trascurata a tal punto da non ricordarsi dove sia? Possibile che né il Senatore Caforio né l’onorevole Nello Formisano, unici a conoscere questo tentativo, abbiano mai chiesto in tanto tempo come mai non venisse fuori alcuna denuncia della loro testimonianza?».
Frecciate e rese dei conti in un partito che continua a perdere pezzi. D’altra parte, l’affondo di Woodcock non è passato inosservati tra le toghe. Il pm inglese di madre partenopea è stato a Potenza collega di Luigi De Magistris, attuale sindaco di Napoli. E fu proprio De Magistris, alla fine del 2012, dopo le inchieste sulle case e sulla malagestione del partito, a consigliare a Tonino di farsi da parte e chiudere la sua esperienza con l’Idv. Ma l’ex pm di Mani Pulite non molla. E sulla sua pagina internet, dopo le bordate di Woodcock, ha alzato la posta: «Il processo che vede imputati Silvio Berlusconi e Valter Lavitola per la compravendita dei senatori rappresenta una ferita allo Stato di diritto. Stiamo parlando di un omicidio politico, di uno stravolgimento della democrazia». E poi aggiunge: «A tutto ciò aggiungiamo il fatto che gli italiani non possono seguire in tempo reale il processo, perché alla stampa non è stato consentito l’accesso all’Aula». In realtà, rispetto alle scorse volte, sono potuti entrare solo i giornalisti della carta stampata, non le telecamere. Per dirla come Andy Warhol: Tonino non ha avuto i suoi 15 minuti di celebrità.