Laterina è un comune di poco più di 3.500 abitanti in provincia di Arezzo. Gli abitanti sostengono che il nome derivi dal latino later, mattone. E viene da pensare che mai fu così azzeccato perché hanno saputo costruirsi una fortezza nel cuore della Toscana, un incrocio armonioso tra le province di Arezzo, Firenze e Siena, circondato da banche, istituti di credito, aziende pubbliche e private, cooperative rosse e bianche, università e politica, che fanno di Laterina un gioiello prezioso dell’Italia, dove tutti si conoscono, a destra e a sinistra, ma nessuno osa parlare male dell’altro nella celebrazione assoluta delle larghe intese bipartisan. Non si era mai visto un comune annunciare sul proprio sito internet la soddisfazione di avere un ministro. E invece il sindaco Massimo Gennai ha voluto scrivere nero su bianco – registrando anche un video su Youtube – la «gioia» per «la concittadina Maria Elena Boschi» nell’esecutivo di Matteo Renzi: «Buon lavoro Maria Elena» si legge in una nota di un comune che le cronache della politica citano distrattamente solo nel 1979: da queste parti un geometra fu arrestato perché avrebbe custodito all’epoca armi delle Brigate Rosse.
Altri tempi. Dalle parti del Valdarno parlare del ministro per le Riforme e i Rapporti con il Parlamento è un tabù. «Quasi come chiedere di Valentino Rossi a Tavullia» scherza un giovane fiorentino, assiduo frequentatore e conoscitore dei salotti della Firenze bene, dalle feste di Rachele Cavalli, figlia dello stilista Roberto, agli aperitivi nelle piazzette dei “fighetti”. La Boschi, in questi ambienti, la conoscono poco. Anzi, non l’hanno mai vista. C’è una concezione diversa di rappresentare il potere in casa Boschi. Passato da Maria nel presepe vivente, catechista, studiosa, secchiona, un po’ nerd di provincia col “culotto”, gran lavoratrice, mattoni su mattoni, classe 1981, è il più giovane ministro dell’esecutivo, battendo di qualche mese la collega Marianna Madia, con cui deve condividere le critiche relative alla presunta inesperienza. «Miracolate entrambe», ringhiano gli invidiosi.
Nata a Montevarchi, in provincia di Arezzo, ha sempre vissuto appunto a Laterina. Il padre Pier Luigi è una sorta di latifondista della zona. Siede in decine di consigli di amministrazione di aziende agricole, tra olio e vino, è stato Presidente della Confcooperative Arezzo dal 2004 al 2010. Ha un posto pure in Banca Etruria, istituto di credito considerato «l’hub nazionale per la compravendita di oro», negli ultimi tempi un po’ in ribasso e in cerca di acquirenti. Oro, incenso e mirra verrebbe da dire. Molto riservato, cattolico, democristiano di ferro, ha condiviso anno dopo anno la passione politica della moglie Stefania Agresti, vicesindaco di Laterina con un passato nella Democrazia Cristiana. Nel 2000 era candidata nel Partito Popolare Italiano di Mino Martinazzoli, Franco Marini e Pierluigi Castagnetti, prima che si sciogliesse nella Margherita a sua volta disciolta nel Partito Democratico di Walter Veltroni.
I genitori hanno trasmesso la passione per la politica a Maria Elena. E chi la conosce la descrive umile ma tenace, solare, attaccata alle radici toscane e cattoliche. L’adolescenza è trascorsa in parrocchia con una parentesi da catechista. Nel mezzo una Giornata Mondiale della Gioventù a Parigi datata 1997, raccontano che una sera in cui era tornata dopo mezzanotte il parroco Don Alberto Gallerini la sgridò: «Mi fido di te anche se sei piccola, ma mi raccomando, testa sulle spalle». Risultato? «Ha rivoltato Parigi, credo abbia visto tutta la città in pochi giorni». Nel 1998 interpreta la Madonna nel presepe vivente e in pochi a Laterina immaginavano che qualche anno dopo avrebbero dovuto rispolverare album fotografici e scatoloni nostalgia per trovare «il ministro del Valdarno».
Tra un dispetto al parroco e un aiuto alla madre per i discorsi in politica Maria Elena studia, si appassiona a diritto societario e tributario. L’incrocio virtuoso toscano, dove tutti conoscono tutti, insieme a un’ottima conoscenza delle materie giuridiche, le dà quelle basi per entrare in uno degli studi legali più blasonati di Firenze: il Tombari Corsi D’Angelo e associati. Umberto Tombari è tra gli avvocati civilisti più stimati d’Italia. Nel 2001 è stato nominato membro della Commissione ministeriale per la riforma del diritto societario istituita presso il ministero di Giustizia da Michele Vietti, attuale vice presidente del Csm: al fianco aveva un decano del diritto privato come Pietro Trimarchi. Nel 2012 ha collaborato al Decreto Sviluppo di Corrado Passera, curando il “contratto di rete sulle aggregazioni tra imprese”. È presidente del Consiglio di amministrazione di Sici (Sviluppo Imprese Centro Italia), partecipata da istituti finanziari come Fidi Toscana, Mps Capital Services, Banca Cr Firenze, Cassa di Risparmio di San Miniato e Banca Etruria.
Tombari è poi presidente del consiglio di amministrazione di Firenze Mobilità, scatola legata a doppio filo con il comune di Firenze di Matteo Renzi, dove la parte del leone la fa Firenze Parcheggi dove fino al 2013 era amministratore delegato il Richelieu del rottamatore fiorentino, quel Marco Carrai arrivato alla Camera per seguire il primo discorso del presidente del consiglio con la first lady Agnese. E proprio come Carrai, Tombari ha un posto nell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze: è componente del comitato di Indirizzo. Tombari è molto altro ancora: consigliere indipendente della casa di moda Ferragamo e di Prelios-Pirelli. L’altro socio fondatore dello studio, Francesco Corsi, ha fatto anche lui parte di consigli di amministrazione importanti come Cassa di Risparmio di Firenze o la Fondiaria-SAI di Salvatore Ligresti, in tempi migliori rispetto a quelli di adesso. Di certo Maria Elena in questo studio in piazza Indipendenza ha capito in fretta come funziona il mondo. E soprattutto l’Italia.
Eppure ha iniziato facendo politica «dalla parte sbagliata»: nel 2009 insieme all’amico e collega avvocato Francesco Bonifazi, oggi tesoriere del Pd renziano, sosteneva la corsa a sindaco di Firenze del dalemiano Michele Ventura, il miglior nemico di Renzi. Poi la conversione sulla via di Palazzo Vecchio e l’ascesa nell’inner circle dell’ex rottamatore. Entra nel cda di Publiacqua, partecipata che gestisce il servizio idrico di 43 comuni del Valdarno. Nel 2012 sale sul camper con Sara Biagiotti e Simona Bonafè per fare da staff a Renzi nella corsa alle primarie contro Bersani. Diventa donna di punta del giglio magico renziano e consigliera giuridica di Matteo. Batte la concorrenza della Bonafè, «lombarda di nascita ma fiorentina ad honorem» nonché renziana della prima ora. Nel totoministri il nome della Boschi è uno dei pochi a non essere in discussione e la poltrona, pur sprovvista di portafoglio, conferma le previsioni.
La benedizione mediatica arriva però con l’ultima Leopolda, quella di ottobre in cui Boschi cura l’organizzazione presenziando sul palco insieme a Matteo Renzi. Chi ancora non la conosce chiede da dove arrivi questa ragazza «carina e spigliata». Da quel momento i soprannomi si sprecano. «Leoparda» o «giaguara di Matteo» grazie alle scarpe leopardate tacco 12, «ma tengo sempre le ballerine nella borsa per camminare sui sampietrini». Poi «amazzone» e «pasionaria di Renzi», etichette che la diretta interessata accoglie con fastidio ma senza esternazioni. I media ne idolatrano il look, più che le missioni per blindare la legge elettorale. Dal cappotto rosso con collo di pelliccia esibito alla segreteria Pd fino al tailleur blu indossato al giuramento al Quirinale. È tutto un prurito mediatico di fotogallery, sondaggi e commenti da bar.
Pietrangelo Buttafuoco sul Foglio emette la sentenza: «Boschi aggiorna l’idea femminile dell’impegno politico in una rivisitazione del pop». A Montecitorio è stata eletta Miss Parlamento, con buona pace delle giovani berlusconiane che devono arrendersi al #cambiaverso. «Può essere piacevole – sorride la vincitrice – ma non mi cambia niente, io spero di poter dimostrare che sono una persona che fa bene il proprio lavoro». In zona Mondadori la rivista Chi è stata solerte nell’intervistarla, d’altronde è apprezzata anche da Silvio Berlusconi, che quando l’ha incontrata gliel’ha detto chiaro e tondo: «È troppo bella per essere comunista». Lei gli ha risposto garbata che i comunisti non esistono più, ma ai cronisti fa sapere: «Al giudizio di Berlusconi preferisco quello di mia madre».
Alla Boschi bastano poche settimane per laurearsi ambasciatrice televisiva del renzismo 2.0, top player nel nuovo corso catodico di Matteo. Brilla a Ballarò, Piazzapulita e Agorà, ma si concede anche ai Vespa e alle Annunziata. Occhi azzurrissimi, capelli biondi e viso pulito. L’abbigliamento è impeccabile ma i registi indugiano sulle scarpe, marchio di fabbrica dell’avvocatessa. Parla e sorride, fa trapelare un filo di timidezza che resiste davanti alle telecamere. Nei salotti tv i suoi sono discorsi da prima della classe, frasi chiare e veloci, poco politichese nel segno di un’educata pacatezza che inchioda il telespettatore. Marco Travaglio invece sbotta: «Ma chi li scrive i testi alla Boschi?». Già segretaria della commissione Affari Costituzionali, in Parlamento Maria Elena si muove da sherpa per conto del Nazareno: di lei Renzi si fida e le cuce il ruolo di ufficiale di collegamento con gli altri partiti già prima dell’insediamento al governo. Così lei porta la voce dell’ex sindaco su legge elettorale e riforme istituzionali. Tratta, raccoglie spunti, parla con tutti: dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a Denis Verdini di Forza Italia, da Danilo Toninelli del Movimento 5 Stelle fino all’ex ministro Gaetano Quagliariello. Si definisce «una riformista».
Approdata al governo le tocca il ministero per le Riforme costituzionali e i Rapporti col Parlamento. Mette la faccia sullo sbarco mediatico dei nodi più delicati del neonato esecutivo: dal decreto salva-Roma alle quote rosa dell’Italicum passando per i sottosegretari Pd indagati. Occasione quest’ultima per rispolverare gli studi in diritto: «Non è intenzione di questo governo chiedere dimissioni di ministri o sottosegretari sulla base di un avviso di garanzia. L’avviso è un atto dovuto a tutela degli indagati per esercitare i diritti di difesa, non è un’anticipazione di condanna». Garantismo puro davanti al quale molti storcono il naso perché «ci sono due pesi e due misure», come denuncia l’ex ministro Nunzia De Girolamo, tesserata Ncd al pari del collega Antonio Gentile. Le luci della ribalta offrono croci e delizie. Il fuoco di fila annovera anche fango e illazioni, tra cui velenose insinuazioni su presunte simpatie con il premier, puntualmente rispedite al mittente.
Non solo la piazza, pure il Palazzo chiacchiera di gusto, ma sempre a bassa voce: qualcuno millanta foto compromettenti. Anche per questo i ranghi renziani alzano una blindatura intorno al giovane ministro, che in pubblico mostra un garbato low profile di matrice cristiana: porge la bella guancia e non risponde alle offese. Ci pensano i suoi a difenderla, organizzando un cordone di scorta tra «eccessi di zelo» e «code di paglia». In pochi giorni fa scuola il caso di Enrico Lucci, l’inviato delle Iene che in un servizio approccia la Boschi con espressioni lontane da qualsivoglia manuale di scuola di giornalismo. «Sei ’na fica strepitosa, perché t’hanno messo ai rapporti coi membri del Parlamento?» In men che non si dica il giornalista viene accusato di «aggressione sessista» ma c’è pure chi parla di «ministra molestata». Poi arriva l’imitazione di Virginia Raffaele che dagli schermi di Ballarò gioca sull’avvenenza fisica e ammaliatrice della Boschi canzonandone la preparazione politica. Musi lunghi nell’entourage renziano, si dice che lei non l’abbia presa bene, ma poi twitta: «Imitatrice straordinaria, ho riso». Nel frattempo il deputato Pd Anzaldi, segretario della Commissione di Vigilanza Rai, ha già vergato una lettera di protesta al presidente della Rai Tarantola: «È questa l’immagine che il servizio pubblico vuol dare alla vigilia dell’8 marzo?».
Il vespaio di polemiche a metà tra irritazione (Mario Giordano su Libero parla di «delitto di lesa Leoparda») e bocche cucite alimenta il vociare intorno al ministro. Qualche maligno a microfoni spenti rilancia: «È l’Alessandra Moretti di Renzi», riferendosi all’ex fedelissima di Bersani che negli ultimi giorni è scesa in campo proprio a difesa della Boschi: «Dal web alla tv allusioni inaccettabili, le donne preferiscono essere valutate per la bravura». C’è poi chi si spinge oltre e definisce la Boschi «Mara Carfagna del Partito Democratico». Gli spifferi lambiscono un Nazareno al solito tanto plurale nelle sensibilità quanto nei lunghi coltelli. Dice di lei Guido Ferradini, avvocato renziano e autore del primo Job Act: «È un po’ inesperta ma sopporta carichi di lavoro pazzeschi senza mai lamentarsi di nulla». La missione di Maria Elena è ripida come quella del governo: dare una risposta agli avversari interni ed esterni, smentendo malignità e rilanciando con la competenza. Per la giaguara arriva il momento di mostrare gli artigli. Sta cercando un capo di gabinetto per il suo ministero. Si parla di Roberto Cerreto, già consigliere di Enrico Letta, molto stimato da Massimo D’Alema. L’incrocio armonioso continua, anche nel Pd.