La mattina in Vaticano, a pranzo al Quirinale. L’incontro con Matteo Renzi è stato inserito in agenda alle 14.30, a villa Madama. Solo più tardi ci sarà tempo per una visita privata al Colosseo. La ventiquattr’ore romana del presidente americano Barack Obama è già fitta di impegni. Il momento apicale del tour sarà ovviamente il vertice con il presidente del Consiglio italiano. Un faccia a faccia che potrebbe regalare a Renzi un’inattesa – e in chiave elettorale utilissima – consacrazione a livello internazionale. Nel frattempo la stampa si sbizzarrisce sulle stranezze del caso. Fa notizia lo stock di saponi e saponette giunti appositamente dagli Stati Uniti per il presidente. Lo aspettano a Villa Taverna, la residenza dell’ambasciatore americano in Italia, assieme agli alimenti e agli abiti preparati in patria per l’occasione. Autarchia a stelle strisce? Piuttosto l’ennesima stravaganza di un leader di Washington in viaggio d’Oltremare. Del resto quando nel 1988 Ronald Reagan volò a Mosca, pretese di portare in Unione Sovietica persino un set di posate d’argento.
Ci sono diversi nodi da sciogliere sul tappeto nell’incontro tra Renzi, Obama e Napolitano. E’ un incastro di lacci e lacciuoli che riguarda in particolare le grandi aziende statali che tra poche settimane rinnoveranno i vertici, da Eni a Finmeccanica. Queste sono le due società chiave su cui i tre dovranno soffermarsi a lungo. Sulla prima molto dipende dalla dipendenza energetica dalla Russia di Vladimir Putin, politica che ha portato avanti l’attuale amministratore delegato Paolo Scaroni dal 2005 a oggi. Sulla seconda, il colosso della Difesa dove alla presidenza siede da qualche mese Gianni De Gennaro, amico di Napolitano e degli americani, la discussione riguarda gli F35, i cacciabombardieri che Renzi ha minacciato di ridurre. Senza dimenticare la questione Expo 2015, con il padiglione americano ancora in attesa dei fondi necessari per essere costruito.
È un incrocio di interessi, che vedrà tra i protagonisti un vecchio comunista come Napolitano, da sempre in buoni rapporti con Washington (Henry Kissinger lo chiamava «il mio comunista preferito» ndr). A Renzi, invece, spetterà il prestigioso ruolo di padrone di casa. Disinvolto, ma non troppo, il premier dovrà accogliere Obama. Possibilmente evitando gli scivoloni ormai abituali nelle relazioni diplomatiche tra Casa Bianca e Palazzo Chigi. Non è necessario tornare al 2008, quando l’allora capo del governo Silvio Berlusconi salutò l’elezione del presidente Usa con il complimento di dubbio gusto: «È bello, giovane e abbronzato». Peraltro ha fatto molto più discutere, l’anno successivo, lo sfogo della regina d’Inghilterra. Infastidita dalle urla dell’ex Cavaliere, impegnato a richiamare rumorosamente l’attenzione di “Mr Obama” durante le foto di rito al termine del G20.
È entrato di diritto tra la gaffe più apprezzate di Silvio Berlusconi, invece, il siparietto riservato al presidente americano George W. Bush nella sua visita italiana del 2002. Al vertice Nato-Russia di Pratica di Mare il Cavaliere si era dilungato in un racconto mitologico, rivelando agli stupiti presenti e ai divertiti giornalisti la storia di “Romolo e Remolo”. Poco male. Se Matteo Renzi cerca un paragone da evitare, meglio sfogliare un libro di storia. Risalgono all’inizio del secolo scorso le difficoltà del presidente del Consiglio italiano Vittorio Emanuele Orlando durante il soggiorno di un altro presidente americano. Una fotografia ingiallita dal tempo.
Woodrow Wilson arrivò in Italia nel 1919, primo inquilino della Casa Bianca nella storia a visitare il Belpaese. Ospitato a Roma, Genova e Milano, accolto tra gli applausi in Parlamento e sul Campidoglio, reduce da un cerimonioso benvenuto in Vaticano, il presidente americano non era un grande estimatore del nostro presidente del Consiglio. Una diffidenza che di lì a poco si sarebbe trasformata in un vero e proprio scontro, durante la conferenza di pace di Parigi al termine della prima guerra mondiale. Non è il caso di Obama e Renzi, ovviamente. I due si piacciono. Il premier italiano non ha mai fatto mistero di avere nel presidente Usa un punto di riferimento (anche dal punto di vista della comunicazione politica). E il collega americano sembra ricambiare.
I paragoni con la storia proseguono. La breve tappa romana del leader Usa ricorda da vicino la seconda visita ufficiale di un presidente americano in Italia. Il calendario torna al 1943, nel pieno del secondo conflitto mondiale. Protagonista del soggiorno lampo in terra italica fu Franklin Delano Roosevelt. Il 32esimo presidente americano. Data la situazione bellica il presidente si trattenne pochissimi giorni in Sicilia, dove era di stanza l’esercito statunitense. Per rivedere un presidente a stelle e strisce in Italia bisognerà aspettare quasi vent’anni. Della visita romana di Dwight Eisenhower resta un dettagliato archivio fotografico. Siamo nel 1959, le tappe degli incontri ufficiali sono le stesse del viaggio di Obama. Negli archivi restano le immagini del presidente americano al Quirinale assieme alla moglie Barbara, accolto da Giovanni Gronchi durante il ricevimento in suo onore. Ma anche quelle con Papa Giovanni XXIII in Vaticano.
Ricorda molto la visita di Obama, quella di John Fitzgerald Kennedy. Giovane e molto apprezzato Oltreoceano, il presidente cattolico visitò Roma nel 1963. Ultima tappa di un lungo giro in Europa. A pochi mesi dal suo misterioso assassinio, Kennedy arrivò in Italia una settimana dopo lo storico discorso davanti al muro di Berlino. Nella storia resterà quell’ «Ich bin ein Berliner» pronunciato sotto la porta di Brandeburgo, ma le cronache dell’epoca rivelano altri successi. In particolare la visita di Napoli, dove l’entusiasmo della popolazione mandò in crisi gli addetti alla sicurezza presidenziale. Accompagnato dal presidente Antonio Segni e dal capo del governo Giovanni Leone, Kennedy girò per la città a bordo di una decappottabile nera letteralmente presa d’assalto da curiosi e festanti napoletani. Più anonima la visita di Lyndon Johnson, giunto a Roma durante il Natale 1967. Ennesima tappa di un estenuante tour europeo che – ricorda oggi l’ambasciata statunitense – lo costrinse a percorrere in pochi giorni oltre 27mila miglia.
Corsi e ricorsi storici. Quando stamattina Roma si è svegliata tappezzata di manifesti anti-Obama – incollati sui muri della Capitale da alcune formazioni di estrema destra – il pensiero di molti è tornato a Richard Nixon. Il presidente repubblicano visitò la Città Eterna per ben due volte, nel 1969 e nel 1970. Soprattutto nella seconda occasione fu accolto da numerose manifestazioni di protesta. Cortei contro la guerra in Vietnam che non risparmiarono neppure la visita alla Santa Sede. Ancora più teso l’incontro romano tra Gerald Ford e il presidente del Consiglio Aldo Moro, nel giugno del 1975. Un faccia a faccia funestato dall’ingombrante segretario di Stato Henry Kissinger, dubbioso sulle aperture al partito comunista italiano dello statista democristiano.
Visita Venezia e Roma Jimmy Carter. È il 1980, ad accogliere il 39esimo inquilino della Casa Bianca è l’allora presidente del Consiglio Francesco Cossiga. Stessa tappa in laguna per Ronald Reagan, sette anni dopo. Anche lui a Venezia per partecipare al G8, stavolta ospite di Amintore Fanfani. Il resto è storia recente. Nel 1989 George Bush visita l’Italia in due diverse occasioni. Nel 1994 e nel 2000 è la volta di Bill Clinton. Alla prima occasione il presidente americano incontra Silvio Berlusconi. Massimo D’Alema alla seconda.
Di certo quello di domani è un incontro che conviene al rottamatore e all’Italia. Nel frattempo l’ultimo rapporto Export di Sace, il gruppo assicurativo-finanziario italiano, spiega come gli Usa siano il mercato a maggior potenziale, nel medio termine, per le vendite estere italiane. Grazie all’accresciuta fiducia dei consumatori americani che tornerà ad alimentare la domanda interna, gli States traineranno le performance dell’export italiano verso i paesi avanzati: risultati sopra alla media sono attesi nei settori simbolo dell’Italian lifestyle, come i beni di consumo (+8,3%) e, ancora di più, l’agroalimentare (+9,4%). Insomma, grazie Obama.