TaccolaI soldi investiti al Sud? Prendono la via del Nord

Politica economica e uso dei fondi Ue

Per ogni 100 euro investiti nel sud Italia, ben 40 vanno a beneficio del Centro Nord, 10 vanno all’estero e solo 50 rimangono nelle regioni meridionali. Viceversa, per ogni 100 euro investiti nel Centro Nord, solo 4,7 vanno a beneficio del Mezzogiorno. Da questo dato è partito uno studio di Srm (centro studi sul Mezzogiorno del gruppo Intesa Sanpaolo) in collaborazione con Prometeia. In termini tecnici si chiama “effetto dispersione” e può essere visto in due modi: è un indice negativo, in quanto evidenzia come il tessuto economico e produttivo del Mezzogiorno – data la minore densità imprenditoriale rispetto al Centro Nord – non sia pienamente in grado di internalizzare gli effetti degli investimenti.

Per converso, però, continua lo studio, spostando l’attenzione dal solo Mezzogiorno al sistema Paese, questo significa che un investimento effettuato nel Mezzogiorno ha una rilevante caduta sul resto del Paese, alimentandone la domanda. «La logica di tutta la ricerca è comprendere quanto siano legate le filiere produttive nel Paese» dice Salvio Capasso, responsabile dellufficio studi sull’economia delle imprese e del territorio e dell’ufficio per il Mediterraneo di Srm.

Per capire meglio il meccanismo, immaginiamo di investire 100 euro in una attività per la produzione di salsa di pomodoro. Dovremo acquisire materiali e risorse dal Centro-Nord per un valore pari a 40 euro, e dall’estero per un valore di 10 euro. Solo 50 euro sono attivate (o se si vuole trattenute) nel Meridione.

Perché esiste questo effetto di dispersione? «Il Sud da una parte è meno denso di imprese – risponde Capasso -. Dall’altra, soprattutto in settori come il tessile, ha poche aziende nella parte finale delle filiere e molte tra i terzisti», che generano un valore aggiunto minore dei produttori finali.

«Queste sono medie, che nascondono forti differenze tra i settori – continua Capasso -. Nei settori non manifatturieri, come le costruzioni, l’agricoltura e l’energia, rimane molto sul territorio. Viceversa, nel manifatturiero, filiere come quelle del tessile e dell’agroalimentare nella media vedono una redistribuzione maggiore nel resto del Paese e all’estero. Ma anche nel manifatturiero ci sono settori più “endogeni”: nella logistica, l’aeronautica e l’agroalimentare i benefici rimangono maggiormente nel territorio».  

Fonte: Srm

Lo studio, aggiunge Capasso, dà dati che possono servire a modulare le scelte di politica economica. «Il policy maker deve tenere conto del giusto mix di investimenti: se si vuole attivare una domanda nel breve periodo sul territorio, avendo un impatto veloce e immediato, si dovrà investire in settori come quello delle costruzioni. Se invece si investirà sul manifatturiero, che ha un impatto importante sull’occupazione, si dovrà tenere presente anche l’effetto maggiore di dispersione».

Questa consapevolezza degli effetti degli investimenti deve valere soprattutto quando si parla di risorse Ue. «Sappiamo che questi fondi europei hanno un grande impatto, e un effetto doppio – spiega il responsabile della ricerca -: producono uno sviluppo per il Mezzogiorno e hanno un effetto positivo per il resto del sistema Paese, anche nel breve periodo, perché producono un aumento della domanda per le imprese del Centro Nord. Sarebbe quindi utile usarli al meglio».

L’effetto di dispersione, aggiunge Capasso, è risaputo, sia a livello di economisti (la Banca d’Italia qualche anno fa fece degli studi analoghi) sia a livello politico, sebbene non sia quasi presente nel dibattito tra i partiti. Se non a posteriori, per certificare il fallimento dell’uso dei fondi europei. «Sappiamo che gli effetti non sono stati positivi come in altri Paesi – conclude l’economista -, per la quantità di risorse immesse bisognava avere dei risultati migliori. Per questo molte cose vanno migliorate nella valutazione di quel che serve davvero alle imprese e ai territori».  

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