“La mia nautica che riparte grazie ai cinesi”

Lamberto Tacoli, ad Crn (Ferretti Group)

Un barlume di luce nel buio di una crisi che si protrae da anni, un segnale importante per il gruppo di cui fa parte. Crn – brand di Ferretti Group – riesce a guadagnarsi la prima pagina oltre che per le dimensioni dei suoi yacht (dai 40 metri a salire) per i vari a getto continuo. Se pensiamo che ai primi di marzo è sceso in mare l’ottavo 60 metri in dieci anni (in parte, i peggiori di sempre per la nautica italiana e Ferretti Group in particolare) bisogna riconoscere l’unicità del cantiere di Ancona. A guidarlo, uno dei (pochissimi) grandi manager italiani del mare: Lamberto Tacoli, cesenate, 50 anni a settembre e 25 nella nautica. Da due anni è Ceo di Crn – era già presidente dal 2006 – dopo una lunga carriera al fianco di Norberto Ferretti – iniziata nel 1996 – e da quattro è vicepresidente di Ucina, l’associazione di categoria. Appassionato e competente di calcio, è stato indicato più volte come capocordata per l’acquisto del Bologna F.C. – squadra del cuore – ed è stato presidente dello Spezia (in Serie B) sino allo scorso novembre. «Guidare una società a livello professionistico è un lavoro a tempo pieno, quindi ho dato le dimissioni. Ma il calcio è un mondo fantastico», spiega.

Dottor Tacoli, Crn sembra vivere su un atollo felice nel mare della crisi. Come fate?
Posso partire da lontano? È il frutto del lavoro durissimo compiuto negli anni precedenti quando, continuando la metafora, Crn ha percorso tantissime miglia in mare agitato. Mi piace definire l’ammiraglia da 80 metri Chopi Chopi e il 60 metri Jade come “progetti della sofferenza”, realizzati negli anni più difficili della nostra storia. Ma sono stati yacht eccellenti, che hanno avuto un enorme ritorno d’immagine in tutto il mondo e vinto numerosi premi, soprattutto per le soluzioni innovative come il garage allagabile per il tender: un unicum a livello mondiale per barche di queste dimensioni. Insomma, ci hanno dato il coraggio di non mollare assolutamente, ed eccoci qui.

La crisi è finita?
Preferisco dire che dallo scorso settembre è iniziata una nuova era per Crn. Abbiamo appena varato il 61 metri firmato Paszkowski, per la cronaca lo yacht numero 133 della nostra storia. Il 31 maggio scenderà in acqua il 73 di Omega Architets che considero una misura ideale per le prossime stagioni. Abbiamo quattro navi in costruzione, in acciaio e alluminio, e varie lettere d’intenti che si tramuteranno in progetti da realizzare. Uno di questi, di 68 metri, sarà il superyacht più grande mai venduto da noi in Cina. Puntiamo a fare del 2014 l’anno dove non si parla più di crisi e si guarda al futuro con ottimismo. E dai saloni autunnali in effetti ho colto più di un segnale positivo.

Tutte queste barche sono…
di armatori non europei. Dico purtroppo, ovviamente ringraziandoli. E che da grande tifoso dell’Italia e del Vecchio Continente vorrei ci fosse ancora mercato nel Mediterraneo, il mare più bello e più ricco di cultura nautica al mondo. Ma non ci posso far niente, l’ultimo yacht finito a un armatore italiano – il 60 metri Blue Eyes della famiglia Tabacchi – risale al 2009.

Tacoli, quando Ferretti Group passò a Shandong Heavy Industries nel 2012, fu uno dei pochi a mostrare ottimismo nel dramma collettivo. Era convinto o un minimo bluffava?
Assolutamente. Il primo pensiero era di riconoscenza verso il gruppo cinese Shig che aveva salvato una grande azienda italiana, nel totale immobilismo delle componenti finanziarie e istituzionali del nostro Paese. E questo va detto chiaramente. Poi, pur rendendomi conto delle differenze culturali enormi, della diversa visione del business e del fatto che loro non sapevano nulla di nautica, ero più curioso che timoroso. Certo, hanno seguito i loro tempi e le loro logiche ma è anche vero che hanno lasciato tanta libertà al management italiano. Ora che ognuno ha conosciuto bene l’altro, si potranno fare cose importanti a vantaggio di Crn e di Ferretti Group.

Ancora oggi, ci si chiede come un vanto dell’industria nazionale come Ferretti Group si sia ritrovato in quella situazione. Non ci ragiona anche lei?
Spesso. A volte penso che si doveva prevedere il crollo del mercato con maggiore anticipo, poi mi ricordo che nell’agosto 2008 eravamo pronti a una quotazione in Borsa, molto attesa. La verità è che la rapidità del disastro ci ha colti tutti di sorpresa e non bastasse, molti analisti sostenevano che nel giro di un paio di anni saremmo tornati ai valori precedenti. Non è andata così, evidentemente: la nautica ha retto meno di altri settori. Ho letto proprio su Linkiesta un articolo dove un esperto ha detto che “forse nemmeno un mago sarebbe riuscita a cavarsela in una crisi del genere”. Concordo.

La nautica è stata rasa al suolo o può riprendersi?
Sicuramente ha subito un massacro. Perché insieme alla depressione del mercato europeo e italiano in particolare – non dimentichiamo che i numeri si sono sempre realizzati qui – c’è stata una discriminazione folle verso la passione nautica. Soprattutto durante il Governo Monti si è fatto di tutto per ammazzarla, inutile rivangare i danni fatti. Mi ricordo che insieme al presidente Ucina andammo dall’allora ministro Passera a lamentarci, qualcosa venne modificato (abolizione della tassa di possesso, ndr) ma in parte era troppo tardi e in parte l’atteggiamento generale non cambiò tra persecuzioni degli armatori in mare e controlli fiscali senza tregua. Ho letto recentemente che D’Alema ancora una volta ha dichiarato che non ha senso pigliarsela con chi possiede una barca, così tanto per fare. Ne sono contento ma se penso che siamo ancora a questi livelli di percezione…

Crn Shipyard

La prima cosa che vorrebbe chiedere al Governo Renzi?
Di lavorare molto sull’asse nautica-turismo. Sarà la scoperta dell’acqua calda ma il turismo è la prima industria auspicabile e possibile per questo Paese, in questo senso la nautica potrebbe dare una bella mano. Siamo fermi da una vita su questo fronte. Mi rendo conto che Renzi e i suoi hanno un sacco di priorità ma questo ragionamento deve entrare nella loro agenda.

Da esperto navigatore, ha buone sensazioni su Matteo Renzi?
Mi sembra attento all’imprenditoria, anche quando non era premier. Ora spero agisca per tutelare la cultura imprenditoriale italiana, compresa quella nautica. Abbiamo bisogno di entusiasmo, perché sono sei anni che non si vede la fine del tunnel. È evidente che i numeri delle stagioni migliori non sono replicabili ma in tre-cinque anni dobbiamo – e possiamo – tornare a quelli pre-crisi.

Capitolo Salone di Genova.
Purtroppo, la vicinanza con Cannes e Montecarlo – rassegne cresciute negli ultimi anni – ha reso Genova la terza per data e ha tolto obiettivamente un po’ di importanza tra gli addetti ai lavori. Penso che dobbiamo tornare a pensare in modo più internazionale, rinnovando l’evento, rivedendo magari alcuni elementi ma credendo comunque in Genova. Sono legato anche sentimentalmente al Salone ma a parte questo, non considero possibile spostarsi da qui.

Lei ricorda spesso il grande valore del made in Italy nella nautica e non solo. Ma non trova che talvolta sia un refrain superato o un alibi delle nostre magagne?
Il mondo va sempre più veloce però il gusto italiano – meglio ancora il wellness italiano come dice il mio amico Nerio Alessandri – funziona sempre. Siamo una piccola penisola con tante eccellenze e su questo non si può discutere ma soprattutto non ci manca la capacità creativa e manifatturiera. Tra l’altro io sarei per trasformare il made in Italy in “disegnato in Italia”, “concepito in Italia”. Un altro mio amico – Brunello Cucinelli – sostiene che siamo sempre stati gli inventori del bello e non possiamo scordarlo ora. In definitiva, tornando alla domanda, non solo mi piace ricordare spesso il valore del made in Italy ma credo che lo si dovrebbe fare ancora di più.

È anche l’unico rappresentante della nautica nel consiglio di Altagamma.
Sì, con Riva che è il brand storico di Ferretti Group. Altagamma – nelle varie iniziative – dimostra che lavorando tutti insieme, si crea una “massa critica” che non ha rivali nel mondo per il lusso, al di là del rispettivo settore. L’imprenditore italiano è solista di natura, ma sta capendo lentamente il vantaggio di creare meccanismi di gruppo quando si va all’estero. Una svolta storica, penso.

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