Nel piccola piazza del quartiere Baggio a Milano, zona 7, periferia estrema, distante più di quindici chilometri dal Duomo, vecchio enclave del Pci ora del Partito Democratico che nel 2013 ha preso alle politiche quasi il 30%, c’è una donna con un cappello da cowboy che si sbraccia, cerca di farsi vedere, scatta foto a ripetizione con il suo smartphone imbustato in una custodia dorata: «Beppe siamo qui, Beppe siamo qui!». Il popolo del Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo si raduna nell’hinterland milanese per il tour dei parlamentari grillini nei cantieri dell’Expo 2015. Parco delle Cave, Cascina Bellaria, Parco di Trenno, deputati e senatori atterrano come marziani in zone dove ormai sono gli immigrati la maggioranza relativa, tra grigliate di salamelle nel parco accompagnate dai bassi delle canzoni di Shakira e partite di basket all’ultimo respiro. Vaghi ricordi della via Gluck di Adriano Celentano: qui c’è ancora l’erba ma stanno arrivano le scavatrice dell’Expo, «che sembra la Tav» urlano i Cinque Stelle, pronti a presidi in stile Valsusa.
I grillini sono in gita, con il pullman, visitano gli spazi, mangiano in cascina al prezzo di 10 euro e devono fare la fila, stringono le mani dei sostenitori, ammiccano alle telecamere, guardano i lavori in corso, si lamentano con chi sta portando avanti ruspe e scavatrici. Tutto avviene in streaming, perfino il confronto con Giuseppe Sala, deus ex machina dell’evento che tra meno di un anno dovrebbe portare 20 milioni di persone del capoluogo lombardo. Tabula rasa. Grillo se la prende con i lavori che non partono («Expo? Ci hanno detto ‘guardate’, ma non c’è un cazzo, non c’è niente, c’è un campo. Devono venire 20 milioni di persone, ma chi ci va a Rho?» dice), gli esperti gli rispondono che siamo già al 75%.
Ma più del brainstorming sull’Expo, la marcia di Grillo è su Milano e la Lombardia. È un’avanza politica e culturale nelle regioni del Nord, territori dove la Lega Nord non ha più mordente e dove c’è chi rimpiange la Forza Italia di Silvio Berlusconi dei ruggenti anni ’90. Dove il Partito Democratico regge, ma dopo anni di sconfitte elettorali che ancora adesso si fanno sentire. Gli echi della questione settentrionale sono della scorsa settimana, dopo la pubblicazione sul blog di un post che parlava di macroregioni nel ricordo del messaggio di Gianfranco Miglio, teorico della secessione cara all’ex leader del Carroccio Umberto Bossi. A Baggio, quartiere storicamente rosso, la Lega Nord ha provato in questi anni a cavalcare il problema dei campi rom e della criminalità organizzata: non ha convinto quasi nessuno. Grillo alle scorse politiche in zona 7 ha preso il 17%, in centro, zona 1, prese il 10.
Il leader del Movimento Cinque Stelle non se la prende con i leghisti. Prima del comizio fa scendere dal palco un militante dei meet up con la maglietta verde. «Non ci devono essere bandiere o striscioni con riferimenti politici» ordina Mattia Calise, consigliere comunale di Milano, anfitrione del grillismo nelle lande del Nord che produce. Se la prende con Renzi: «Lo guardo e vedo che improvvisa. I titoli dei giornali sono una bellezza. I titoli su quello che non farà. Non c’è un atto scritto, non c’è un disegno di legge. Io non sono andato da lui per non farlo parlare. Poi lui mi ha detto: ‘Io non voglio niente da te’. Ma lui deve sapere, che io rappresento 9 milioni di persone, tu 130 che ti hanno eletto. Lui non è credibile, è falso e ipocrita. Ha detto tutto e il contrario di tutto».
Grillo parla di mafia, di euro, di Angela Merkel, cancelliere di Germania. «Noi adesso arriviamo alle elezioni e le vinciamo in un modo assoluto» ammette. «E poi andremo dalla Merkel e andrò personalmente a guardarla negli occhi. Ci parlerò io». Parla poco più di dieci minuti, capelli perfetti, occhiale a goccia di ordinanza, piumino blu da ras della zona. Lo ascoltano in cinquecento persone, chi con il cane, chi con i bambini in uscita il sabato pomeriggio. Al suo fianco ci sono i parlamentari, venerati come star. Il preferito è Alessandro Di Battista: «All’inizio» spiega Grillo «venivano a sentire me e poi andavano via. Adesso le persone vengono a sentire i portavoce e non ascoltano più me. Io sono commosso. Perché tutto era nato come un sogno di un pazzo. E guardate cosa siamo diventati».
E Di Battista si prende sulle spalle il Movimento: «Ci giochiamo tanto alle elezioni di maggio, ma ne siamo consapevoli e daremo battaglia». Per Di Battista i problemi sono i soldi. «Noi abbiamo capito in un anno che il problema sono i soldi. Vaffanculo ai soldi. Se ci stacchiamo da quello, possiamo cambiare questo Paese. Oggi siamo stati all’Expo e sono sempre le stesse imprese. O legate a Cl, o legate alla fondazione Vedrò che finanzia Letta e Alfano, o alle cooperative. Noi diciamo basta a tutto questo sistema. Siamo cittadini normali. Anzi scusateci quando sbagliamo. Siamo persone libere là dentro, e non esiste dire che comandano Beppe e Casaleggio».
Il punto vero lo spiega a margine un altro parlamentare, Marco Morra: «Questa è una città che è stata distrutta dai poteri forti». È una frase che racchiude gli anni del socialismo di Bettino Craxi, del Berlusconismo, delle giunte della Lega Nord e dei fallimenti di Salvatore Ligresti o anche del leghismo di ritorno degli ultimi anni. Ce l’hanno persino con l’attuale amministrazione arancione di Giuliano Pisapia, che avevano in parte appoggiato al ballottaggio del 2011. I grillini hanno riservato al sindaco uno striscione: «Giù le mani dagli orti». E Silvana Carcano, ex candidato alla presidenza della regione, ammette: «Ve lo ricordate cosa diceva in campagna elettorale Pisapia? Aveva predicato un Expo sostenibile. E adesso invece? Noi quello che diciamo, lo portiamo avanti con coerenza. Abbiamo chiamato qui i nostri portavoce nazionali ed è solo l’inizio. Ci faremo sentire molto ancora nei prossimi mesi». L’europee saranno l’ago della bilancia. Vivere o morire.