Quest’anno sono 10 anni dalla prima puntata di Lost, una serie tv che (nel bene e nel male) ha cambiato il modo di raccontare storie in televisione. In tanti hanno provato a copiarla, in tanti hanno detto di odiarla, in tantissimi l’hanno seguita e hanno cercato capire che cosa diavolo fosse quella maledetta isola.
Lo scorso 17 marzo, una bella fetta del cast di Lost e i due showrunner e autori Carlton Cuse e Damon Lindelof si sono rincontrati di nuovo ad un evento dedicato alle serie televisive e ai loro fan, in un incontro pubblico per il decennale di Lost. Tra le domande del presentatore e quelle del pubblico, oltre a una quantità di aneddoti e di curiosità sulla serie, è stato anche affrontato l’ancora spinoso problema del finale della serie. E Cuse e Lindelof hanno spiegato, in modo stranamente chiaro, quali erano le loro intenzioni e il perché della deriva spirituale sul finale.
Alla domanda: «non erano morti fin dall’inizio, vero?», Carlton Cuse risponde: «No, no… [risate] Non erano morti fin dall’inizio». E spiega perché molti spettatori hanno frainteso la scena finale di Lost: «Barry Johnson, un eccezionale dirigente ABC con cui lavoravamo, l’uomo che ha detto “sì” ogni volta che volevamo fare qualcosa di pazzo, ci ha detto che sarebbe stato sensato avere un piccolo stacco tra l’ultima scena dell’ultima puntata e il momento in cui sarebbe partita la pubblicità. E ci ha chiesto: “avete qualche filmato che possiamo mettere in mezzo?”. Il fatto è che non ce ne andavamo in giro a girare filmati a caso per la serie e non c’era molto materiale extra. Avevamo però delle immagini del relitto dell’aereo che avevamo girato prima di doverlo spostare dalla spiaggia per via della marea che l’avrebbe travolto. E ci siamo detti: mettiamo quelle. Quando la gente ha visto [dopo la scena in cui Jack chiude gli occhi] le immagini dell’aereo, senza nessun passeggero dentro… be’, penso che il problema sia peggiorato ancora di più».
Le immagini a cui Cuse fa riferimento esistono solo nella versione di Lost andata in onda in televisione. Si vedono nel (brutto, purtroppo) video qui sopra a partire da 3:10
Un’altra domanda riguardava il finale, nello specifico come erano arrivati a «alla conclusione di far incontrare tutti i personaggi in quella specie di aldilà?». Cuse racconta che «Lost è una serie su delle persone che stanno su un’isola in mezzo al nulla ma, metaforicamente, è anche una serie su delle persone che sono perse e che stanno cercando una redenzione, un significato e un senso alle loro vite. Più parlavamo del finale di Lost più ci rendevamo conto che doveva essere qualcosa di spirituale. Doveva parlare del viaggio di queste persone e del loro destino. Non era una singola idea, erano una serie di conversazioni che ci portavamo dietro. Io e Demon facevamo colazione nel mio ufficio ogni giorno e facevamo delle lunghe conversazioni sulla natura della serie, sul destino, su cosa significano tutte le nostre storie e su come siamo tutti qui ad aiutarci gli uni con gli altri nelle nostre vite. Volevamo che la serie riflettesse le cose in cui credevamo, i nostri desideri, le nostre speranze e i nostri sogni».
Damon Lindelof continua «una delle teorie che gli spettatori si sono tirati dietro più a lungo era l’idea che Lost fosse una specie di purgatorio. Noi continuavamo a dire: “non è un purgatorio. Tutte queste cose stanno davvero succedendo, queste persone sono davvero sull’isola, stanno vivendo queste cose. Non faremo come ne Il Sesto Senso“. Ma comunque gli spettatori percepivano Lost in quel modo. E anche noi. Sentivamo che la serie dovesse essere metatestuale in questo senso. Noi sceneggiatori abbiamo la tendenza a diventare molto pretenziosi quando siamo tra di noi e abbiamo iniziato a dire: “ovviamente ci sono tutti questi misteri riguardo alla serie. Non sarebbe bellissimo se nell’episodio finale di Lost rispondessimo a delle domande che la serie non ha mai sollevato? Ad esempio — non so — quale è il significato della vita e cosa succede quando moriamo?” [risate]. Tutto questo succedeva tra la terza e la quarta stagione mentre stavamo iniziando a pensare al finale. Sapevamo che la stagione quattro sarebbe stata fatta coi flashforward [i salti in avanti], sapevamo che la stagione cinque sarebbe stata con l’isola che si spostava nello spazio e nel tempo, ma non sapevamo cosa avremmo fatto con la stagione sei. Avevamo finito i flashback e avevamo finito con i flashforward. Volevamo che la stagione fosse ambientata nel presente. Cosa fare? Abbiamo avuto l’idea di inserire una realtà alternativa basata sul fatto che Juliet fa esplodere la bomba e crea un mondo in cui il volo Oceanic 815 non è mai caduto sull’isola e che, in realtà, è una parabola sull’aldilà».
La registrazione dell’incontro si può vedere online. Se siete (ancora, anche dopo queste spiegazioni) fan di Lost, ne vale la pena.