Potenziali aiuti di Stato per 12,5 miliardi. Una cifra più elevata del taglio da 10 miliardi al cuneo fiscale che domani dovrebbe annunciare il premier Matteo Renzi, dopo averlo promesso a Che tempo che fa?. A tanto ammontano le operazioni nel mirino degli occhiuti ispettori dell’eurocommissario alla Concorrenza Joaquín Almunia. Poste Italiane, Ferrovie dello Stato, Banca d’Italia: per quanto non sia automatico che il sopracciglio alzato di Bruxelles comporti future sanzioni, la cifra è imponente.
La scorsa settimana, come anticipato da Linkiesta, sul tavolo del neoministro Padoan è arrivata una lettera contenente una richiesta di chiarimenti sul processo di rivalutazione delle quote di via Nazionale, in primis detenute (circa il 70%) da Intesa Sanpaolo, Unicredit e dalle Assicurazioni Generali. Si tratta della legge che innalza da 156mila a 7,5 miliardi il valore del capitale sociale di Palazzo Koch, firmata dall’ex ministro Fabrizio Saccomanni allo scopo di “aggiornare” il rendimento delle partecipazioni delle banche nell’istituto centrale raccogliendo 1,5 miliardi di risorse dalla tassazione delle plusvalenze generate.
I casi di Poste e Ferrovie dello Stato riguardano invece i trattamenti pensionistici degli ex dipendenti, regolarmente saldati all’Inps dal ministero dell’Economia, che controlla entrambe le società. Una partita di giro da 5 miliardi l’anno. Lo scorso 27 febbraio, rispondendo ad un’interrogazione al Parlamento Europeo, è stato Almunia stesso ad ammettere che la Commissione «non è stata avvisata di questi trasferimenti» da 990 milioni l’anno dal Tesoro alle Poste. Stefano Sansonetti su La Notizia ha calcolato che negli ultimi 6 anni il Tesoro ha versato qualcosa come 5,5 miliardi di euro, mentre alle Ferrovie dello Stato – sempre per le pensioni – addirittura 44 miliardi di euro dal 2006 al 2016. Una pezza che il dicastero di via XX Settembre ha dovuto mettere per garantire a postini e ferrovieri la meritata pensione. Insomma, il fardello è pesante ma inevitabile. Il rischio di un’indagine comunitaria su Poste, peraltro, riguarda anche la partecipazione in Alitalia, a cui l’ente guidato da Massimo Sarmi, in procinto di essere privatizzato, ha gettato nei mesi scorsi un salvagente finanziario da 75 milioni di euro.
La relazione di Poste e Ferrovie con il ministero dell’Economia è complicata. L’azienda amministrata da Mauro Moretti vanta 10 miliardi di crediti consolidati nei confronti della Pa, dello Stato e delle Regioni, cifra che ha segnato un miglioramento di 56 milioni proprio nei confronti del ministero dell’Economia, come recitano i conti al 30 giugno scorso. Nel medesimo periodo Poste ha accumulato 1,18 miliardi di crediti commerciali verso la Pa. Ironia della sorte, 60 milioni risalgono alle Finanziarie 2007, 2008 e 2011, che ne hanno differito la copertura. Altri 250 milioni sono ascrivibili alle «integrazioni tariffarie al settore editoriale», ovvero gli sconti applicati alle spedizioni dei giornali, si riferiscono agli anni che vanno dal 2001 al 2007. C’è di più: parte degli ulteriori 316 milioni riguardano «euroconvertitori a suo tempo distribuiti». Infine, 149 milioni «risultano privi di copertura finanziaria nel Bilancio dello Stato (clicca qui e vai a pagina 110).
È un cortocircuito: secondo un calcolo impreciso per ogni cinque euro versati negli ultimi 10 anni dall’Inps attraverso il Mef a ex postini e ferrovieri, lo Stato si è indebitato di un euro l’anno nei confronti di Poste e Ferrovie. Risultato? «Il perdurare nel tempo di tali voci, comporta per Poste Italiane SpA la necessità di finanziare volumi significativi di circolante con negativi riflessi nella gestione e redditività dei flussi monetari». Stesso discorso per Fs, che scrive nel consolidato: «Considerando il prolungato periodo di congiuntura economica negativa e, conseguentemente, la sempre maggior ristrettezza di risorse finanziarie in generale – e pubbliche in particolare – costante è il monitoraggio, da parte del management del Gruppo dell’andamento degli incassi, con specifica attenzione a quelli rientranti nel settore della pubblica amministrazione (Stato e Regioni in primis)».
In sintesi: il Mef ripiana il debito accumulato da Poste e Fs nei confronti dell’Inps. Poste e Fs – controllate dal Mef – negoziano con Governo e Ministero dei Trasporti il contratto di servizio che consente di programmare gli investimenti. Peccato che Governo, Stato e Regioni non paghino, e dunque interviene ancora il Mef. Un gigantesco conflitto d’interessi che farebbe venire mal di testa a Montesquieu, figurarsi ad un euroburocrate tedesco. Il problema è però un altro: in due business regolati dove i contratti con il pubblico sanciscono redditività e prospettive, se il pubblico non paga e l’Europa accende il proverbiale faro, gli investitori istituzionali rimarranno ugualmente attratti dalla remunerazione del capitale promessa?