Quel pasticciaccio brutto della spending review

Tutti contro tutti

La spending review sta diventando un giallo a puntate. L’ultima in ordine di tempo e la più importante riguarda il monito di Giorgio Napolitano: il presidente della Repubblica se l’è presa con i tagli che ha definito “immotivati”. Quali sono? Molti hanno pensato agli F35, i cacciabombardieri che tutti, a cominciare dallo stesso Carlo Cottarelli vorrebbero se non cancellare almeno ridimensionare; proprio mentre comincia la Guerra fredda 2.0. Altri osservatori fanno notare che la critica del Colle ha un carattere più generale: immotivati equivale a lineari e tradisce una certa irritazione per i tanti annunci e i pochi fatti. C’è chi ricorda che il vero pie’ veloce fu Mario Monti il quale in un batter d’occhio fece la riforma delle pensioni. Certo, allora c’era il rischio del default, ma le cose oggi non sono tutte rose e fiori. E Napolitano per storia, esperienza e ruolo istituzionale, non sottovaluta la portata della rottura con la Russia.

Poco prima, c’era stata l’uscita imbarazzata e imbarazzante di Marianna Madia. Ma quali 85 mila esuberi, aveva detto la ministro della funzione pubblica, si tratta di uno scambio generazionale: prepensionamenti per lasciare posto ai giovani. Dunque, tutti i contribuenti dovrebbero pagare più per gli statali ultracinquantenni allo scopo di assumere ultraventenni. E’ facile capire che, anche tenendo conto della minore anzianità, il saldo rischia di essere pesante, anzi insopportabile per il bilancio pubblico.

È vero che dal 2007 l’impiego pubblico ha perso duecentomila posti, ma abbiamo ancora tre milioni e duecentomila persone a libro paga dello stato in tutte le sue articolazioni, una cifra davvero eccessiva. E non si tratta solo di mobilità o di squilibri tra settori. Del resto, chiunque conosca la spending review negli altri paesi, a cominciare dal Canada e dalla Gran Bretagna, espliciti esempi per Cottarelli, sa che il successo è dovuto alla capacità di ritagliare il perimetro della spesa e ridurre il pubblico impiego. Il resto è folklore, come le auto blu. Non basta metterle in vendita su ebay, bisogna ridurre anche gli autisti blu.

Molti sostengono che sia stato un errore madornale mandare Cottarelli in Parlamento. Il commissario ci ha messo del suo tirando fuori l’intervento sulle pensioni del quale non aveva mai parlato prima. Ma in generale, si dice, non spetta a un funzionario confrontarsi con i rappresentanti del popolo. E dopo la gaffe, Matteo Renzi lo ha messo sotto il suo diretto controllo spostandolo a palazzo Chigi.

Al di là della forma, che pure conta, resta la sostanza. E qui arriviamo alla terza puntata: il capo del governo è davvero convinto che la spending review sia il passaggio fondamentale dal quale ricavare le risorse per ridurre le imposte e rilanciare l’economia? O si è reso conto che si tratta di un esercizio utile, ma troppo complicato e soprattutto spostato nel tempo? Renzi ha bisogno di risultati subito, prima delle elezioni europee e in ogni caso entro il 27 maggio quando ha promesso che darà 80 euro ai lavoratori dipendenti con meno di 25 mila euro l’anno.

La risposta alla domanda non è facile. Il sospetto è che Renzi stia cambiando cavallo regredendo Cottarelli al ruolo svolto già da Piero Giarda, quello di un suggeritore tecnico senza nessun peso né, tanto meno, potere. La prova l’avremo presto: se la spending review entra a pieno titolo nel Documento di Economia e Finanza è una cosa, se resta un’appendice, allora finirà anche questa illusione. E’ la puntata finale quando, come in tutti i polizieschi che si rispettano, si svela il colpevole.

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