Ristoranti&calciatori, arriva la prima stella Michelin

Il lungo elenco dei locali dei giocatori

Da quanto ci sono i ristoranti dei calciatori e i ristoranti da calciatori? Da quando c’è il calcio, evidentemente. Ma se parliamo di Locali con la L maiuscola (importanti, di tendenza, costosi), si può tracciare l’inizio della storia negli anni ’60. L’epopea della Grande Milano con le due squadre a dominare l’Italia, l’Europa e il Mondo si nutriva anche della separazione dei giocatori e dei clan per ristoranti. L’Assassino (sponda Milan) e le Colline Pistoiesi (sponda Inter) ci hanno campato per decenni. Ma quello era il tempo in cui i calciatori andavano – neppure tanto – fuori a cena e soprattutto non investivano nel wine & food. Al massimo, a fine carriera, si aprivano al paesello il bar o l’osteria con le foto dietro il bancone a ricordare la (poca) gloria che fu.

Con l’arrivo prima dei nouveaux riches (Berlusconi, Tanzi, Cragnotti, Moratti…), gli dei della pelota si sono ritrovati ingaggi stellari che sono incrementati ulteriormente con il debutto delle pay-tv. Quindi se già negli anni ’90, parecchi hanno deciso di investire nelle attività più diverse, è dal 2000 che i nostri eroi entrano a gamba tesa in ogni settore: mattone in primis e tanta moda, ma anche industria, finanza, telefonia, editoria intrattenimento e appunto ristorazione. Spesso con buoni risultati, talvolta facendo disastri: storica la “sola” della miniera di marmo nero in Perù rifilata a Roby Baggio. In un trend costante di investimento, nessun dubbio che il wine&food abbia trovato notevole spazio nell’ultimo periodo. E non stupisce – con tutto il rispetto di chi fa buon vino (Pirlo) o è impegnato in pizze e mozzarelle (Fabio Cannavaro) – il business più interessante si giochi sotto la Madonnina: ci sono decine di locali sparsi per l’Italia dove i calciatori sono titolari o soci, ma Milano caput cibi. 

Precursori i vari Billy Costacurta, Seba Rossi e Paolo Maldini poi è stato il tempo di Bobo Vieri e Christian Brocchi (ricordate Baci & Abbracci?), Gianluca Pagliuca (il fallito Tribeca con Simona Ventura), Christian Abbiati (3 Jolie) con Gennaro Gattuso che a sua volta è titolare di una pescheria e di un ristorante a Gallarate, il georgiano Kaladze (fondamentale nella rinascita del Giannino) e ci fermiamo qui, considerando il tipo di ristorazione. Rispettabile, ma non da gourmet. Sull’altra sponda ecco Javier Zanetti a difesa del patrimonio argentino con Gaucho e Botinero (quest’ultimo con Esteban Cambiasso). Il salto di qualità è sicuramente legato a Clarence Seedorf, socio dello chef nippo-brasiliano Roberto Okabe – uno dei maestri della cucina giapponese in Italia – in due locali suggestivi, amati dalla critica e sempre frequentati dalla gente che piace e si piace: Finger’s e Finger’s Garden. Ma il neo-allenatore del Milan non è il più bravo del reame – anche se gli piacerebbe – perché due glorie dell’era di Sacchi prima e poi di Capello stanno facendo ancora meglio. 

Sono Mauro Tassotti e Roberto Donadoni, ben 428 e 287 presenze rispettivamente in maglia rossonera. Ora  fanno gli allenatori: il primo al Milan (è vice dal 2001, ma lo danno per partente a fine stagione), il secondo al Parma che sta riportando ai vertici calcistici. Campioni assoluti (18 successi a testa) e persone serissime fuori dal campo, al limite del mutismo in qualche caso, ma rispettate da tutte. Beh, sarà un caso ma il loro locale Dac a Trà – in dialetto brianzolo significa “dacci retta” – è il primo gestito da calciatori (c’è un terzo socio, amico e imprenditore ma non del settore) ad aver conquistato l’agognata stella Michelin, nel giro di soli quattro anni. Un piccolo record per il locale che si trova sulla collina di Castello di Brianza (località tra Lecco e Como) e che non è nato per fare il verso ai locali di tendenza. «Direi proprio di no – sottolinea Tassotti – è stato veramente il piacere di fare qualcosa di interessante con due amici, uno dei quali compagno di una vita sportiva. Non c’era l’obiettivo di fare business per il business ma di creare un posto dove si mangia bene e si sta ancora meglio. Poi, nel mio caso, c’è anche il fatto che la Brianza è una zona del mio cuore».  In più, nel caso del “Tasso” c’è una buona e storica passione per la tavola e i vini. «In questo senso, il maestro è stato Virdis. Quando giocavamo insieme, era lui a guidarmi nelle scelte: mi ricordo per esempio, la sua dedizione all’irrangiungibile Aimo e Nadia. Non mi stupisce che abbia aperto il suo piccolo locale a Milano, impostato su prelibatezze italiane e della Sardegna, in particolare». 

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Il Dac a Trà ha cambiato volto, grazie a una giovane brigata di cucina e un altrettanto valido staff in sala, tutto al femminile. Lo chef Stefano Binda – tenetelo d’occhio – propone un menu ampio dove in linea di massima tiene una rotta classica e del territorio ma se osa, lo fa con successo. Lo provano piatti come il calamaro farcito al pane aromatico e insalate cotte, crema di cozze e zenzero; il Carnaroli mantecato alla mela cotogna, spugnole e ragù di quaglia; Due tagli di agnello iberico con salsa goulash, polenta soffiata e topinambur. Per chiudere la mini-recensione è imperdibile per i devoti al Diavolo l’antipasto “I rossoneri scendono in campo” con palline di baccalà panate al nero di seppia con striscioline di peperone rosso sul piatto. «Sono molto contento – conclude il mister milanista – non tanto perché io, Roberto e il nostro socio inseguivamo la stella ma perché è stato ben premiato l’impegno di un giovane team, a partire dallo chef. Sono bravi, s’impegnano tantissimo e quindi se la sono meritata». Dimenticavamo. Il covo brianzolo di Tassotti e Donadoni appartiene a una terza categoria di ristoranti: quella dei locali dei calciatori dove non si vedono (praticamente mai) calciatori. Categoria esigua, minima diremmo: però la migliore, visto il risultato. Avanti un altro, please. 

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