Telecom e le porte girevoli delle nomine pubbliche

Il declino del mercato domestico

Rete fissa e Brasile. Cambia la governance e il governo, ma per Telecom Italia i problemi sono sempre gli stessi. Con un’aggravante: il 7,5% dell’ex monopolista è in vendita. Generali e Mediobanca, riunite nella holding di controllo Telco assieme a Intesa Sanpaolo e agli spagnoli di Telefonica, hanno pianificato di liberarsi della partecipazione per concentrarsi sul rispettivo core business. Un ulteriore elemento d’incertezza a poco meno di un mese dall’appuntamento assembleare che dovrà sancire l’annunciata “apertura al mercato” all’interno di una compagine societaria dove il nocciolino di Telco, al 22,45%, ha falcoltà di nominare i quattro quinti del consiglio d’amministrazione.

Una partita, quella per il rinnovo degli organi sociali, che si interseca con l’apertura della stagione delle nomine nelle partecipate pubbliche, la prova del nove della rottamazione made in Matteo Renzi. Nella lista Telco, infatti, non c’è solo Giuseppe Recchi, numero uno di Eni in uscita, ma anche Flavio Cattaneo, attuale amministratore delegato di Terna. Allo stesso modo il nome di peso della lista Fossati è Vito Gamberale, a capo del fondo infrastrutturale F2i. Il presidente del Consiglio, che tra qualche giorno avrà un incontro con l’ex Mr. Agenda digitale Francesco Caio – altro nome nella girandola dei papabili per un ruolo di peso, magari in Terna – è favorevole allo scorporo della rete. Un nodo di centrale importanza per ridurre il divario digitale italiano e per veicolare via web i servizi al cittadino della Pa. Sebbene quest’ultima non sia un’operazione a costo zero in termini di posti di lavoro da ridurre.

Telecom, in questa fase, starebbe giocando d’anticipo: secondo le indiscrezioni raccolte dall’agenzia Bloomberg, Telecom sarebbe pronta a mettere sul piatto fino a 300 milioni di euro per una quota inferiore al 50% di Metroweb, onde evitare paletti antitrust. Il 54% della società che gestisce la rete in fibra ottica milanese attualmente è in mano proprio a F2i Reti, partecipata dal Fondo strategico italiano della Cassa depositi e prestiti. Vito Gamberale, uno degli inventori di Tim, ha sempre ritenuto «auspicabile» lo scorporo della rete in rame. Ipotesi al contrario invisa a Telefonica, che rimane il principale azionista con il suo 15% in trasparenza. Come suggeriscono le slide dell’audizione di Gamberale di settembre 2013 presso la Commissione Lavori Pubblici del Senato, le collaborazioni tra i due operatori potrebbero concentrarsi sullo sviluppo industriale dele reti di nuova generazione.

Del resto, il mercato continua a guardare al declino del business domestico – che vale il 60% dei ricavi – come dimostra un dettagliato report pubblicato da Credit Suisse. L’istituto elvetico si aspetta una contrazione del 6,1% delle quote di mercato nella telefonia fissa per quest’anno, rispetto al 5,5% del 2013, e del 7,5% per quanto riguarda i ricavi (un po’ meglio rispetto al -7,8% del 2013). Non a caso le telefonate in Italia, secondo un’indagine condotta dall’Ofcom nel 2012, sono tra le più costose d’Europa: l’esborso per le chiamate da rete fissa di una coppia in pensione a reddito medio-basso – con un monte chiamate di 4 ore al mese complessive – è cresciuto in un anno da 26 a 29 sterline al mese, circa 35,6 euro. Ben 10 sterline in più rispetto a Gran Bretagna e alla Francia (23 sterline). Telecom ha 13,2 milioni di linee fisse totali di cui 7,1 a banda larga. Ergo, l’ex monopolista possiede 6,1 milioni di linee solo voce, in gran parte utilizzate da privati cittadini, non da imprese. Peccato che i privati oggi in Italia possano godere di prezzi sempre più bassi sulle offerte mobile, e si spostino di conseguenza.

Rimane il Brasile. Per Credit Suisse, uno dei principali temi da tenere sott’occhio è la gestione della questione carioca. L’ex patron della Star è contrario a qualsiasi ipotesi di vendita, ma il Cade, l’authority delle Comunicazioni del Paese, ha già multato gli iberici per 5 milioni intimandogli di scegliere tra Telecom e Tim Brasil, avendo già il 29% di Vivo, il primo operatore locale. La società ha pianificato di investire in Brasile al 2016 11 miliardi di reais (4,6 miliardi di dollari) nelle infrastrutture per il 3G e 4G. Claro, controllato da America Movil del magnate messicano Carlos Slim, nel 2012 ha messo sul piatto da solo più del doppio: 10 miliardi di dollari. Insomma, non esistono pasti gratis. Eppure, se Fossati riuscisse a trovare un partner industriale – riflettono gli analisti di Credit Suisse – Telefonica potrebbe abbandonare Tim Brasil.

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