Portineria MilanoEni: Scaroni per Descalzi, ma c’è il ticket Cao-Bernabè

Nomine pubbliche

C’è un asso vincente, un nome che potrebbe scompaginare le carte nella partita per il rinnovamento dei vertici di Eni, il colosso dell’energia dove da nove anni siede Paolo Scaroni come amministratore delegato. È quello di Stefano Cao, uomo che a San Donato è cresciuto sia dal punto di vista umano sia professionale, prima in Saipem, la controllata, e poi nel Cane a Sei Zampe, con ruoli operativi via via sempre più importanti, da direttore generale a presidente fino ad amministratore delegato, prima sotto la gestione di Franco Bernabè poi sotto quella di Vittorio Mincato. Dal 2000 al 2008 è stato direttore generale di Eni Spa.

Sono quasi quarant’anni che Cao bazzica l’Eni, sin dal 1976. È un uomo fidato e stimato all’interno dell’azienda. Conosce ogni angolo di San Donato, ora è consigliere di gestione della municipalizzata dell’energia A2a, ma rimane tra gli esperti più importanti a livello internazionale di exploration, production, trivellazione, posa di oleodotti e gasdotti. Fu messo alla porta proprio da Scaroni nel 2008 perché, raccontano i ben informati, «era forse troppo capace nel contraddire il capo» e perché «qualcuno doveva pagare per i ritardi di Kashagan». Caso vuole che adesso potrebbe essere proprio lui a interrompere per sempre il regno incontrastato degli Scaroni boys. 

Al momento, infatti, Cao è il manager più quotato in Eni, soprattutto perché conosce le questioni economiche come i progetti più spinosi di questi ultimi mesi, dalla commessa da 2 miliardi di euro di South Stream con Gazprom – da dove passano i rapporti con la Russia di Vladimir Putin e che Scaroni dà già per traballante – fino al giacimento di Kashagan sul Mar Caspio, progetto che, tra problemi di ogni tipo come inchieste e guasti alla pipeline, non ha dato ancora i risultati attesi a quasi vent’anni dalla creazione. Cao conosce bene questi progetti. Li ha visti nascere sin dall’inizio. Del resto, fu lui a chiudere il Blue Stream, gasdotto per il trasporto di gas naturale dalla Russia alla Turchia attraverso il Mar Nero. E fu sempre lui a veder nascere quello che è diventato il «buco nero» di Kashagan o “la grande debacle”, per dirla come il Wall Street Journal, all’inizio del nuovo millennio. In sostanza, la sua nomina ad amministratore delegato potrebbe chiudere con qualche scossone la situazione interna, ma senza troppi strappi la reggenza Scaroni dal punto di vista geopolitico.

Non solo. Saipem, che a febbraio fu a rischio cessione per un’offerta poi mai arrivata della norvegese Subsea 7, sta trattando diverse commesse miliardarie per i prossimi anni. È in pole position per firmare un contratto multi-miliardario per fornire due navi Fpso (Floating Production Storage and Offloading) per il progetto Kaombo al largo dell’Angola. E resta uno degli asset più importanti per l’Eni, anche se si trova sotto indagine per la vicenda delle tangenti in Algeria dove Scaroni è indagato per corruzione internazionale. Ma proprio per questo motivo, «per riportare ordine» come spiegano in tanti, la figura di Cao potrebbe essere quella chiave anche per superare le difficoltà di gestione e di comunicabilità negli ultimi mesi tra Eni e la controllata.

A quanto pare il “foglietto” compilato dai cacciatori di teste di Spencer & Stuart, con sopra i nomi dei nuovi manager, dovrebbe arrivare sulla scrivania di palazzo Chigi prima della fine della settimana. Da quel che trapela i nomi sopra riportati sono appunto quelli di Stefano Cao, dell’attuale direttore generale Claudio Descalzi, di Lorenzo Simonelli di General Electric divisione Oil & Gas, dello stesso Scaroni, dell’ex amministratore delegato dal 1992 al 1998 Franco Bernabè (da poco uscito da Telecom) e dell’esperto di shale gas e professore di Harvard, con un profilo filo americano, Lorenzo Maugeri. 

A metà aprile il ministro dell’Economia Gian Carlo Padoan e il presidente del Consiglio Matteo Renzi incontreranno i vertici di tutte le aziende che andranno in scadenza. Ci sono Finmeccanica, Terna, Ferrovie dello Stato e appunto Eni, che ha l’assemblea dei soci azionisti il prossimo 8 maggio. La scelta sulla nomina del nuovo amministratore delegato e del presidente transiterà quindi da una «certa condivisione» di intenti con la società. Scaroni, su questo, si era già coperto le spalle negli scorsi mesi, facendo approvare al consiglio di amministrazione un documento che tratteggiava l’identikit del nuovo presidente e ad, che di fatto lo quotava per un rinnovo sicuro, sia per la conoscenza delle lingue (“profilo internazionale”) sia per quella delle criticità economiche aziendali su cui lavora da anni (“figura di garanzia”). Non è detto che basti.

A quanto pare Renzi gradirebbe una presenza di un giovane come Simonelli, 40enne fiorentino. Ma a San Donato non è visto di buon occhio, perché la sua competenza Oil & Gas sarebbe esclusivamente «per forniture di macchinari per gli impianti». Nulla a che vedere con Eni, insomma. In particolare con E&P: Exploration & Production. Per questo motivo, una nomina di Simonelli sarebbe di sicuro osteggiata dai vertici del Cane a Sei Zampe. Il punto vero, secondo i ben informati, intorno a cui si gioca la partita, riguarderebbe invece Descalzi. 

La nomina dell’attuale direttore generale – ascoltano in commissione industria mercoledì 2 aprile – ad amministratore delegato rappresenterebbe secondo diversi fonti «un segnale di continuità» della gestione Scaroni. Anzi, c’è chi dice che per il manager vicentino sarebbe proprio questa la soluzione «ideale», magari con lui come presidente, simbolo del mantenimento dello status quo. Per questo motivo, in tanti, fuori e dentro il Cane a Sei Zampe, stanno lavorando per affossare Descalzi, perché, come chiedono in molti, «serve qualcuno che in questi anni sia stato lontano dalle cassa della società». Che insomma non rischi di ripiombare negli stessi guai giudiziari che hanno riguardato la gestione Scaroni.  

Cao è uno di questi, come lo stesso Maugeri o come Bernabè. Il ticket che va per la maggiore in queste ore è proprio questo: Cao amministratore delegato e Bernabè presidente. Anche se il professore di Harvard è molto gradito dall’amministrazione statunitense di Barack Obama: lo stesso Mister President lo avrebbe confidato a Renzi durante la visita a Roma. Di certo, Bernabè, ex numero uno di Eni negli anni ’90, troverebbe uno dei suoi uomini, di quelli che rialzarono il colosso energetico dopo la stagione di Tangentopoli, colpita sotto le indagini e il suicidio di Gabriele Cagliari. Del resto, come dicono alcuni, «l’azienda va rivoltata come un calzino, come accadde in quel periodo». 

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