La riforma del Senato non è perfetta, ma serve rottura

Oltre le critiche

“Assurdo e ingombrante”; già negli anni ’60 il costituzionalista Vezio Crisafulli definiva così il bicameralismo italiano, riferendosi ai lunghi tempi di gestazione delle leggi e alle pratiche di “boicottaggio” che i riesami incrociati rendevano possibili. Il dibattito sul superamento del bicameralismo perfetto ci accompagna da che è nata la Repubblica.  

Nel suo recente saggio “Il Bicameralismo e la Singolarità del Caso Italiano”, Vincenzo Lippolis vi riconosce il frutto mediocre del compromesso, in Assemblea Costituente, tra le Sinistre che propendevano per il monocameralismo di radici francesi, e Democristiani e Laici che cercavano maggiori garanzie di riflessione e bilanciamento, senza però aver chiari i ruoli che la seconda Camera avrebbe dovuto svolgere. Quei ruoli, in effetti, sono rimasti inespressi sino a oggi. Neppure l’entrata in operatività delle Regioni (1970) ha attenuato la contraddizione, visto che è continuato a mancare un effettivo legame di rappresentatività fra Senato e Regioni che desse alle elezioni “a base regionale” del Senato una concreta connotazione istituzionale e specializzazione tematica.

Anche se i termini del dibattito sono noti da tempo, dare adesso un giudizio netto del Ddl costituzionale “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario…” non è facile, e questo spiega i pareri discordi che sono giunti anche dagli esperti.

L’impalcatura istituzionale di un Paese democratico è fatta di tante componenti, che assieme si incastrano, si bilanciano e cooperano. In particolare, l’assetto mono o bicamerale richiede un disegno diverso per la legge elettorale. Se la rappresentanza politica è affidata ad una sola Camera, la legge elettorale deve fornire sufficienti possibilità di partecipazione a tutte le formazioni politiche in quella Camera. La nuova legge elettorale, il cosiddetto “Italicum”, non risolverebbe il problema, come spiega Valentino Larcinese su LaVoce.info. Questa critica al Ddl è concreta: cambiare gli equilibri tra le Camere, senza contestualmente ridiscutere le regole di voto e di elezione, espone a rischi.

Meno condivisibili, o non condivisibili affatto, sono altre critiche che il Ddl ha ricevuto, in particolare, quelle riguardanti il monocameralismo tout court, la sua capacità di dare voce alla democrazia e di combinare rappresentanza politica nazionale e rappresentanza delle istanze dei territori. Questi sono dei dubbi infondati, che probabilmente si spiegano soprattutto con l’affezione al modello costituzionale che ci ha accompagnato da sempre e con cui la nostra Repubblica è nata.

Oggi i Parlamenti monocamerali sono più numerosi di quelli bicamerali. Pur nella varietà delle caratteristiche specifiche dei Paesi, una analisi internazionale a tutto raggio tende a suggerire che nelle “[…] democrazie avanzate il monocameralismo è più congeniale a Stati di ridotte dimensioni” (Lippolis) mentre il bicameralismo differenziato diventa strumento essenziale in Stati estesi e molto differenziati al loro interno. L’Italia potrebbe, probabilmente, essere un buon esempio di Stato di ridotte dimensioni e anche sufficientemente omogeneo; gli Usa esempio di Stato esteso e composto da realtà eterogenee sotto molteplici profili. Il monocameralismo, non solo non porta necessariamente diminutio per la democrazia ma, al contrario, può farla funzionare meglio a seconda dei contesti dove si applica.

Anche le presunte difficoltà del monocameralismo a veicolare le istanze dei territori sono infondate e comunque da valutare sempre in relazione al contesto. Gli eletti alla (mono) Camera non sono depositari di una generale rappresentatività nazionale, ma provengono da collegi territoriali e ricevono i voti nei loro collegi. Quanto alla qualità e al rigore del vaglio delle leggi, non è necessario avere una Camera duale che ripeta discussioni e votazioni, ma lo stesso obiettivo può essere perseguito, anche in maniera più fluida e trasparente, innalzando il grado di approfondimento dei lavori nel monocameralismo (ad esempio incorporando pareri tecnici super partes).

Tra principi astratti e difficoltà concrete del caso italiano, quale posizione di sintesi assumere rispetto al Ddl? Se si potesse contare su una legge elettorale più equilibrata, il superamento del bicameralismo perfetto avrebbe numerose ragioni a suo supporto. Se così fosse, il modello proposto dal Ddl potrebbe apparire addirittura un po’ troppo prudente e teso a conservare comunque l’istituzione Senato, pur profondamente modificata.

Il Senato avrebbe potuto essere del tutto cancellato e sostituito con il sistema delle Conferenze (Regioni, Stato-Regioni e Unificata), che già esistono e si occupano di coordinamento di finanza pubblica e di politica economica tra Stato e territori. La funzione legislativa e di fiducia al Governo, snellita e velocizzata, sarebbe rimasta in toto alla sola Camera dei Deputati. Va osservato, tuttavia, che anche il sistema delle Conferenze ha bisogno di essere ammodernato e codificato in tanti processi che sinora sono stati condotti in maniera concertata e non perfettamente trasparente ai cittadini (si pensi al bargaining per la ripartizione del Fondo sanitario nazionale).

Andare avanti e accettare dei rischi, o aspettare di avere un pacchetto completo di riforme (bicameralismo, legge elettorale, rafforzamento delle Conferenze, ma anche legge sul conflitto di interesse, etc.) condiviso e soprattutto votabile dal Parlamento? È una domanda che sta risuonando spesso da troppi anni, perché si sono accumulati talmente tanti ritardi su più fronti che qualunque tentativo di cambiamento è destinato a scontare vincoli e a portare con sé rischi di controeffetti. È così sia per le riforme delle istituzioni che per quelle dei mercati.

Veniamo da anni in cui il sistema parlamentare non ha certo goduto di buona salute, con rischi di atrofizzazione e svuotamento vissuti nella pratica quotidiana di Camera e Senato.Anziché lo spettro che la modifica del Senato apra a interventismi autoritari, quello che è sotto gli occhi di tutti, è l’impaludamento del sistema democratico proprio quando rapidità, logicità e trasparenza delle scelte dovrebbero essere ingredienti necessari per far rinascere il Paese.

Un elemento di rottura serve. Da qualche parte bisogna incominciare. Sebbene non “a cuor leggero” spero che il Ddl vada in porto e che sia solo l’inizio di un intenso processo di democratico rinnovamento e svecchiamento.

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