Questa è una storia che dipende da come la guardi, una storia che ha radici antiche e che bisogna contemplare dall’alto di un volo panoramico affacciato sulla storia, e non dal buco di una serratura di una bega diplomatica: Sonia contro l’Italia, Sonia che non parla più italiano (la sua lingua natia), Sonia che oggi si oppone alla restituzione dei Maró, dopo che un anno fa, nel marzo del 2013 aveva dato sfogo alla sua rabbia: «Quello dell’Italia è un tradimento assolutamente inaccettabile». Questa è una storia in cui bisognerebbe avere il coraggio di spogliarsi delle ridicole lenti deformanti del nazionalismo, e chiedersi se questo apparente grumo di risentimento della terza donna più potente del mondo (dopo Angela Merkel e Dilma Roussef secondo Forbes c’è lei), quello che a prima vista, con gli occhiali dell’orgoglio patriottico ci appare come un tremendo tradimento, non sia in realtà una presa di posizione resa inevitabile dalla storia e dagli eventi, uno strappo figlio della ragione di stato, una scelta sofferta, scespiriana, ma in qualche modo ineluttabile.
Ci racconta il Corriere della Sera che oggi la durezza di Sonia è l’ostacolo più ingombrante sulla strada della trattativa Italia-India, ed è sicuramente vero. In qualche modo non può che essere così: Antonia Edvige Albina Maino detta Sonia, l’ex ragazza di Lusiana, nata in un angolo rassicurante della provincia di Vicenza, ma cresciuta ad Orbassano (alla periferia di Torino) è uno dei più grandi enigmi della storia mondiale. Cosa rende possibile la metamorfosi di una figlia prediletta della borghesia italiana (suo padre era un imprenditore, sua madre la figlia di un carabiniere) che dopo aver frequentato il collegio delle suore di Maria Ausiliatrice a Giaveno, nel cuore del settentrione italiano diventa il leader del più importante partito, della nazione dove la politica è condizionata, più che in ogni altro paese del mondo, dalle influenze etnico-religiose? Sonia, che aveva incontrato Rajiv Gandhi (figlio di Indira Gandhi, nipote di Jawaharlal Nehru e futuro primo ministro dell’India) quando lui era uno studente all’Università di Cambridge e lei era una semplice studentessa di inglese della Lennox Cook School (una scuola di lingue per stranieri) è oggi una delle poche donne della storia dell’umanità che sia riuscita a diventare leader di una superpotenza planetaria.
Sonia che abbraccia la cittadinanza indiana solo nel 1983, quindici anni dopo il suo matrimonio con Rajiv, quando capisce che la carriera politica del marito era minata dalla sua cittadinanza italiana. Sonia che resta lontana dalla politica finché Rajiv è in vita, e che compie la sua quarta metamorfosi (ragazza della buona borghesia, studentessa cosmopolita, moglie appartata, leader) quando decide di salvare un’eredità politica che rischiava di essere dissipata. Anche perché il sogno liberale e modernizzatore di suo marito, che si apprestava a ridiventare primo ministro dopo uno scandalo che aveva colpito i suoi collaboratori, si era infranto il 21 maggio 1991, a Sriperumbudur, (pochi giorni prima delle nuove elezioni generali in cui era favorito), Sotto i colpi di un commando delle Tigri Tamil, l’organizzazione militare clandestina che lottava per l’indipendenza dei tamil dello Sri Lanka.
Dal giorno della sua discesa in campo (Nel 1998 ha assunto formalmente la guida dell’Indian National Congress) Sonia è inseguita dai sospetti sulle sue origini straniere, dai dubbi sulla sua identità, e sull’accusa di non aver mai parlato in modo fluente l’hindi fino al suo ingresso in politica. I suoi detrattori sostenevano (e dicono ancora) che Sonia è una marionetta, una donna di facciata, una sorta di attrice che si finge indiana manovrata dal gruppo dirigente degli ottimati di partito. Ma oggi il suo potere è in gioco, ancora di più dopo la candidatura del figlio. Stupirsi per la durezza della Ghandi sul caso dei Maró – quindi – vuol dire ignorare la storia di un popolo, il percorso di una dinastia elettiva, significa non accorgersi che i due fucilieri sono il sale che viene gettato dalla cronaca su una ferita antica e non rimarginata.
Così si spiegano sia l’atteggiamento oggi, sia il fatto che un anno fa Sonia Gandhi, nel corso di un incontro del gruppo parlamentare del suo partito, aveva detto, con durezza apparentemente inusitata: «La sfida del governo italiano sulla questione dei due militari e il tradimento dell’impegno dato alla Corte Suprema sono assolutamente inaccettabili. Non sarà permesso di sottovalutare l’India – aveva aggiunto – e devono essere utilizzati tutti i mezzi per assicurare che l’impegno assunto dal governo italiano di fronte alla Corte Suprema sia rispettato».Sonia Ghandi non è quindi “L’italiana che rifiuta l’italiano”, è una donna colta, istruita, abile, capace di continue metamorfosi e di cambiamenti di identità in nome di una ragione superiore a cui ha sacrificato frammenti importanti della propria vita e della propria identità. Immaginarla come una sorta di spergiura vuol dire rischiare di non comprendere nulla: questa è una storia che dipende da come la guardi e – con tutto il rispetto per il dramma dei due Maró – non si può ponderare osservandola dalla prospettiva dei due fucilieri.