Figlie d’arte. Quel particolare se lo portano dietro neanche fosse una nota biografica. Manager e imprenditrici cresciute nell’azienda di famiglia, all’ombra di un padre ingombrante. Ma Luisa Todini, Emma Marcegaglia e Federica Guidi sono anche altro. Tre donne di età e coordinate geografiche diverse, con un destino in comune. Il segno di un cambiamento profondo nella storia politica italiana. Sono loro il potere con la gonna. La testimonianza di quella nuova attenzione alla parità di genere — soprattutto sulle poltrone che contano – che Matteo Renzi ha adottato come linea guida della sua rivoluzione. Chi prima, chi poi, tutte entrate nelle grazie di Silvio Berlusconi. Due, Guidi e Marcegaglia, si sono allenate in Confindustria per poi diventare rispettivamente ministro dello Sviluppo economico e presidente di Eni, asset che per gli addetti ai lavori «conta più di qualsiasi ministero». La terza, Luisa Todini, è partita giovanissima dal Parlamento di Bruxelles per finire alle Poste, uno dei colossi pubblici più chiacchierati e ambiti della storia repubblicana. Alla faccia di chi le considera solo figlie di papà.
Umbra classe 1966, Luisa Todini è il nuovo presidente di Poste Italiane, 150mila dipendenti e 14mila sportelli: a lei spetta la massima poltrona di rappresentanza in viale Europa. La gavetta però l’ha fatta alla Todini costruzioni generali, azienda di famiglia di cui è presidente, acquistata nel 2009 dal gruppo Salini. La compagine fondata da papà Franco, cavaliere del Lavoro scomparso nel 2001, è specializzata da sempre nella costruzione di grandi infrastrutture in Italia e nel mondo, ma tramite i suoi rami è arrivata a mettere le mani anche nel campo immobiliare, nell’agricoltura e nel turismo. Tre lingue parlate, una laurea in legge, Luisa colleziona incarichi di prestigio con frequenza sorprendente. La presidenza del Comitato Leonardo, che riunisce i campioni del Made in Italy, il foro di dialogo italo-russo. Dal 2008 è membro della Fondazione Italia Usa, senza per questo disertare le passerelle televisive nei talk che contano, Ballarò su tutti.
Molti la ricordano per la sua esperienza da europarlamentare di Forza Italia, eletta a soli 28 anni con un tesoretto di 90mila preferenze. Dicono che il padre non avesse fatto i salti di gioia davanti alla notizia della sua discesa in campo. Icona di imprenditrice gradita al centrodestra ma non per questo invisa al centrosinistra, per due volte le è stato chiesto di correre come candidata governatrice azzurra nel Lazio: nel 2009 fu Berlusconi in persona a telefonarle. Del resto all’ex Cavaliere deve essere sempre piaciuta. Alle Politiche del 2008 le aveva proposto una candidatura in un collegio sicuro. Qualche tempo dopo le avrebbe offerto addirittura la poltrona di ministro dello Sviluppo Economico al posto di Claudio Scajola. Lei ha sempre declinato, lusingata ma tassativa: «Sono molto impegnata». Cambiati i governi, Luisa resta sulla cresta dell’onda. Con l’avvento dell’esecutivo tecnico di Mario Monti la sua figura torna a circolare per una poltrona da sottosegretario. L’ingresso nel Cda della Rai arriva però nel 2012, in quota Lega-Pdl.
Prima della Capitale c’è una parte dell’infanzia trascorsa nella campagna umbra a Cecanibbi, frazione di Todi. La vita, non esattamente agiata, racconta lei stessa di averla cominciata in una casa di pietra con un solo bagno per tutti e «lenzuola gelide che cercavamo di riscaldare con un braciere». Poi lo sbarco a Roma dove papà Franco, ex contadino poi imprenditore, negli anni 70 vince l’appalto per la Pontina insieme ad altri lavori pubblici che avrebbero sancito il successo del business di famiglia. Con le soddisfazioni arrivano anche le grane giudiziarie e le indagini della magistratura per la famiglia, Luisa compresa, che nel 2012 intervistata da Vittorio Zincone sospirava: «Ho avuto avvisi di garanzia per i reati più improbabili come quasi tutti i “costruttori missionari”. Ma la fedina penale è pulita». Ironia della sorte, lo sbarco nel cda della Rai è avvenuto al fianco di un ex pm di Mani Pulite come Gherardo Colombo: «Quando mi sono avvicinata a lui mi ha chiesto: “Ci conosciamo?” Gli ho risposto: “No ma il suo pool ha cercato di mettere in galera tutta la mia famiglia”, ora abbiamo un ottimo rapporto».
Testimone di nozze di Paolo Cirino Pomicino, amica dello chef dei vip Filippo La Mantia, Todini vanta un’agenda di entrature politiche niente male. Berlusconiana della prima ora sfumata con tinte di delusione: «La rivoluzione promessa non c’è stata e nemmeno gli investimenti per la crescita. Quando l’ho conosciuto, nel 1994, dedicava alla politica l’80 per cento delle sue energie. Ora quell’80 per cento è concentrato sui processi». In compenso non ha mai nascosto simpatie renziane. E davanti a chi le chiedeva di scegliere il suo candidato tra Berlusconi e Renzi, lei se l’è sempre cavata in punta di fioretto: «Berlusconi sceglierebbe Renzi».
Anche Emma Marcegaglia, neopresidente Eni, ha una storia importante nell’azienda di famiglia. Erede al trono della dinastia dell’acciaio. Parallelamente alla scalata nel gruppo fondato dal padre Steno nel 1959, ha percorso l’intero cursus honorum in Confindustria. Presidente nel 2008, oggi conserva ancora il ruolo di top manager della Luiss, ateneo in dote a viale dell’Astronomia. Come per Luisa Todini, gli apprezzamenti di Silvio Berlusconi non le sono mai mancati. Era il 2009 quando l’ex Cavaliere si lasciò andare a uno sfizioso retroscena: «Ieri sera — raccontò all’assemblea degli industriali — la presidente di Confindustria è venuta a trovarmi a Palazzo Chigi e un commesso mi ha detto: “C’è di là una velina”. Era la presidente, in gran forma, elegante, tutta vaporosa perché aveva una cena: sembrava volasse sui tappeti di Palazzo Chigi».
Sembrava l’inizio di una proficua collaborazione sulle riforme. Invece niente. L’allontanamento progressivo tra Emma e il governo Berlusconi culmina con l’incidente diplomatico tra la presidente degli industriali e il vicedirettore del Giornale Nicola Porro, al centro delle polemiche per alcune presunte minacce telefoniche al portavoce della Marcegaglia, Rinaldo Arpisella. Una storia bizzarra a metà tra il furore giornalistico e le intimidazioni. Oggi, intervistato dal Fatto Quotidiano, è lo stesso Porro a ricostruire le dinamiche della nomina all’Eni: «Berlusconi non può averla sponsorizzata, lei gli aveva fatto un culo così. All’inizio era super berlusconiana, poi io scrivevo sul Giornale “le dolci banalità di Emma..”». Sulla vicenda delle telefonate il giornalista conserva il dente avvelenato: «Io cazzeggiavo e il portavoce mi fece chiamare da Confalonieri. Macegaglia si è comportata male, per non dire altro, a me disse che aveva capito che era uno scherzo, al pm di Napoli di essersi sentita minacciata». Oggi è donna Emma a doversi difendere, questa volta dalle accuse di conflitto di interessi legate all’attività dell’azienda di famiglia e alle vicende giudiziarie del fratello Antonio che anni fa patteggiò una pena per corruzione che coinvolgeva Enipower.
Prima degli idrocarburi però, c’è stata la politica. Nel 2012 ritornano i rumors di un ticket elettorale Berlusconi-Marcegaglia. Anche stavolta non se ne fa nulla, l’imprenditrice mantovana rifiuta la discesa in campo sancendo una volta per tutte l’allontanamento dal Silvio Berlusconi che alcuni si erano ostinati a dipingere come il suo aspirante “padrino politico”. Oggi sembrano passati secoli da quel 2009, quando l’ex Cavaliere si presentò a Santa Margherita Ligure per il convegno dei giovani industriali di Viale dell’Astronomia. Mentre posava davanti ai fotografi con Emma Marcegaglia e l’allora presidente dei Giovani di Confindustria Federica Guidi, Berlusconi non si era lasciato sfuggire una battuta delle sue: «Prenderete atto che abbraccio due signore che non sono minorenni».
E così ecco spuntare la terza figlia d’arte. Quella ragazza bionda, dal sorriso vagamente impacciato, oggi dirige il dicastero dello Sviluppo Economico. Preferita dal premier rottamatore a Mauro Moretti – passato nel frattempo dalle Ferrovie a Finmeccanica – è stata subito etichettata dai maligni come «il ministro berlusconiano del governo Renzi». Lo stesso Berlusconi, peraltro, avrebbe alzato il telefono tra i primi per congratularsi con Federica Guidi. Dopodichè, a margine di una nomina su cui si vocifera abbia lavorato addirittura Denis Verdini, l’ex Cavaliere avrebbe esultato con i suoi collaboratori: «Abbiamo un ministro pur essendo all’opposizione». Una vita in azienda, la Ducati Energia, leader nella produzione di condensatori per l’elettrotecnica. Figlia di papà, ça va sans dire: in questo caso l’imprenditore Guidalberto Guidi, già vicepresidente di Confindustria e amico di vecchia data, guarda un po’, di Silvio Berlusconi.
Nel Palazzo Federica entra ufficialmente nel 2008, con la nomina a presidente dei giovani di Confindustria. Coincidenze e casualità: in quei giorni il numero uno di Viale dell’Astronomia è Emma Marcegaglia. Mentre il presidente uscente sostituito dalla Guidi è Matteo Colaninno, altro celebre figlio d’arte dell’industria italiana. Anche nel curriculum della ministra non manca la trafila delle avances politiche — vere o presunte — di Berlusconi. L’apice si raggiunge nel 2012, quando l’ex Cavaliere pensa a lei addirittura per il ruolo di vice. La Guidi, considerata un volto nuovo più che funzionale alla rinascita azzurra – giovane imprenditrice, faccia pulita, famiglia importante — si limita a rispondere con un innocente «Mai dire mai».
Al governo, però, ci entra con Matteo Renzi. Pochi mesi fa. Una nomina allo Sviluppo economico accompagnata da antipatiche polemiche sui presunti conflitti d’interesse che graverebbero sulla sua testa. Colpa di un’azienda di famiglia che opera in un settore di competenza del ministero e che ha commesse con colossi pubblici come Enel, Poste e Ferrovie. Guidi si difende dalle colonne de La Repubblica: «Non sono mai stata azionista e fino a pochi giorni fa ero un dirigente, l’Italia rappresenta per Ducati Energia meno di 20 milioni di fatturato su un totale consolidato di 147 milioni». Con la stessa intervista deve rispedire al mittente i rumors di una cena a villa San Martino qualche giorno prima della sua promozione a ministro. «Con Berlusconi mi do del lei e io non sono mai stata ad Arcore. Lo avrò visto una decina di volte, non di più». Caso chiuso, con borbottii bipartisan.