«Grandi limiti generano grande potenza». La frase di uno dei mobilieri più reattivi, tra quelli incrociati tra gli stand del Salone di Mobile di Milano, sembra uscita da un film blockbuster. Ma fotografa perfettamente il colpo di reni che il settore si è dato quest’anno.
“È l’edizione della svolta?” abbiamo chiesto a ciascuno di loro, e la risposta è stata sempre positiva. Per sei anni, tolto un lievissimo respiro nel 2010, il manifatturiero italiano è stato depresso e si è sentito quasi senza via d’uscita. Il settore legno e arredo non ha fatto eccezione. I dati ufficiali delle associazioni di categoria sono negativi, quelli di centri studi indipendenti, che considerano i dati a valori costanti (al netto, quindi dell’inflazione) lo sono molto di più. Il Csil parla di una discesa del 12% del fatturato nel solo biennio 2012-2013, rispetto al 2011. «Il mobile ha perso il 50% in cinque anni – dice un giovane titolare di una grande azienda del Nord Est -, non credo ai dati che parlano di discese del 2 o 3 per cento all’anno».
Installazione a Ventura Lambrate durante la Milano Design Week (Stefania D’Alessandro/Getty Images)
L’ossigeno dell’export
La svolta, però, è arrivata. Quando si chiede il motivo, la risposta più comune è “Stati Uniti”, seguita da “Russia” e “Australia”. «Quest’anno ci aspettiamo una crescita del fatturato del 36%, in gran parte grazie agli Stati Uniti, dove abbiamo 36 negozi, di cui 22 monomarca», dice Simone Gennari, direttore generale della Pedini, che dal paese di Lucrezia di Cartoceto (Pesaro Urbino) fattura più di 10 milioni di euro, per l’85% derivanti dall’export.
«Stati Uniti, Canada, Regno Unito. E Russia, dove speriamo che le cose rimangano tranquille», risponde Gina Cester, amministratore delegato delle cucine Cesar, di Pramaggiore (Venezia, vicino al distretto del mobile friulano) alla domanda su che cosa stia spingendo la ripresa. Il gruppo prevede di chiudere il 2014 con una crescita del fatturato di oltre il 25%, da 26 a 33 milioni di euro.
Anche per Marta Anzani, corporate manager di Varenna, gruppo Poliform, a trainare sono «le Americhe, in particolare gli Stati Uniti», seguite dall’Asia, dove i grandi mercati dell’Australia e di Singapore tornano a salire, dopo un periodo di contrazione. Non si sono invece mai fermati negli ultimi cinque anni i nuovi mercati, di «Sud America, Cina, India».
Marta Anzani, corporate manager di Varenna, gruppo Poliform
Missoni Home parla, con Alberto Jelmini, di salita del Nord Europa e Germania, mentre da Faer, marchio del marchigiano gruppo Lube, sono indicati come mercati in espansione quelli del Nord Africa e Medio Oriente, oltre che di India e Cina.
Ripresa in Italia: non pervenuta
Non c’è invece traccia, sentendo le aziende, della fiducia manifestata dalle associazioni di categoria e dal governo del risveglio della domanda interna, sulla spinta del bonus mobili varato nell’estate 2013 (50% di detrazione in 10 anni per spese fino a 10mila euro).
«La domanda in Italia è piatta, il mercato è spento e senza entusiasmo», dice Gennari di Pedini. Il bonus mobili? «Non l’abbiamo sentito, forse vale per un target inferiore al nostro». Una risposta simile arriva da Cesar e da Poliform. «In Italia queste iniziative non le sappiamo comunicare – commenta Marta Anzani -. Pochi hanno saputo del bonus».
A sentire le aziende, sembra che l’appellativo di “bonus Ikea”, appioppato dai detrattori della misura per indicare che avrebbe avvantaggiato solo la fascia più economica del settore, non fosse così peregrino. Nessuno degli intervistati sembra averne beneficiato, così come non si sono visti i segnali di ripresa interna. «Purtroppo nessun segnale dall’Italia», rispondono da Missoni Home. «Continua l’incertezza e la precarietà, per fare investimenti sulla casa serve una stabilità che la disoccupazione attuale non porta certo», commenta Emanuele Stacchetti, direttore commerciale di Faer-Lube. «Il 2014 era partito bene, ma da marzo abbiamo visto una nuova flessione – aggiunge Gina Cester di Cesar -. I rivenditori italiani oggi avvertono confusione, incertezza, destabilizzazione».
Rosita Missoni e Alberto Jelmini, Missoni Home
Distribuzione bocciata
Di certo i negozianti non escono bene dai quadri tratteggiati dai produttori. «Non tutti sono stati all’altezza del momento – sintetizza Gina Cester -. Parte dei rivenditori si sono organizzati per essere all’altezza dei servizi. Altri si stanno muovendo solo ora, ma è troppo tardi». Per Marta Anzani, di Poliform, i problemi sono due: un mercato della distribuzione «drogato, con continui sconti e promozioni che finiscono per distruggere le aziende» e, forse ancor più grave, il fatto che tra i venditori «non ci sono più professionisti del settore. C’è troppa confusione e la responsabilità parte dalle scuole: non c’è più capacità di lavorare su Cad, fare rendering o persino fare una lettura completa e adeguata della price list».
Lo stand di Missoni Home al Salone del Mobile (Pier Marco Tacca/Getty Images)
Se la distribuzione sembra un anello davvero debole del settore (come ha detto lo stesso Roberto Snaidero, presidente di FederlegnoArredo), c’è chi ha deciso di prendere il toro per le corna e guidare esso stesso il cambiamento. L’Imab Group di Fermignano (Pesaro Urbino), con un fatturato di circa 110 milioni di euro e 600 dipendenti, è uno dei produttori più grandi e al contempo uno dei meno conosciuti al grande pubblico. Finora ha servito solo il mercato professionale, o B2b, ma da poco ha creato un proprio format di vendita, chiamato Pensarecasa.it. Oggi ci sono circa dieci negozi, da Piacenza a Canicattì, ma, ci spiega Gianni Severino, che lavora nell’ufficio marketing e comunicazione del gruppo, non sono che dei test. Prove generali, insomma, per conoscere più da vicino i comsumatori e prepararsi a esportare il format all’estero. È per farsi conoscere dagli operatori stranieri, ci spiega Severino, che la società ha allestito uno degli stand più grandi del Salone, esteso su circa 800 metri quadrati.
Vendere i format
Va oltre il marchio padovano Lago, 30 milioni di fatturato e circa 180 dipendenti, con un 2014 iniziato in crescita. Il suo amministratore, Daniele Lago, non gira attorno al tema: «da anni ci poniamo il problema della distribuzione» e la soluzione trovata si compone di diversi tasselli, che si possono riassumere in due frasi: «non voglio più vendere un prodotto, ma un format» e «vogliamo passare da manufacturing design a service design».
Daniele Lago, amministratore delegato di Lago
Quella che viene presentata come una visione “olistica” del design, prevede che a partire da un manifesto, chiamato Interior Life, si sviluppi una rete di designer e di occasioni di vendita e di comunicazione. Ci sono i negozi più tradizionali, circa 30 monomarca e 400 shop in shop o altre presenze in punti vendita multimarca, ma anche una serie di appartamenti arredati con mobili Lago, dove si può comprare e organizzare eventi. Ora sono una decina, ma se ne aggiungeranno una trentina nei prossimi mesi, partendo da New Dehli, Amsterdam e Shanghai.
La parte più interessante del progetto sono però le partnership con i punti vendita: bar, ristoranti, gallerie d’arte, perfino parrucchieri, vengono arredati interamente con prodotti del produttore di mobili padovano. Diventano una sorta di showroom del marchio e per questo hanno degli sconti sull’arredo. «Tutti i retailer in posizionamento Lago sono nostri potenziali partner», dice Daniele Lago.
E-commerce, anno zero
Il gruppo di Villa del Conte è anche uno dei pochi a non derubricare l’e-commerce a modalità di commercio impossibile da applicare al mondo del mobile. «Vogliamo vendere online ovunque – dice Daniele Lago -. Va però ricercato un equilibrio tra mondo offline e online: quando si vende via e-commerce in un luogo, ad esempio, si dà una commissione al retailer presente nel territorio». L’e-commerce dovrebbe essere funzionale a un altro dei progetti dell’amministratore delegato, ossia la vendita di prodotti usati del marchio, pensata anche con lo scopo di rafforzare la “community” dei clienti.
«Ci ispiriamo alla semantica dal web – conclude Daniele Lago -. Se pensi in vecchio, fai le cose che hanno fatto tutti. Se pensi il nuovo, ti immagini una fusione tra concetti vecchi e nuovi, e ottieni valore».
Ventura Lambrate (Stefania D’Alessandro/Getty Images)
Non sono però in molti a credere nell’e-commerce. «Crediamo nella tecnologia, ma l’ecommerce pure è zero, il nostro è un prodotto troppo complesso», secondo il direttore generale di Pedini. «Preferiamo investire nella formazione di chi sta nei punti vendita, l’ecommerce è più adatto a chi vende complementi d’arredo», secondo Anzani di Varenna-Poliform. «Lo vediamo come una cosa complessa per il nostro business», per Gina Cester di Cesar. «Siamo estremamente attenti al tema» risponde invece Franco Caimi, della società Caimi Brevetti di Novate Milanese (Mb). «Ma le vendite online sono incontrollabili – aggiunge -: il cliente ordina un prodotto e poi ne viene mandato un altro che è solo equivalente. Ci sono molti problemi, soprattutto dai piccoli siti generalisti. Alcuni siti vendono addirittura copie, soprattutto all’estero».
Franco Caimi, titolare di Caimi Brevetti
La Caimi, che di recente ha ricevuto un premio per l’innovazione al Ces di Las Vegas per i propri pannelli fonoassorbenti, è tra le poche aziende che vede una ripresa anche Italia. Consumi che danno un po’ di respiro alla Brianza, dove la crisi ha fatto numerose vittime. «Ci sono state tante chiusure – commenta Franco Caimi -, ma tanti hanno però superato il momento peggiore. Sembra che il peggio sia alle spalle. Qualche sentore di ottimismo c’è, anche dal mercato italiano».
Tra chi vede una ripresa della domanda interna c’è il Gruppo Poltrona Frau. «Il primo trimestre del 2014 è positivo e gli ordini fanno pensare che il trend continuerà – dice Francesca Cocco, responsabile investor relations del gruppo -. I segnali ci sono anche nel mercato italiano, che vale solo il 35% per Poltrona Frau ma ancora il 70% per i marchi Cassina e Cappellini».
Mentre le aziende italiane pensano all’estero come all’unica soluzione per sopravvivere, una società che sta per diventare straniera, dopo l’acquisizione da parte di Haworth (per cui si attende il via libera dell’Antitrust, che sarà seguito dal filing in Borsa e dall’acquisto del 42% rimanente dal mercato) torna a vedere la centralità del mercato interno. È uno dei paradossi di un settore che si muove con velocità e che è condannato per preservarsi a cambiare sempre, con una frenesia che ha nel Salone del Mobile uno specchio preciso.