Alla Borsa le scelte di Matteo Renzi per le partecipazioni statali non sono piaciute. In apertura sono cominciate le vendite su tutte le quotate, Eni, Enel, Finmeccanica e Terna. È il maschilismo inveterato dei finanzieri? Non esattamente. La preoccupazione degli investitori, soprattutto quelli istituzionali, ha un fondamento perché le scelte compiute aprono serie questioni di strategia industriale ovunque, anche all’Eni, dove sembra esserci continuità perché Claudio Descalzi è il manager che è stato più vicino a Paolo Scaroni.
Proprio sull’energia, infatti, è atteso il cambiamento più rilevante. Si sa che la questione di fondo riguarda il legame con la Russia di Vladimir Putin e gli stretti rapporti con Gazprom. È vero che l’Italia è meno dipendente della Germania, ma arriva subito dopo. Non solo, il gasdotto South Stream sul quale aveva puntato l’Eni di Scaroni ha allarmato apertamente gli Stati Uniti. La crisi con l’Ucraina ha tagliato la testa al toro. Gli Stati Uniti hanno detto chiaro e tondo che l’intera Europa deve staccarsi da Mosca. Il decoupling sarà più o meno soft, ma dovrà avvenire. Dunque, Descalzi e la presidente Emma Marcegaglia sono chiamati a operare un cambiamento di fondo che può rimettere in discussione anche l’assetto dell’intera Eni. Ciò richiederà tempo, soldi, uomini, e tutto ciò non può non sollevare dubbi in investitori che negli anni di Scaroni hanno visto crescere del 61% il valore del titolo Eni e hanno incassato lauti dividendi.
Ma la svolta riguarda anche l’Enel e i primi segnali ci sono già. Gli Stati Uniti pensano di colmare almeno in parte il vuoto che si aprirà riducendo le forniture di gas russo. Quel che offrono è il loro shale gas che però deve essere trasportato via mare, quindi va liquefatto a bocca di pozzo e rigasificato sulle sponde dell’Atlantico o del Mediterraneo. Endesa ha sei gassificatori in Spagna e l’Enel, che controlla la società iberica, vuole trasportare una parte del gas anche in Italia. Un accordo in tal senso è stato firmato con la compagnia americana Cheniere Energy per 3 miliardi di metri cubi l’anno (uno destinato all’Italia), ma i tempi non sono brevi. L’operazione partirà solo nel 2018, del resto il punto debole della scelta americana è che gli Stati Uniti non sono pronti: i primi impianti di liquefazione verranno attivati non prima del prossimo anno. Altre incertezze, dunque, che non piacciono alla Borsa.
Francesco Starace, il nuovo ad di Enel, ha finora dato il meglio nelle energie rinnovabili che sono troppo costose per i tempi che corrono oltre che super-sovvenzionate dai contribuenti. Nel nuovo scenario post-russo potrebbero trovare una seconda fioritura, la Germania del resto, continua a puntarci nonostante i guai provocati dalla bolla delle rinnovabili su imprese elettriche come E.On. Ma con i tempi che corrono e in era di spending review non si può pensare ad altre sovvenzioni. Su Enel, inoltre, pesa sempre il macigno dei debiti accumulati con l’acquisizione di Endesa: sono scesi dai 56 miliardi del 2007 a 39,9 miliardi, e tuttavia restano un fardello eccessivo. Non sembra avere una specifica competenza elettrica la presidente Maria Patrizia Grieco che viene da Italtel e Olivetti e magari sarebbe stata meglio alle Poste insieme a Francesco Caio, l’uomo dell’agenda digitale. Ma non tutte le scelte sono razionali, e banche Renzi ha seguito un complesso bilancino politico, zigzagando tra gruppi di pressioni, lobby e correnti di partito.
Altro grande punto interrogativo è la Finmeccanica. Mauro Moretti è un manager forte, lo ha dimostrato alle Ferrovie con l’alta velocità e riuscendo a sconfiggere anche Italo, utilizzando in modo spregiudicato il vantaggio dell’incumbent nei confronti del nuovo arrivato. Ma Moretti conosce bene i trasporti non lo spazio e la difesa. Alessandro Pansa, considerato uomo di numeri, aveva scelto di concentrare il gruppo nel core business. Adesso Moretti terrà la Breda che produce gli Etr e l’Ansando Sts leader nel segnalamento ferroviario o cercherà di venderle? Da ferroviere capo, Moretti ha più volte criticato le dimissioni in questo comparto. Se adesso cercherà di tenerlo scaricherà su Finmeccanica una vera zavorra, a meno che non trovi dei partner in grado di finanziare un risanamento senza prenderne la maggioranza. Finora non sono apparsi all’orizzonte.
Infine le Poste. Massimo Sarmi le aveva trasformate in una società finanziaria, una quasi banca e una quasi assicurazione, seguendo una stratta opposta a quella di Deutsche Post che finora è la maggior storia di successo per quel che riguarda dei servizi pubblici privatizzati e non solo in Europa (con l’acquisizione di Dhl il gruppo tedesco è leader assoluto nella logistica). L’Italia non manca né di banche né di assicurazioni, invece ha un gap impressionante proprio nella logistica che non è colmato dagli spedizionieri privati. Il legame con il trasporto aereo e con quello ferroviario, tra l’altro è lo snodo chiave in questo business fondamentale, ancor più in tempo di e-commerce.
Se la scelta di Caio ha un senso, allora è proprio in questa direzione che andranno indirizzate le Poste. Vasto programma perché si tratta di invertire l’intera linea Sarmi. Intanto incombe una quotazione in borsa che oggi appare frettolosa: se il 40% di Poste interessa agli investitori privati è perché ha in pancia il risparmio dei vecchietti e le polizze, cioè quello che era diventato il core business dell’era Sarmi e che, nel prossimo futuro, dovrebbe diventare un ramo parallelo per quanto ricco e importante. Dunque, chi intende comperare azioni delle Poste vuole prima capire dove andrà la società, se cambierà pelle sotto i suoi occhi, in poche parole vuole sapere che cosa ha acquistato. Con un cambio al vertice così radicale, un fitto velo d’incertezza scende in questo momento anche sulla quotazione.