Il futuro dell’Unione europea dipende — forse — anche dalla sopravvivenza delle pipe di liquirizia danesi. Caramelle a forma, appunto, di pipa, che nei Paesi scandinavi sono molto popolari da quasi un secolo, nere fuori e colorate dentro. Recentemente però sono diventate anche un caso politico. Contro l’Europa. Quando si è avvicinata l’approvazione della nuova, più rigorosa, direttiva comunitaria sul tabacco, è stato svelato che il Parlamento europeo voleva mettere al bando dolci e giocattoli che hanno la forma di qualcosa che si fuma (un invito implicito ai più piccoli, pare, ad avvicinarsi all’esecrabile vizio).
Lo scandalo più o meno fondato per la possibile cancellazione di un simbolo “tradizionale” è stato esemplare: è anche da paure come questa che partiti fortemente euroscettici, nazionalisti e dal linguaggio xenofobo pescano consenso in un elettorato disorientato dalla globalizzazione e minacciato dalla trasformazione economica. Dire che l’integrazione europea dipenda dalla sorte di una caramella di liquirizia può, certo, essere esagerato, ma probabilmente aiuta a spiegare in maniera spiccia perché alle elezioni europee del 22-25 maggio anche in Paesi con storie diverse come la Danimarca, l’Austria e l’Olanda, le forze tradizionaliste che chiedono di smantellare l’Ue si candidano a fare il pieno di voti. Con messaggi radicali simili fra loro e di semplice lettura.
Danimarca
La Danimarca è abituata a interpellare i cittadini, e sull’adesione all’Europa unita si è già in verità divisa. L’ingresso nella Cee, nel 1972, fu approvato da un referendum con il 63,3% dei consensi. Con un altro referendum, nel 2000, i cittadini hanno invece bocciato l’ingresso nell’euro con il 53,2%. Se si va in un negozio di Copenaghen a comprare la liquirizia, bisogna insomma pagarla in Corone. I sondaggi dicono che oggi il Partito del Popolo danese, una forza di estrema destra nata nel 1995 dall’esperienza del Partito del progresso anti-tasse e anti-establishment che non ha tradizioni fasciste, è la prima scelta degli elettori nazionali per il Parlamento di Strasburgo. In media è accreditato del 25,1%: ha raccolto il 6,8% dieci anni fa, il 15,3% nelle europee del 2009. Oggi è davanti al partito liberale (23,7%) e a quello social-democratico (21,7%) che esprime il primo ministro Helle Thorning-Schmidt. Al quarto posto c’è un’altra forza che nel suo nome chiarisce già la sfida: il Movimento popolare contro l’Ue è accreditato dell’8,4%. Significa che in Danimarca quasi il 35% dell’elettorato potrebbe votare contro l’Unione europea, ottenendo almeno 5 europarlamentari sui 13 in palio.
Il Danske Folkeparti guidato da uno che ha il titolo (nobiliare) di Cavaliere, Kristian Thulesen Dahl, offre linee programmatiche schiette, in cui “amore e orgoglio” nazionale sono esplicitamente espressi, anche attraverso la difesa del ruolo della famiglia, della lingua e della cultura tradizionali. Il partito chiede l’indipendenza dei danesi, quindi piena sovranità per decidere da soli come scrivere le leggi e governarsi. La difesa della monarchia è un punto centrale, altro che funzionari di Bruxelles. «I cittadini danesi – dicono – devono decidere il loro destino».
Nel programma politico c’è dunque «l’opposizione» all’Unione Europea ma anche il sostegno al ruolo di chiesa nazionale della chiesa evangelica luterana, con posizioni rigorose verso l’immigrazione e «l’invasione» dell’islam. «Fin dall’ingresso nella Cee, il dibattito sull’Europa è sempre stato acceso da noi – ci spiega Charlotte Sylvestersen, che da anni racconta l’Italia sulla tv pubblica danese -. C’è sempre stato questo senso critico contro l’Europa, perché é percepita soprattutto come un grosso apparato burocratico. Quel che è cambiato in questi ultimi anni è che ci sono meno soldi da spartire e l’Ue è vista come il problema». Per Sylvestersen, i “popolari” danesi possono essere «paragonati alla Lega Nord» degli inizi, un movimento tradizionalista che «sta diventando importante anche in vista delle prossime elezioni parlamentari del 2015, perché parla ai sentimenti, allo stomaco, ed è capace di evidenziare per primo le assurdità dell’Europa, come sulle pipe di liquirizia, anche quando spaccia per buone delle bufale».
La più recente polemica politica è più delicata di quella sulle caramelle. Un braccio di ferro oppone il Parlamento e il governo sul pagamento degli assegni sociali ai figli dei lavoratori immigrati: il governo di centrosinistra vuole seguire le indicazioni dell’Ue per estendere il diritto a chiunque lavori anche un solo giorno in Danimarca e abbia i figli nel Paese d’origine, una larga maggioranza del Parlamento vuole invece mantenere l’attuale regime che prevede che per usufruire dell’indennità bisogna aver pagato almeno per due anni le tasse nel Paese. Insomma, la presenza di un partito radicale anti-Ue di successo che dal 2001 al 2010 ha già dato l’appoggio esterno al governo conservatore spinge anche gli altri partiti a fare appello alle esigenze di un certo elettorato disilluso.
Finlandia
Il caso della Danimarca è emblematico per affermare che anche nel “profondo nord” la sfiducia nelle istituzioni comunitarie sarà un elemento interessante nell’analisi del voto. Pure in Finlandia, per esempio, il partito degli euro-critici, quello dei “Veri finlandesi”, è al momento accreditato del primo posto: 23,7% di consensi nei sondaggi, per almeno 4 seggi su 13 in palio. Queste forze cercheranno (dall’interno) di rendere difficile la vita del Parlamento europeo, anche se sembrano orientate a collaborare più conl’Ukipo i Conservatori britannici che con il gruppo del Front National francese di Marine Le Pen e della Lega di Matteo Salvini.
Austria
Con questi ultimi si sono invece uniti i due principali partiti di ultradestra di Austria e Olanda, che dicono sostanzialmente le stesse cose ma hanno alle spalle un passato neo-fascista. In Austria Fpo, il Partito della Libertà degli eredi di Jorg Haider ora guidato da Heinz-Christian Strache, è accreditato mediamente del 20% dei consensi, per ottenere 4 seggi sui 18 in palio, al terzo posto dietro ai popolari (24,3%, 5 seggi) e ai socialdemocratici (23,3%, 5 seggi) che governano assieme. Ma i sondaggi sono oscillanti e il principale partito di opposizione punta al primo posto per scompaginare il quadro politico a Vienna, al grido di più sovranità nazionale ed «Europa delle patrie» e meno immigrati. Facile che possa risultare alla fine come il gruppo più numerosi fra gli austriaci a Strasubro.
Olanda
Il caso che sembra destinato a incidere maggiormente sul futuro delle politiche Ue è però quello dell’Olanda, fra i Paesi fondatori della Comunità europea. Qui quattro partiti si giocano il primo posto attorno al 15% di consensi a testa: la grande sfida è rappresentata dal Pvv, il Partito per la libertà guidato da Geert Wilders, altro leader carismatico della destra europea, che all’inizio dell’anno ha stretto un patto con la Le Pen e che ha già presentato uno studio sui “vantaggi” di un uscita dei Paesi Bassi dall’euro. Wilders ha appoggiato dall’esterno in passato il governo liberal-conservatore ottenendo misure per limitare l’immigrazione, ma la sua è soprattutto una sfida ideologica alla società multietnica e senza confini che può far proseliti in un elettorato in cerca di certezze.
Wilders è stato fra l’altro autore di un cortometraggio (Fitna) sulla «violenza» rappresentata dall’islam e vorrebbe vietare la circolazione del Corano nei Paesi Bassi. Per dire: se a Copenaghen si discute di assegni sociali ai figli dei lavoratori immigrati, alla’Aja ci si è divisi in questi giorni sui toni di un comizio del leader populista che ha incitato i sostenitori a rispondere se vogliono «più o meno marocchini nelle nostre città», ottenendo una risposta scontata.
«Al di là del suo messaggio, il Pvv è un partito oggettivamente importante – ci spiega Maarten Veeger, corrispondente da Milano del principale quotidiano economico olandese Het Financieele Dagblad-. E’ un partito della paura di tutto quanto viene da fuori. Dice che l’Europa è uno spreco e che si stava meglio prima quando si stava tutti tra di noi. In Olanda è stato definito un partito inaffidabile, quando due anni fa ha tolto il sostegno al governo Rutte, ma il Pvv è un partito che ha influenza, le regole per l’immigrazione sono state già rese più rigide».
«Dentro dentro, gli olandesi sono europeisti – continua Marten -. Il nostro è un Paese piccolo, l’economia dipende molto dal commercio estero, quindi se la gente ci pensa bene sa che senza l’Europa non si fa nulla. Ma questi movimenti fanno breccia quando dicono che l’Europa è solo burocrazia e che è solo un costo. Anche l’Olanda, a differenza della Germania con cui confina, ha sentito la crisi: quando qualcuno chiede all’elettorato perchè dobbiamo aiutare l’Italia che non fa le riforme o la Grecia, la risposta immediata è “si arrangino”».
Domande e risposte che anche nella Germania moderata dalla Afd risuonano in maniera identica, pur con riscontri elettorali minori. In Olanda il Pvv attualmente potrebbe conquistare almeno 4 euro-seggi su 26 in palio.
PER APPROFONDIRE
Capire i populismi europei
Mammone: «L’estrema destra anti-Europa è accomunata dalla difesa di una comunità ristretta». Intervista ad Andrea Mammone (Royal Holloway University di Londra)