Venerdì scorso è successa una cosa inedita, almeno in Italia: per la prima volta una graphic novel, ovvero un romanzo a fumetti, è stato candidato all’edizione 2014 del premio Strega, ovvero il più importante — ancorché giustamente discusso — premio dedicato alla “narrativa in prosa in lingua italiana”. La graphic novel in questione è unastoria, è di Gianni Pacinotti, detto Gipi, è edita da Coconino ed è molto bella. Ma il problema è un altro.
Le reazioni alla notizia dell’ufficialità della candidatura non si sono fatte attendere e sono state, quasi all’unanimità, entusiastiche. La sensazione è che la maggior parte dei commentatori e dei lettori abbia letto la selezione di una graphic novel per il premio Strega come una specie di conquista, come una tappa verso la nobilitazione di un genere narrativo messo spesso in disparte, marginalizzato dalla critica, trattato ancora da troppi come un prodotto di serie B e relegato in un mercato che, seppur in crescita, è ancora piccolo e apparentemente stagnante. Un mercato che con fatica sta crescendo, ma che è ancora lontano dalle attenzioni del grande pubblico.
Questa è la prima possibile reazione. Ma ce n’è un’altra speculare, anche se sembrerebbe nettamente minoritaria. Una reazione che riassumerei chiamando in causa una chiacchierata domenicale con un amico, Jacopo Cirillo, che ha fondato il blog letterario Finzioni e scrive sceneggiature per Topolino — il che lo rende abbastanza inattaccabile sia come amante dei fumetti, sia come amante dei romanzi — e che, come me e altri, pensa che la candidatura di Gipi al premio Strega non abbia alcun senso.
L’opinione del mio amico è, grosso modo, la seguente: «La candidatura di una graphic novel a un premio per romanzi non è una vittoria o una conquista, come se fosse la prima vittoria di un candidato nero alle elezioni presidenziali statunitensi, tutt’altro, è come se a concorrere per la Casa Bianca, al posto di Obama, ci fosse stato un gatto. Non c’entra niente.» Ecco, io sono assolutamente d’accordo.
A leggere gli articoli che commentano la notizia sembra che tutti siano convinti che la candidatura e l’eventuale vittoria di Gipi al premio Strega sia una vittoria, una conquista meritata e sudata da parte di un genere narrativo storicamente subordinato, il fumetto, che grazie alla candidatura allo Strega sale alla ribalta e si prende una sonora rivincita sul genere narrativo dominante degli ultimi secoli: il romanzo.
Eccone tre esempi:
«Adesso possiamo esclamarlo anche noi con grande soddisfazione: Gipi ha rivoluzionato la storia della Nona Arte italiana»
Comicsblog.it
«[…] assegnare al genere della graphic novel la dignità letteraria che in molti le negano storcendo il naso»
Wired.it
«Un evento storico in quanto, per la prima volta, un fumetto partecipa al prestigioso premio»
Comicus.it
Facciamo un passo indietro: a dicembre, quando a Più Libri, Più Liberi di Roma, Domenico Procacci aveva annunciato la volontà di candidare unastoria al premio Strega, aveva anche aggiunto, per calmare subito chi avrebbe potuto contestare la legittimità della proposta: «il regolamento dello Strega parla di narrativa in prosa. La storia di Gipi non è in rima, quindi va bene».
Ora, senza voler fare eccessivamente i pignoli, e dunque senza considerare il fatto che esiste la poesia anche quando non ci sono le rime, qualcuno dovrebbe spiegare a Procacci che, se anche il contrario di prosa è poesia, non è detto che tutto ciò che non è poesia sia prosa. Anche perché, nel caso di cui stiamo parlando, la narrazione a fumetti non è per niente narrazione in prosa, al limite si potrà dire che usa anche la prosa, nei ballons, ma tutto il resto è altro.
Al di là del valore del fumetto in questione, unastoria di Gipi — che è molto alto — il problema qui mi sembra che stia a monte, ed è un problema di semantica: mi sembra molto chiaro che una graphic novel, anche se contiene la parola novel e si traduce come romanzo a fumetti, non è un romanzo, ma proprio per niente.
Si tratta di due modalità narrative molto diverse, con linguaggi diversi, ritmi diversi, che richiedono competenze diverse e che proprio per questo non sono accostabili. A voler fare un esempio estremo, che forse rende bene l’idea, possiamo immaginarci una graphic novel muta, senza testo né didascalie, non è facile ma possiamo. Immaginarsi un romanzo senza parole è decisamente più difficile, o sbaglio?
Non è una questione di dettagli. Di certo entrambi fanno parte del grande insieme delle Narrazioni, in compagnia delle favole, degli arazzi, dei murales, dei film, delle canzoni, della poesia epica e finanche della noiosa telecronaca di una partita di calcio tra dilettanti fatta nel linguaggio dei sordomuti. Sono Narrazioni, ma nessuno credo che le possa considerare paragonabili tra loro.
Sì, perché la domanda in ballo non è quale sia la migliore opera narrativa italiana del 2013, ma quale sia la miglior opera narrativa italiana in prosa del 2013. E unastoria non sarà in rima, come dice Procacci, ok, ma non è neanche narrativa in prosa: è una storia illustrata, disegnata, o come vi pare, ma non si può negare che utilizzi una modalità espressiva che il romanzo non utilizza, ovvero il tratto, il disegno, l’illustrazione, una modalità espressiva che, se non ci fosse, ucciderebbe la narrazione, non si tratta di una presenza ornamentale.
E non crediate che questa sua peculiarità rappresenti un problema di second’ordine nella questione che stiamo trattando, anzi, forse è questo il punto che più evidentemente rende incompatibile un fumetto con un premio per romanzi: il fumetto usa una modalità espressiva la cui valutazione richiede categorie e competenze diverse da quelle che entrano in gioco nella valutazione di un romanzo. Competenze che non è detto abbiano i votanti del premio Strega, che sono lì in quanto esperti nel valutare la prosa narrativa, non i fumetti, e che magari di fumetti non ne hanno mai letto uno.
L’argomentazione più ricorrente usata dai sostenitori della candidatura di Gipi al premio Strega riconduce l’operazione al campo del marketing. In buona sostanza, candidare un fumetto al premio Strega dovrebbe servire a far vendere più copie della graphic novel di Gipi e, di conseguenza, a diffondere la passione per il fumetto anche a lettori che non ci hanno mai avuto niente a che fare.
Uno scopo più che legittimo, ci mancherebbe altro. Anch’io, come tutti coloro che amano i fumetti, mi auguro che sempre più lettori si avvicinino a questo meraviglioso linguaggio, ma resta il fatto che il premio Strega giudica e premia opere che si basano su un altro linguaggio, quello della prosa. E candidare un fumetto a un premio per la narrativa in prosa è come candidare un’opera teatrale al premio Oscar, un dipinto al World Press Photo o un romanzo al Grand Prix di Angoulême. Semplicemente, non ha il minimo senso.
Insomma, se vogliamo che in Italia si vendano più fumetti forse ci sono idee migliori che candidarne uno a un premio letterario che, tra le altre cose, gode di una pessima reputazione e ha perso negli ultimi anni gran parte della sua storica credibilità. Qualche idea? Inserire la storia del fumetto e dell’illustrazione nei programmi scolastici, parlarne più spesso — e più seriamente — in televisione e sui giornali, organizzare manifestazioni che non siano sempre e soltanto pensate per giganerd della materia (come il Lucca Comics o il Comicon di Napoli), cominciare a pubblicare graphic journalism, o anche inventarsi un premio per fumetti che riesca a uscire dalla cerchia di giganerd appassionati.
Certo, son tutte cose che richiedono investimenti di tempo, di soldi, di passione, di competenze. Non si possono prendere scorciatoie quando si parla di cultura, un po’ come quando si costruisce una casa, ci vuole tempo e fatica, perché bisogna cominciare dalle fondamenta se vogliamo se stia in piedi per un po’. E forse è proprio per questo che in Italia ci viene dannatamente difficile.