A Gomorra il futuro parte dalla raccolta differenziata

A Gomorra il futuro parte dalla raccolta differenziata

«È stata una prova difficile, complicata. Senza dubbio un’esperienza bellissima». Tra poche ore Casal di Principe andrà al voto per eleggere il nuovo sindaco. Per Silvana Riccio, il prefetto mandato dal Viminale dopo lo scioglimento dell’amministrazione per infiltrazioni mafiose, sarà il momento di tornare a casa. Non ha scelto lei di venire qui. Ma quando nel gennaio 2013 è stata nominata a capo della commissione straordinaria ha accettato senza esitazioni. Napoletana, una lunga carriera alle spalle. Del resto a questi incarichi non si arriva mai per caso. «L’unica preoccupazione che ho avuto, è stata quella di prendere le decisioni giuste per questa città» racconta nella sala consiliare deserta.

Dopo un anno e mezzo nella terra dei casalesi, si tirano le somme. Senza pensarci due volte il commissario svela il suo più grande orgoglio. Aver intitolato la sala del consiglio comunale a Don Peppe Diana, il parroco assassinato dalla camorra nel 1994, mentre si preparava a celebrare la messa nella vicina chiesa di San Nicola. «E non mi chieda perché chi è venuto prima non ci aveva mai pensato….». Il prefetto ricorda la recente manifestazione a vent’anni da quell’omicidio, «quando tutti i ragazzi del Paese sono scesi in piazza». Poi rivendica quelle che considera le principali vittorie della sua amministrazione. A partire dalla gestione dei rifiuti, affidata a un’azienda confiscata alla criminalità organizzata. «La raccolta differenziata in questo comune era scesa al 2 per cento, l’abbiamo portata al 43 per cento», spiega. Intanto grazie ai fondi messi a disposizione dal ministero dell’Ambiente, tra pochi giorni saranno installate nelle piazze di Casal di Principe alcune strutture per il pubblico. I cittadini potranno raccogliere gli oli esausti e la plastica, ricevendo in cambio degli eco-punti utilizzabili per fare acquisti negli esercizi commerciali convenzionati.

1994, i funerali di Don Peppe Diana Afp/Getty Images

Il prefetto si concede una pausa. Ricorda le difficoltà iniziali, il comune in dissesto. Quando il governo ha sciolto l’amministrazione per le infiltrazioni della camorra, quasi non esisteva il corpo di polizia municipale. «C’erano a disposizione solo cinque unità a fronte di una popolazione di ventimila abitanti. E per colpa dei limiti finanziari non potevamo neppure assumere altri vigili». Silvana Riccio racconta delle quindici discariche abusive di Casal di Principe, in buona parte bonificate con i pochi fondi a disposizione. E la lunga battaglia per l’acqua. «Una delle principali voci del dissesto finanziario era proprio questa. Un buco di quasi quindici milioni di euro, perché il comune non faceva pagare il servizio ai cittadini». Il motivo? Nessuno aveva mai installato i contatori nelle abitazioni. «Adesso una ditta di Lucca ha vinto la gara e sta procedendo con i lavori».

«Abbiamo piantato un seme e adesso bisogna farlo crescere. Con le azioni, non con le parole». Fuori dal municipio i manifesti elettorali colorano il centro cittadino. A Casale, come la chiama chi ci vive, i ventunomila abitanti potranno scegliere tra sette candidati sindaco. Uno di loro, Renato Natale, apre le porte dell’associazione che ha fondato e presiede, a pochi passi dalla piazza centrale. L’ha dedicata a Jerry Masslo, il rifugiato sudafricano ucciso in queste campagne alla fine degli anni Ottanta: una vicenda che aprì gli occhi al Paese sul dramma dell’immigrazione. L’associazione offre assistenza sanitaria gratuita alle famiglie disagiate della zona, prevalentemente extracomunitarie. Le stesse stanze ospitano la sede provinciale di Libera e il comitato Peppe Diana. Ed è proprio una fotografia del parroco simbolo della lotta alla camorra che Natale mostra orgoglioso. È una vecchia immagine scovata di recente, Don Diana che mostra il manifesto del suo impegno civile “Per amore del mio popolo”. 

Il presidente dell’associazione Jerry Masslo è già stato sindaco di Casal di Principe, una breve esperienza tra il 1993 e il 1994. In Italia era da poco scoppiata tangentopoli, i partiti storici appena scomparsi. «Alla fine vinsi per soli cinquanta voti». Di quell’esperienza Natale ricorda con un sorriso la “battaglia dei paletti” ingaggiata con la camorra. Un atto simbolico. Un braccio di ferro per contendere alla criminalità organizzata il controllo del territorio. «Avevo deciso di chiudere alle auto la centrale piazza Vittorio Emanuele, tutte le domeniche». Per due mesi, ogni sabato notte, i paletti installati agli ingressi della piazza venivano divelti e lasciati sotto la casa del sindaco. «E io sistematicamente li facevo rimettere a posto». Alla fine la spuntò lui. «Oggi girando per la campagna elettorale incontro ancora tante persone che si ricordano di quella vicenda». Una vittoria temporanea. A undici mesi dalla sua elezione, le improvvise dimissioni di diversi consiglieri di maggioranza e opposizione sanciscono la fine della sua esperienza da primo cittadino. «È stato un modo gentile di togliermi di mezzo – ricorda oggi – L’alternativa era la mia eliminazione fisica». Negli anni alcuni pentiti hanno confermato che l’omicidio era già stato pianificato. 

Medico, già segretario della locale sezione del Pci. «Se le piace la definizione potrei definirmi un cattocomunista», scherza. Intanto due volte alla settimana continua ad offrire assistenza sanitaria agli immigrati che frequentano il suo studio, senza trascurare le altre attività dell’associazione. Tra le tante, ci tiene a ricordare l’esperienza della Casa di Alice. Una sartoria sociale che dà lavoro a donne in difficoltà, ospitata in un bene confiscato alla camorra. Una villetta non lontano da Casal di Principe appartenuta a Pupetta Maresca. «I problemi di questa terra nascono da una dittatura militare durata trent’anni» ammette Natale. «Non è un caso se questo comune è stato sciolto per inquinamento camorristico tre volte negli ultimi venticinque anni». Cosa è cambiato negli ultimi tempi? «La camorra, come tutte le organizzazioni mafiose, ha l’abilità di adeguarsi alle novità» ammette Natale. «Vede, sappiamo tutto della camorra fino a ieri. Ma quello che è oggi la camorra, lo sapremo solo domani». Eppure a dispetto degli stereotipi raccontati dalle cronache nazionali, la vita a Casale è cambiata. «Te ne accorgi camminando per strada». 

maggio 2011, l’arresto di Mario Caterino. Roberto Salomone/Afp/Getty Images

Da Casal di Principe ci vogliono pochi minuti di macchina per raggiungere il litorale. Prima di arrivare a Castel Volturno – altra città al voto, altro comune sciolto per infiltrazioni mafiose – si attraversa Villa Literno. La zona è rinomata per le coltivazioni di pomodori, che da qui arrivano in tutta Italia. In tarda mattinata sulla rotonda di piazza Garibaldi si vendono cozze e telline. Ma all’alba decine di immigrati fanno la fila in attesa dei caporali che li porteranno sui campi. «Questa la chiamiamo la rotonda degli schiavi», racconta Tammaro Della Corte. Ventinove anni, capelli rasati e un pacco di volantini da distribuire. Si definisce un sindacalista di strada, lavora per la Flai-Cgil e offre assistenza agli extracomunitari che lavorano come braccianti. Sono tanti, tantissimi. Nella sola zona di Castel Volturno si stima che tra regolari e irregolari ce ne siano più di diecimila. La geografia etnica varia in base alle produzioni. Nell’agro aversano ci sono gli africani francofoni, soprattutto maliani e ivoriani. A Villa Literno rumeni e magrebini. A Castel Volturno nigeriani e ghanesi, mentre nelle aree degli allevamenti di bufale, tra Grazianise e Cancello ed Arnone, gli indiani sikh. Alcuni di loro si incontrano lungo la strada, in testa l’inconfondibile turbante. «Spesso vivono vicino alle stalle degli animali», racconta Tammaro. In tutto il casertano i sindacalisti di strada della Cgil sono tre. Battono le campagne da qualche anno e ormai sono riusciti a entrare in confidenza con quasi tutte le comunità di immigrati. 

Il lavoro dei campi che fino agli anni Sessanta veniva fatto dagli italiani, adesso è sulle spalle degli extracomunitari. Ormai sono stranieri anche quelli che dettano la vita nei campi, spesso con il lasciapassare della camorra. Lo chiamano “caporalato etnico”. Il risultato sono giornate di lavoro massacrante e una paga ridicola, chi raccoglie i pomodori viene pagato tre euro a cassone. Ma adesso è stagione di fragole. Si coltivano soprattutto nella zona di Parete, la paga media è di 20-25 euro a giornata. «Il razzismo? In parte ancora resiste» racconta Tammaro. Forse non è un caso se a Castel Volturno, alle Europee di cinque anni fa, la Lega Nord ha preso più di cinquecento voti. L’8 per cento. «Ma le cose sono molto migliorate – continua il giovane sindacalista – Negli anni Ottanta qui c’era una vera caccia agli immigrati, non era raro che qualcuno venisse preso a bastonate». Adesso al massimo qualche insulto se lo prendono i ragazzi che li assistono nelle vertenze di lavoro.

Inutile negare che una parte della popolazione immigrata gestisce alcune attività criminali. Nella zona di Castel Volturno la mafia nigeriana controlla lo spaccio e la prostituzione, «ma sempre in appalto ai clan locali». Per avere una conferma non serve cercare troppo. In un edificio abbandonato vicino al mare, l’ex Hotel Zagarella, gli arresti legati alla vendita di stupefacenti si susseguono con frequenza. Nel settembre del 2008 la criminalità organizzata pianificò la strage di San Gennaro proprio per dare un avvertimento alla malavita africana. Eppure quel giorno a cadere sotto i colpi dei camorristi furono sei innocenti. Scenario del terribile agguato, la via domitiana. Una lunga striscia di asfalto che nel solo territorio di Castel Volturno prosegue parallela al litorale per quasi trenta chilometri, da Pescopagano al Lago Patria. Qui sorgeva l’antica città di Liternum. Già allora conosciuta per la sua bellezza, Publio Cornelio Scipione l’Africano, il console che sconfisse Annibale, la scelse per trascorrere gli ultimi anni della sua vita. 

Settembre 2008, la rivolta degli immigrati a Castel Volturno. Afp

Dove il Volturno sfocia nel mar Tirreno, sorge l’omonima cittadina. La squadra di calcio del Napoli si allena qui vicino. La piazza del comune è proprio sull’ultima ansa del fiume, vicino alle reti da pesca abusive che gli abitanti chiamano “cala cala”. Nella piazza del municipio sta aspettando Alessandro Buffardi. Ventisei anni, studente di veterinaria a Napoli, appena candidato alle amministrative locali con Sinistra Ecologia e Libertà. Bastano poche parole e ancora una volta emerge l’ottimismo legato al futuro. Anche lui legato all’associazione Jerry Masslo, Buffardi racconta il fermento che ha seguito la strage del 2008. Sul territorio sono nate tante associazioni che ora si occupano di immigrazione, ambiente, di disagio sociale. «Cooperative sociali e associazioni culturali – spiega a Casal di Principe Renato Natale – che dimostrano l’esigenza di collaborare e fare comunità di questa gente». 

Proprio a Castel Volturno nel 2008 venne ucciso dai casalesi Domenico Noviello, commerciante che si era rifiutato di pagare il pizzo. In questi giorni l’associazione antiracket creata in sua memoria organizza una commemorazione in piazza. Alla presenza di Tano Grasso e del procuratore nazionale Antimafia Franco Roberti, sarà inaugurato il bene confiscato alla criminalità organizzata che le è stato recentemente assegnato. Il futuro passa anche dalle eccellenze di questa terra. «Il momento non è facile – racconta Buffardi – Allevatori e produttori agricoli pagano la pubblicità negativa data negli ultimi tempi alla terra de fuochi». Nessuno si nasconde: «Che ci siano stati sversamenti di rifiuti tossici lo sappiamo da anni» continua. Eppure gran parte dei coltivatori che hanno fatto analizzare le proprietà, hanno scoperto che i pozzi e i terreni sono intatti. Oggi i diretti interessati sono i primi a voler promuovere indagini specifiche sul territorio. «Gran parte delle produzioni sono immuni dall’inquinamento» conferma Natale. Ma anche quelle interessate potrebbero essere convertite a coltivazioni “no food”.

Le prospettive non mancano, perché questa è una terra ricchissima. Una delle zone più fertili dell’intero bacino mediterraneo. I prodotti da valorizzare sono tanti, dalla mozzarella di bufala al tartufo bianco di Castel Volturno. A Casal di Principe, per esempio, c’è un’industria dolciaria da fare invidia. E nel resto d’Italia non lo sa quasi nessuno.

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