La notizia, prima di tutto, ché è di quelle golose.
Da qualche giorno è uscito in edicola e in fumetteria un volume speciale di Topolino edito da Panini che si intitola Black Edition e che rimette in fila, a 14 anni di distanza da Topolino Noir (Einaudi, 2000), le dieci più belle storie noir scritte da Tito Faraci, aggiungendone una — la bellissima Topolino, Manetta e Rock Sassi in: Infiltrato speciale — accompagnate da un commento d’autore.
Se oggi scrivo di questa raccolta non è solo perché voglio un sacco di bene a Tito Faraci e alle storie che ha scritto, non solo su Topolino. Ne scrivo soprattutto perché, rileggendo queste storie — alcune a distanza di qualche anno dalla prima volta che mi capitarono sotto gli occhi — mi sono ricordato di quanto è grande Topolino, e di quanto è stato bravo Tito Faraci a prenderlo in braccio e portarlo un passo più in là di dove lo aveva trovato.
La grandezza del lavoro che fatto da Faraci negli anni, e che continua a fare, è indissolubilmente legata a un fatto, altrettanto grandioso, che Topolino condivide con altri personaggi dei fumetti: l’appartenere, senza ombra di dubbio, a quella linea di narrazioni che, dal Gilgamesh ai gialli di Agatha Christie, ha accompagnato l’uomo nei suoi ultimi 5000 anni, una linea continua di storie, di personaggi e di strutture narrative senza le quali la specie umana non sarebbe mai diventata Homo, restando bestia.
Non la sto sparando grossa, e non invento nulla. Cito soltanto uno dei più importanti biologi ed evoluzionisti del Novecento, Stephen J. Gould, che in un suo articolo intitolato So Near and Yet So Far , pubblicato il 17 ottobre del 1994 sulla New York Review of Books mise nero su bianco una delle più belle frasi mai scritte da un uomo di scienza: «siamo creature che raccontano storie; la nostra specie avrebbero dovuto chiamarla Homo narrator».
Non Homo sapiens, ma Homo narrator. Un cambio di aggettivo che non è certo un dettaglio lirico. Tutt’altro, perché sancisce incontrovertibilmente l’ordine gerarchico del mondo: prima sta il racconto, poi sta la conoscenza, che proprio grazie al racconto si genera, si moltiplica e sopravvive alle generazioni.
Il rapporto che c’è tra Tito Faraci e Topolino è molto simile a quello che legava un aedo ai cicli omerici che cantava, o i profeti ai mille vangeli, apocrifi e non, che declamavano in giro, o ancora, Edgar Poe, Agatha Christie, Georges Simenon alle strutture del racconto poliziesco. No, no sto esagerando affatto, e non lo sto scrivendo per farmi offrire una birra da Faraci.
Si tratta di un legame fondante del raccontare umano, che vale per tutte le grandi narrazioni della storia, dall’epos greco ai generi novecenteschi, ed è sostanzialmente un legame di biunivoca dipendenza.
Da una parte l’Autore è dipendente dalle strutture narrative della storia che sta raccontando da un legame di fedeltà, un legame che è tanto necessario quanto indissolubile, perché è proprio sulla fedeltà alle strutture, ai linguaggi e alle regole del genere che si costruisce la continuità tra le storie nuove e quelle che le hanno precedute, che è poi la caratteristica che fa di una serie di storie una tradizione.
Dall’altra è la storia ad essere dipendente dall’Autore, perché è soltanto grazie al suo lavoro di variazione nella ripetizione, che quella storia si rigenera e diventa tradizione, senza morire asfissiata nella propria identità.
Prima di chiudere torniamo brevemente a questo strepitoso Topolino Black Edition di Panini, strepitoso anche grazie alla spugnatura nera che lo rende proprio un bel oggetto, una specie di mattoncino noir come le storie che contiene.
In ognuna delle storie che compongono questo volume, disegnate da Romano Scarpa, Giorgio Cavazzano, Silvia Ziche, Paolo Mottura, Corrado Mastantuono, Fabio Celoni e Massimo De Vita, c’è un tentativo — sempre riuscito — di portare Topolino un passo più avanti, mettendo sotto pressione le sue strutture classiche, modellandole creando qualcosa di nuovo senza mai raggiungere il punto di rottura.
C’è Gambadilegno che diventa poliziotto per un giorno, Topolino costretto dagli eventi a rubare un portafoglio a un vecchietto, una storia lipogrammatica, ovvero nei cui dialoghi non viene mai usata la lettera E (un omaggio a quel genio di Georges Perec e alla sua Disparition), ci sono nuovi personaggi strepitosi, come Rock Sassi e il barbiere Aristide, che ogni tanto ritornano — il primo — ogni tanto non si vedono più — il secondo.
Ma c’è soprattutto un sacco di ironia, chili di puro divertimento e moltissima intelligenza narrativa, che sono poi gli ingredienti che permettono a Topolino di avere 86 anni e non dimostrarli affatto. Nonché la garanzia che, fino a che ci saranno sceneggiatori come Tito Faraci, Topolino invecchierà giovane.