Edmondo Bruti Liberati, capo della procura di Milano, risponde colpo su colpo alle accuse che gli sono state mosse in queste settimane dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo, rispetto alle presunte irregolarità nell’assegnazione di fascicoli delicati, compreso quello che ha portato alla luce la nuova Tangentopoli su Expo 2015. Ma allo stesso tempo, lo storico leader di Magistratura Democratica – già in difficoltà dopo le denunce sui casi Ruby, Sea, Sallusti – chiede una «tregua» al Csm, per svelenire il clima dentro il palazzo di Giustizia di Milano alle prese con un’inchiesta più che mai delicata che tocca i partiti, coinvolgendo nelle carte persino il Capo della Guardia di Finanza Saverio Capolupo e il numero uno del Dis, i nostri servizi segreti, Giampiero Massolo.
C’è un clima dei lunghi coltelli dentro la magistratura italiana, più che mai divisa in correnti, senza più un nemico «comune» come Silvio Berlusconi, alle prese con una campagna elettorale dagli esiti più che mai imprevedibili, con il crollo della corrente di Md alle primarie e con l’avanzata politica del Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo, già pronto a chiedere la vicepresidenza di palazzo dei Marescialli per il professore Stefano Rodotà al posto dell’attuale Michele Vietti. E la situazione difficile è pure tra le fila del sistema delle forze dell’ordine, con Bruti Liberati che denuncia gli intralci dell’indagine su Expo da parte di Robledo, con «un doppio» pedinamento da parte della Guardia di Finanza che avrebbe potuto pregiudicare le indagini. Screzi e vecchi rancori ormai sedimentati che stanno facendo il giro delle altre procure, mettendo a repentaglio il nome e la fama del palazzo di Mani Pulite, considerato tra i migliore in Italia per competenza.
Per questo motivo Bruti Liberati difende il tribunale e soprattutto se stesso. E nella nota inviata a palazzo dei Marescialli scrive confidando che «i documenti e i chiarimenti forniti» portino «a una sollecita definizione della vicenda, consentendo alla Procura della Repubblica di Milano di svolgere il suo difficile compito in un clima di normalità», fuori dai riflettori sullo sbandierato «scontro nella Procura di Milano». È difficile leggere tra le righe e comprendere quello che sta effettivamente succedendo dentro al palazzaccio. Lo sanno pure i membri del Csm, che si riservano da ogni commento prima di prendere la decisione finale. C’è chi sostiene che Bruti Liberati si trovi in difficoltà, anche perchè in luglio ci sarà la valutazione del suo operato e potrebbe rischiare il posto, in particolare sul caso Ruby su cui ha ricevuto una reprimenda persino da parte del procuratore generale Manlio Minale. C’è chi invece dice che in difficoltà sia Robledo, che ora dovrà replicare alle accuse e potrebbe essere messo persino sotto accusa per «aver intralciato le indagini». Di certo non potranno convivere insieme, sullo stesso corridoio della procura, a poche porte di distanza, ancora per molto. Per questo c’è invece chi dice che a rischiare siano tutti e due, che si tratterebbe di una lite tra toghe, soprattutto che non sarà questo Csm a decidere sulle rispettive sorti perché non farà in tempo data la scadenza imminente.
Calcoli politici, inchieste delicate, con Primo Greganti, uno degli arrestati, che dal carcere fa sapere tramite il senatore Lucio Barani in visita che «questa inchiesta finirà il 26 maggio, come una bolla di sapone». Di sicuro c’è che questa volta Bruti Liberati ha deciso di rispondere per le rime a chi lo ha accusato in queste settimane di aver commesso «vizi procedurali» nell’assegnazione delle inchieste. Lo storico leader di Md, lo ha fatto con una nota aggiuntiva a quella precedente, inviata lunedì 12 maggio al Consiglio Superiore della Magistratura dove sono in corso in questi giorni le audizioni sul caso che sta spaccando quello che ormai è stato ribattezzato «il palazzo dei veleni». Dopo il riconoscimento da parte di Ilda Boccassini della «correttezza dell’operato» del Capo, il numero uno del Palazzaccio colpisce Robledo proprio su uno dei temi che hanno diviso le toghe: le ultime misure cautelari su Expo 2015 che il magistrato vicino a Magistratura Indipendente si è rifiutato di firmare.
Secondo Bruti, Robledo «ha avuto la piena disponibilità di tutto il fascicolo e costante informazione sullo sviluppo delle indagini». E questo è avvenuto «sin dalla primavera del 2012», da quando cioè le indagini nate nell’ambito del procedimento Infinito della Dda di Ilda Boccassini sono state coassegnate anche al Dipartimento sui reati contro la pubblica amministrazione di cui l’aggiunto è responsabile. Per questo è stata «del tutto pretestuosa» la sua richiesta di un anno dopo di avere in visione tutti gli atti, così come «inammissibile nella forma e nella sostanza» l’istanza di un mese prima di trasferire in esclusiva l’indagine al suo Dipartimento, senza che fosse emerso «alcun nuovo elemento» che la giustificasse; un atto che avrebbe comportato «inevitabilmente» un «grave ritardo» alle indagini.
Non solo. Il Capo della Procura entra nello specifico. E alza il tiro. «La trasmissione da parte di Robledo al Csm» nel quadro di una procedura amministrativa «di copie di corrispondenza interna riservata e di copie di atti del procedimento in delicatissima fase di indagine, con assunzione arbitraria della decisione delle parti da secretare, ha posto a grave rischio il segreto delle indagini». Accuse pesanti per un magistrato che ora rischia una denuncia. Il capo della Procura di Milano mette poi nero su bianco quello che definisce «un episodio surreale», ovvero il doppio pedinamento a uno degli indagati. Robledo «pur essendo costantemente informato del fatto che era in corso un’attività di pedinamento e controllo, condotto «dal personale della Sezione di Polizia giudiziaria«, definita da Bruti Liberati «un fiore all’occhiello della Procura milanese», aveva «disposto un analogo servizio delegando ad altra struttura della stessa Gdf. Allora solo la reciproca conoscenza del personale Gdf che si è incontrato sul terreno ha consentito di evitare gravi danni alle indagini». Ora bisognerà attendere la replica di Robledo di fronte al Csm.
Al contrario l’audizione di Ferdinando Pomarici, storico procuratore aggiunto, si ritrova in linea con le parole pronunciate da Robledo nelle scorse settimane. Pomarici ha ribadito che fu «una scelta anomala» a suo parere «l’assegnazione del fascicolo Ruby alla Boccassini data l’estraneità della Dda alle indagini poi conclusesi con una condanna dell’ex premier Silvio Berlusconi. Pomarici ha poi confermato il proprio parere negativo sulla decisione di concedere i domiciliari al direttore del Giornale Alessandro Sallusti, condannato alla reclusione per diffamazione. Bruti voleva che si facesse un «unicum» per Sallusti, cioè una deroga che valesse solo per l’ex capo della giudiziaria del Corriere della Sera. «Noi ci opponemmo» ha detto Pomarici. E in procura il clima peggiora di giorno in giorno.