«Se non si vendono libri è colpa delle televisione», dice il ministro della cultura Dario Franceschini, e Dio solo sa quanto sarebbe comodo per tutti se fosse vero, se ancora non molto si potesse dare tutto la colpa alla “Cattiva maestra” che faceva arrabbiare Karl Popper. Intendiamoci: la tv è rozza, brutale, spesso insensibile, ossessionata degli ascolti, del tutto amorale e per nulla sensibile ai richiami eticistici delle pubblicità progresso o all’idea della promozione culturale. Eppure bisogna dire che nella schiera di talkshow che affollano i palinsesti, vengono ospitati ogni anno centinaia di autori, di bestselleristi, di narratori, di esordienti e di pamphlettisti: non per fare buone opere, ma per alimentare il dibattito, per produrre ore di programmi a basso costo, per scoprire nuovi volti. È stato prodotto questo anno, addirittura, il primo reality basato sul libro e sulla scrittura.
Quindi il ministro Franceschini dovrebbe prendere atto – se davvero vuole cambiare qualcosa – che il mercato dei libri purtroppo è stato ucciso da due fenomeni che con la tv c’entrano poco: la crisi da un lato, e una demenziale legge di tutela del libro approvata dal Parlamento su proposta di un parlamentare del Partito democratico, Riccardo Franco Levi. Una legge paradossale perché varata in teoria per tutelare il mercato librario, ma in realtà finendo per affossarlo. Come mai? Semplice: quella legge permette (o non impediva, che è lo stesso) alle grande catene e alla grande distribuzione di vendere tutti i best seller e le novità, o i tascabili in promozione, con sconti del 15% che per periodi limitati possono arrivare al 25 per cento. Uno sconto che di fatto azzera il margine di guadagno ridottissimo (più o meno il 29%) del libraio. Questa legge che in teoria nasceva per difendere il prodotto libro ha finito per creare un effetto rete a strascico nel mercato: al punto che a un piccolo libraio in alcuni casi poteva costare meno andarsi a comprare un tascabile in libreria, piuttosto che farselo spedire da un editore.
Per i librai perdere il mercato dei best seller in classifica (che i clienti compravano – per dire – nei supermercati al 15% di sconto) significava dover continuare ad assortire i costi del catalogo senza più poter contare sul gettito certo dei libri più venduti. Dover svolgere un servizio per i clienti, senza poter più contare sul gettito più importante ha messo in ginocchio tutte le piccole librerie (nell’immediato) ma anche (nel lungo periodo) le grandi: per cinque anni i bombaroli del libro hanno pescato clienti con il doping degli sconti, ma alla fine hanno perso pubblico, finendo per disputarsi la stessa platea, sempre più erosa, sempre più asfittica: adesso anche Feltrinelli oggi deve mettere in cassa integrazione, e gli editori scoprono che quando promuovono un libro la loro rete potenziale di distribuzione si è quasi dimezzata. Siccome conosco Franceschini spero che non chieda consigli a Levi, ma vada – magari per mezza giornata – dietro un bancone. Imparerebbe sicuramente di più.