La città murata di Kowloon era un quadrilatero lungo 213 metri e largo 126. Circa 27 mila metri quadri — più o meno quanto Piazza San Pietro a Roma — in cui abitavano oltre 33mila persone. Era nella penisola di Kowloon, a pochi chilometri dall’isola di Hong Kong, e per anni è stata il posto più densamente popolato del pianeta: 1,2 milioni di persone per chilometro quadrato (e la città non era nemmeno grande un chilometro quadrato). Era una specie di baraccopoli sviluppata in verticale con palazzi alti come grattacieli, non controllata da governi, dove emarginati, criminali e poveri vivevano insieme, fianco a fianco. Da vent’anni non esiste più e, anche col senno di poi, è difficile dire se era un’utopia o una distopia.
La storia della città murata di Kowloon inizia intorno all’anno mille, sotto la dinastia Song. Dove sarebbe sorta la città murata, c’era un piccolo insediamento che si occupava soprattutto di gestire il mercato del sale. Nel corso di centinaia di anni, l’insediamento si trasformò. Nel 1810, la zona ospitava un piccolo — e secondo una testimonianza riportata nel Journal of the Royal Asiatic Society Hong Kong Branch «miserabile» — forte.
Le cose cambiarono parecchio nel 1841, quando gli inglesi occuparono l’isola di Hong Kong e la fortezza, improvvisamente, iniziò ad essere militarmente rilevante. Nel 1847 le mura furono completate e la fortificazione prese il nome di città murata di Kowloon. Dentro, vivevano e lavoravano sia soldati dell’esercito, sia ufficiali del governo cinese.
Nel 1898 le cose cambiarono ancora, e per il peggio. Con la Convenzione per l’estensione del territorio di Hong Kong, la Cina estendeva il dominio britannico non solo all’isola di Hong Kong ma anche alla penisola di Kowloon. Lì in mezzo c’era anche la città murata che, con una clausola, veniva esclusa dai territori inglesi. La città, così, si trovava in una situazione particolare: era un territorio governato dai cinesi nel bel mezzo di un territorio britannico. Una specie di Berlino Ovest cinquant’anni in anticipo.
La cosa, però, non è durata molto. I cinesi volevano che oltre agli ufficiali del governo, nella città murata potesse rimanere anche una piccola divisione dell’esercito, ma gli inglesi si opposero e minacciarono di assediare la città fino al ritiro delle truppe, che avvenne ma non interamente. Nel dicembre del 1899, per legalizzare la situazione della città murata, gli inglesi fecero una revisione unilaterale e mai approvata dal governo cinese della convenzione del 1898, inserendo anche la città murata dentro i propri possedimenti. Il governo cinese, naturalmente, protestò per l’allontanamento dei militari e per la revisione del patto, e ci sono testimonianze della volontà di recuperare il controllo della città murata, che però non si trasformò mai in azioni concrete.
Di fatto, nel giro di un anno la città murata di Kowloon era diventata una terra di nessuno. Gli inglesi, nonostante la città fosse un loro territorio, non se ne occupavano realmente per evitare imbarazzi diplomatici. E i cinesi, probabilmente per evitare un confronto diretto con i britannici, non facevano nulla per sostenere la loro vecchia fortezza. Nella città, dopo che anche gli ufficiali cinesi se ne erano andati, rimanevano solamente pochi cittadini. Meno di 500 persone.
Ma una terra di nessuno, senza governo, senza leggi e senza controlli, è un posto che interessa a molti. E nei successivi ottant’anni la città murata cresce fino ad accogliere più di 30mila persone. La seconda guerra sino-giapponese, la guerra mondiale e l’inizio della fase violenta della rivoluzione culturale cinese portano alla minuscola città murata un flusso costante di persone. Che vivevano, si organizzavano, costruivano e lavoravano in un territorio poco più grande di quattro campi da calcio.
La città murata, dal punto di vista architettonico, era incredibile. Essendo costretta dai confini del vecchio forte, la città è dovuta crescere in altezza invece che in larghezza. Mano a mano che le persone arrivavano a cercare rifugio, libertà o semplicemente un tetto a poco prezzo, nuove abitazioni venivano costruite una sopra l’altra. I palazzi, alti fino a 14 piani, erano una specie di arlecchino dell’edilizia: ogni appartamento era diverso dagli altri, un po’ più o un po’ meno sporgente, di colori e forme diverse. E tutti schiacciati uno a fianco all’altro, tanto che negli ultimi anni, dai piani più bassi delle case e dalle strade non c’era più modo di vedere il cielo (un utente di Reddit che ha vissuto nella città murata da bambino racconta che le strade erano «persino troppo sporche per poterci camminare»). Mentre Ridley Scott ci mostrava la faccia delle città del futuro in Blade Runner, la città murata di Kowloon ci assomigliava già parecchio.
Anche se inglesi e cinesi si disinteressarono della città murata, la città non era veramente priva di controllo: almeno fino agli anni Settanta, il potere in città era in mano alle organizzazioni mafiose, le triadi. Oltre ai rifugiati e ai poveri, infatti, la città era un posto sicuro dove fare cose illegali: prostituzione, droghe e gioco d’azzardo erano all’ordine del giorno. Dice il South China Morning Post che la città era così controllata dai criminali che i poliziotti non potevano entrarci se non in grossi gruppi. Le mafie, però, garantivano anche un certa sicurezza. E i cittadini lavoravano insieme come una comunità unita, costruendo a fianco delle attività illegali molte cose legali (o quasi). Il podcast 99% invisible racconta dell’unico ristorante della città murata, dove lo scarso l’igiene generale costringeva i cuochi a uccidere la carne di fronte ai clienti per assicurare loro che non fosse andata a male. E nella città c’erano anche alcune piccole industrie tessili e molti dentisti, ovviamente tutti senza licenza. Nel libro City of Darkness, che raccoglie fotografie e ricordi degli abitanti della città murata di Kowloon, lo scrittore di Hong Kong Leung Ping Kwan parla della città come «la cosa più vicina a una città auto sufficiente, auto regolante, auto determinante che sia mai stata costruita».
Nel 1987, quasi 100 anni dopo la convenzione che di fatto aveva creato la strana situazione della città murata di Kowloon, il governo cinese e il governo britannico hanno deciso di smettere di ignorare la questione e hanno avviato un processo per abbattere la città. Quasi tutti gli abitanti sono stati trasferiti in case popolari costruite appositamente e, per un intero anno, dal marzo del 1993 all’aprile del 1994 bulldozer e ruspe hanno demolito pezzo per pezzo la città murata di Kowloon. Al suo posto è nato il Kawloon Walled City Park, il parco della città murata di Kowloon, in cui sono rimaste solo le fondamenta di quella che era la più stramba e popolata città del mondo.
Se volete approfondire, per l’anniversario del 20 anni dalla demolizione della città murata di Kowloon, il Wall Street Journal ha messo insieme un piccolo documentario e un bellissimo mini sito in cui gli abitanti della città raccontano com’era veramente vivere lì dentro.