Il “triello” elettorale Renzi – Berlusconi – Grillo

Il “triello” elettorale Renzi - Berlusconi - Grillo

Alla fine, se ti chiedi quale sia la chiave drammaturgica della campagna elettorale, devi ricorrere a una formula complicata: un triello asimmetrico a geometria variabile. Alla fine, se ti chiedi quale sia la forma di questa strana sfida, devi immaginare un triangolo isoscele, un poligono con due lati uguali e uno più corto. Traduco: un giorno si sfidano Beppe Grillo e Matteo Renzi, e Silvio Berlusconi resta indietro, un altro i due lati uguali incrociano Renzi e Berlusconi, e per un secondo può restare indietro Grillo. Ieri, evocando la parola “assassino” il Cavaliere si è ripreso l’agenda, costringendo Grillo al corpo a corpo preferenziale, e Renzi è finito nel cono d’ombra. Probabilmente questa campagna elettorale a tre, con le dinamiche che produce, dopo il voto dovrà essere studiata dai politologi: nel tripolarismo imperfetto per prenderti la scena devi menare, attaccare, ottenere il privilegio di incrociare le lame, magari insultando. Per questo l’Europa e i temi dell’europarlamento quasi scompaiono dall’orizzonte: lupare bianche, lager, hitlerismo, evocazione di condanne, epiteti ingiuriosi, l’insultologia non è un effetto collaterale, un meccanismo impazzito, ma la chiave di volta di una campagna elettorale dove prendersi la scena e strappare l’agenda agli altri è l’unica priorità inderogabile. Eppure il triello disegna effetti imprevedibili e imponderabili.

RENZI. Il primo problema di Renzi è questo: è costretto a vincere. Anzi, si è costretto a vincere. È l’ombra del letticidio, che pure sembra dimenticato da tutti, a costringerlo a battersi per questo risultato, e a esporlo ad un rischio politico enorme, simile soltanto a quello corso da Massimo D’Alema per le regionali del 2000. Non avendo avuto un mandato da premier dopo un voto, D’Alema aveva bisogno di una legittimazione nelle urne. Come è noto quella legittimazione non la ottenne, e fu costretto a dimettersi per l’esito di un voto regionale, ingannato dai sondaggi dell’Svg, che pure lo indicavano ai massimi livelli di popolarità. Il consenso sul premier non si trasferisce automaticamente sul suo partito. Andrà sicuramente meglio di Bersani e delle europee di Franceschini: ma incredibilmente potrebbe non bastare, se non si trova in condizioni di sicurezza (certezza di arrivare primo) per l’ipotesi delle elezioni politiche: i voti di Tsipras non sono automaticamente “coalizionabili” come quelli di Sel, per questo per stare sicuro Renzi deve andare sopra il 33 per cento, con il solo Pd.

BERLUSCONI. Il Cavaliere si trova alla prima prova dopo la terza scissione della sua coalizione. È cupo, avvelenato per la condanna e per il fatto di non essersi potuto candidare. Deve tenere a tutti i costi uno standard elettorale che si aggiri intorno al 18–20 per cento, altrimenti rischia lo smottamento. Ma un altro paradosso potrebbe essere questo: arrivare terzo come risultato di partito, e primo come leader di coalizione, se il centrodestra toccasse comunque il 33 per cento. Perdere, quindi, potrebbe incredibilmente restituire a Berlusconi centralità e ruolo politico: forse al prezzo di dover fare quello che più lo fa soffrire, trattare con degli alleati. Se invece anche la coalizione non riesce a recuperare la diaspora, rischia la marginalizzazione.

GRILLO. Ha imposto se stesso al centro dell’agenda, e non era scontato. Ha imposto la sua lingua di eccessi alla campagna elettorale e questo è stato il suo trionfo. Se ha dovuto andare da Vespa, per cambiare passo (e pubblico) è proprio perché è riuscito a saturare tutta la potenzialità del suo messaggio. Grillo conta due risultati utili: sia se arriva primo, sia se arriva ad una incollatura, avanzando rispetto al dato delle politiche. Ma il suo problema è questo: se ottiene uno di questi due successi si ritroverà in campagna elettorale permanente fino alle politiche, in posizione di forza, con Renzi inseguito e in difficoltà, ma con un presidente della Repubblica che non intende sciogliere le camere.

Il triello vive questo paradosso: nessuno può prescindere completamente dagli altri due. Non è un vinci-o-perdi, non è una partita ad eliminazione diretta: qui chi perde può tornare in gioco, perché questo è solo il primo tempo di una partita più lunga. Adesso i tre leader hanno corso i cento metri, dopo domenica li attende una maratona.

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