La bolla immobiliare di Londra affosserà l’Europa

La bolla immobiliare di Londra affosserà l’Europa

Un porto sicuro e sempre più affollato. A Londra una casa su quindici viene venduta per una cifra che supera il milione di sterline, un milione e duecentomila euro. I dati di Nationwide, la più grande società di costruzioni del Paese, parlano chiaro: il registro delle proprietà immobiliari indica che il numero di case acquistate per più di 500mila sterline è passato dal 13% del 2007 al 25% del 2013, quelle per l’appunto oltre un milione di sterline dal 3% di sette anni fa al 6,5% del totale registrato l’anno scorso. Secondo Nationwide, l’asticella del prezzo medio di un’abitazione ad aprile si è alzata a quota 183.577 sterline, con un aumento dell’1,2% rispetto a marzo scorso.

Non chiamatela bolla immobiliare. Commentando il balzo dell’inflazione immobiliare, più 11% nell’ultimo anno — ai massimi da sette anni — Sir Jon Cunliffe, vicedirettore del Comitato per la stabilità finanziaria della Bank of England, ha spiegato laconico: «È un film che abbiamo visto più di una volta, qui in UK», aggiungendo però che la crescita dei prezzi «non si è ancora accompagnata a un sostanziale aumento del debito aggregato legato ai mutui, sebbene i mutui concessi stiano crescendo e ci sono segnali che i debiti inizino ad essere più concentrati». Significa che le banche sono tornate a prestare fino a quattro volte il salario annuale di chi richiede il mutuo.

Mark Carney, il governatore della Bank of England, ha detto: «Il boom dei prezzi delle case pone una seria minaccia alla ripresa economica», aggiungendo: «Saremmo preoccupati se ci fosse una rapida crescita dei mutui concessi rispetto al valore stimato degli immobili (loan to value ratio, ndr)… abbiamo notato che sta crescendo e lo stiamo monitorando da vicino». Se per la prima volta negli ultimi dieci mesi l’inflazione tendenziale è salita ad aprile dell’1,8%, i salari sono aumentati soltanto dell’1,3% nello stesso lasso di tempo.

A Londra la situazione è fuori controllo. Questo grafico, elaborato da Reuters, evidenzia come negli ultimi dieci anni il tasso di crescita annuale dei prezzi degli immobili a Londra sia stato del 17%, contro una media dell’8 per cento. Si tratta del “London premium”, ben visibile se si fa un giro nella via più costosa del mondo, Kensington’s Palace Gardens, dove si concentra quello 0,1% di “plutocrati” che secondo Chrystia Freeland, giornalista di Reuters, influenza le regole del gioco del mercato globale creando lo stesso livello di disuguaglianze di fine ‘800. 

Le ragioni dietro al “London premium” sono tre: la crisi economica europea, lo schema “help to buy” e il fisco benevolo. Ad esempio, agli italiani culturalmente piace il mattone: secondo i dati riportati dal Telegraph e riferiti al 2012, la loro spesa complessiva si è assestata a quota 408 milioni di sterline per il 2011, in crescita esponenziale rispetto ai 185 milioni del 2010. Come gli italiani – 12mila persone nel 2013 secondo l’Aire – anche spagnoli, greci e portoghesi sono approdati sulle rive del Tamigi. Spesso comprando casa. Per non parlare degli arabi e dei russi, che hanno contribuito a rendere pressoché inaccessibili intere aree di Chelsea, Notting Hill e South Kensington, ma anche Angel e Islington. La seconda ragione è lo schema “help to buy”. Funziona in due modi: nel primo il governo inglese garantisce la parte eccedente l’80% del mutuo che un compratore accende. A sua volta, il compratore può accendere il mutuo depositando soltanto il 5% del prezzo della casa.

Nel secondo, che vale per gli immobili di nuova costruzione, tramite un deposito del 5% è possibile accendere un mutuo chiedendo al governo un prestito pari al 20% del valore dell’immobile, che non matura interessi nei primi cinque anni. Esempio: per comprare un appartamento da 200mila sterline basta depositarne 10mila e chiedere al governo un prestito da 40mila, accendendo un mutuo da 150mila. In tanti ne hanno approfittato, sebbene il primo ministro David Cameron  – che si è detto pronto a intervenire riducendo il livello di 600mila sterline «se ce lo chiederà la Bank of England» — rivendichi che l’85% degli aderenti allo schema abbia acquistato un immobile fuori Londra, dal valore medio di 185mila sterline.

La terza ragione è clamorosa: per le case di proprietà, dunque non acquistate per poi essere affittate (buy to let, ndr), la tassa sui capital gain non si applica sugli ultimi 18 mesi di permanenza prima della vendita. Peccato che il 70% delle nuove costruzioni sono state acquistate da stranieri, dicono i dati di Savills, tra i principali broker londinesi. Ragion per cui il cancelliere dello Scacchiere, George Osborne, ha annunciato da aprile 2015 l’introduzione di una tassa sulle compravendite tra stranieri. D’altronde, la campagna elettorale è alle porte.

Insomma, Londra è diventata il “porto sicuro” per chi da fuori Europa vuole investire nel mercato immobiliare del Vecchio Continente, ed ecco quindi che lo spettro dello scoppio di una bolla immobiliare si fa sempre più all’orizzonte. Non è tanto un problema di “se scoppierà”, ma di quando. E la riprova è in questo grafico elaborato da Bloomberg e da Nationwide: cicli storici che si ripetono.

A ben vedere i problemi sono essenzialmente due. Da un lato la ristrettezza del mercato, ovvero semplicisticamente, le case di pregio a Londra non sono infinite, e dato che l’acquisto, specie da parte degli stranieri (anche italiani), è stato effettuato in un’ottica prettamente d’investimento, è chiaro che ai primi segnali d’inversione di tendenza – che in realtà in parte si stanno già verificando con rendimenti derivanti dagli affitti più vicini al 4% piuttosto che al 5 per cento – le case con proprietari non british saranno vendute molto velocemente, anche con sconti significativi, perché non sono abitate stabilmente da chi le possiede.

L’altro ordine di forte preoccupazione è la volatilità delle valute, e le turbolenze dei mercati: non va dimenticato difatti, che a 8mila chilometri di distanza è sempre più forte la preoccupazione per la bolla immobiliare cinese, il cui scoppio potrebbe generare il collasso della finanza internazionale. Risultato? Anche in questo caso chi ha investito in case che non abita si porrà l’obiettivo di andare all’incasso, uscendo dalle immobilizzazioni legate al mattone per avere liquidità da poter investire in altri mercati (immobiliari o meno), accendendo un domino molto pericoloso anche per i mercati limitrofi.

Ecco spiegato perché ad essere inquieto è anche l’Ocse che in un recente report si è detto molto impensierito dall’impennata dei prezzi degli immobili a Londra, e degli interventi finora limitati messi in campo dal Governo britannico e dalla Banca d’Inghilterra.

D’altro canto le soluzioni non sembrano essere moltissime: nel lungo periodo, indubbiamente, l’unica politica sensata sembra essere quella di costruire più case – si parla di almeno 250.000 all’anno – dato che per decenni in tutta la Gran Bretagna la costruzione di nuovi immobili è stata praticamente bloccata, ma nel breve e medio termine, l’obiettivo delle autorità britanniche è di raffreddare gli aumenti degli immobili nell’ordine del 10% anno su anno. Finora però Bank of England non ha mai considerato la possibilità di cambiare rotta nella politica monetaria (i tassi sono ai minimi storici allo 0,5% e il piano di stimolo monetario a 375 miliardi di sterline all’anno).

E l’Italia in questo scenario, potrebbe beneficiarne? Il nostro mercato immobiliare è in una situazione di forte impasse: i prezzi stanno scendendo rispetto ai picchi del 2006-2007, con un’accelerazione negli ultimi due anni, ma un vero e proprio crollo non c’è stato, perché l’esposizione del sistema bancario italiano nell’industria immobiliare ha di fatto “calmierato” la possibile caduta. D’altro canto anche la concessione di mutui, seppur dia segnali di sblocco, è ancora molto precaria e lo scoppio della bolla immobiliare britannica, seppur in un Paese fuori dall’area dell’euro potrebbe bloccare del tutto l’avvio della ripresa su questo fronte.

Purtroppo non c’è da aspettarsi frotte di investitori in fuga dal mercato londinese approdare sui nostri lidi. Ciò nonostante, rispetto all’ultimo biennio c’è un maggior interesse dei grandi investitori istituzionali, dal fondo sovrano del Qatar in Porta Nuova a Milano, al fondo americano Quantum Strategic Partners di George Soros che ha acquistato una partecipazione del 5% nella Siiq quotata italiana Igd, e sono numerose le trattative e i deal di investitori come Blackstone, Cerberus, Apollo, Lone Star, Orion, nonchè Tristan e Benson Elliott. Ad attestarlo sono ancora i numeri: rispetto al primo trimestre 2013 i volumi d’investimento nel primo trimestre di quest’anno sono aumentati del 16%, attestandosi a 720 milioni di euro (secondo una ricerca di Cbre, ndr).

Il problema è la mancanza del prodotto immobiliare: l’Italia è ricca di case che, guardate con l’occhio di un investitore istituzionale, valgono poco, perché offrono rendimenti non competitivi, e il repricing indubbiamente in atto aiuta solo in parte a creare “occasioni”. Allo stesso modo i privati con possibilità economiche importanti puntano sulle località turistiche (Roma, Toscana, Venezia) e su tagli del segmento del lusso. Anche in quest’ambito, tuttavia, gli immobili non sono inesauribili. Parafrasando il miliardario statunitense Warren Buffet la ragione più stupida del mondo per acquistare un’immobile è il fatto che la sua quotazione stia salendo. Le crisi non nascono mai per caso.

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