La trattativa con gli ultrà che legittima la violenza

La trattativa con gli ultrà che legittima la violenza

Cinque anni fa nel mondo del calcio italiano scoppiò una polemica giudicata da molti addetti ai lavori pretestuosa, viziata dal provincialismo di chi si era trasferito all’estero a lavorare. In pratica Fabio Capello, allora allenatore della nazionale inglese, disse che in Italia comandano gli ultrà, le curve con potere di ricatto e negoziato con i club. Un andazzo inconcepibile in altri paesi di calcio avanzato. Lex tecnico di Milan e Roma portava lesempio del fenomeno hooligans che per alcuni anni distrusse la reputazione (anche economica) del calcio oltremanica. Una volta individuato, il problema fu estirpato senza se e senza ma e oggi in Inghilterra gli stadi sono pieni di gente. Apriti cielo. Le parole di Capello, sacrosante, furono criticate aspramente e liquidate come lesioniste e provinciali da parte del presidente del Coni Petrucci e di Adriano Galliani. Il sistema del calcio fece orecchie da mercante e tirò dritto, fino al successivo autogol.

Quella non fu l’unica denuncia contro la violenza negli stadi (ce ne sono di ricorrenti in Italia, tutte segnate da lacrime di coccodrillo), ma fu la presa d’atto da parte di un grande tecnico italiano che lavora in giro per il mondo. Se si chiedesse a Carlo Ancelotti o altri colleghi italiani globalizzati, magari con più diplomazia, ti direbbero la stessa cosa: in Italia manca una cultura dello sport e della prevenzione, ci sono pastette con le società, la politica non interviene davvero perché quello del calcio resta un bacino di consensi, e poi mancano gli stadi di proprietà. Risultato: la gente li diserta e le squadre (anche per questo) declinano e non attirano gli investimenti che servirebbero. 

Il fattaccio di ieri sera, con un capo ultrà del Napoli, figlio di un camorrista, con t-shirt inneggiante all’omicida del commissario Raciti, che dà il via libera alla finale di Coppa Italia dopo gli incidenti fuori e dentro lo stadio, è esattamente la metafora di un sistema marcio che non impara mai nulla dai propri errori. Dalla vicenda dei tornelli, ai morti periodici che affollano le cronache del calcio italiano fino alla discussa vicenda della tessera del tifoso, ogni occasione è buona per cospargersi il capo di cenere e, regolarmente, non fare nulla dal giorno seguente. Non discutiamo il fatto di giocare o meno la partita, in queste vicende entra sempre una valutazione sull’ordine pubblico e il deflusso dallo stadio, bensì l’andazzo di negoziare con le curve ogni scelta potenzialmente impopolare. Se siamo arrivati a questa consuetudine significa che così fan tutti, che questo scambio, impersonificato dal capitano del Napoli Hamsik che si consulta con i capi ultrà, è diffuso e quotidiano tra curve e società di calcio. Non senza simbolismi potenti che ieri sera hanno completato il quadretto lugubre. Uno. In tribuna a Roma c’era anche il premier Matteo Renzi, tifosissimo della Fiorentina. La scandalosa trattativa stato-tifosi è avvenuta sotto i suoi occhi impotenti. Paradossale. Due. L’arresto stamattina con l’accusa di tentato omicidio di Daniele De Santis. Secondo la Polizia sarebbe stato lui a “provocare” i tifosi del Napoli tirandogli addosso dei fumogeni. E chi è De Santis? Esattamente l’ultrà con precedenti penali passato alle cronache per essere sceso in campo e aver “convinto” capitan Totti a sospendere un derby Roma-Lazio di dieci anni fa. Motivo: in curva sud si era diffusa la falsa notizia di un bambino morto, investito da una camionetta della polizia fuori dello stadio (anche in quel marzo 2004 c’erano stati scontri tra tifoserie). Quell’immagine fece il giro del mondo. Il calcio ostaggio dei violenti. Dieci anni dopo, sempre all’Olimpico, tutto si ripete. E, insieme, i titoli dei giornali e le lacrime di coccodrillo e ipocrisia del sistema calcio. 

(di Marco Alfieri)

La cronaca della giornata di ieri e i principali commenti.

Gli scontri. Sono stati diversi gli scontri ieri prima della finale di Coppa Italia tra Fiorentina e Napoli, giocata a Roma. I più gravi sono avvenuti davanti alla discoteca Ciak, a Tor di Quinto, sequestrata da qualche settimana per motivi amministrativi, ex vivaio e ritrovo di capi tifosi. Un corteo di tifosi napoletani percorre viale Tor di Quinto in direzione dell’Olimpico, in direzione dell’Olimpico. Si sentono tre spari: tre tifosi napoletani sono feriti. 

Scrive Rinaldo Frignani sul Corriere della Sera:

Si sentono botti, grida. Fuori è il caos: migliaia di ultrà incappucciati assaltano la scorta della polizia, distruggendo due auto e un blindato. Esplodono bombe carta caricate con chiodi e bulloni, gli agenti sono costretti a indietreggiare.

Tre i tifosi napoletani feriti: il più grave è Ciro Esposito, 31 anni, al torace, a una spalla e a una mano: è gravissimo all’ospedale Villa San Pietro. Al Gemelli ci sono però altri sei tifosi rimasti coinvolti negli scontri, tra i contusi c’è anche qualche poliziotto.

Non sono stati gli unici scontri. Scrive ancora il Corriere

Altri tafferugli, con teppisti armati di catene e bastoni, sono scoppiati prima della partita al ponte Duca d’Aosta, al ponte della Musica, al Flaminio. Sei feriti in due autogrill per scontri fra napoletani e fiorentini, a Ponzano Romano e vicino Rieti. In tilt la zona nord della Capitale. Paralizzati i caselli autostradali da più di 450 pullman carichi di tifosi che, sotto scorta, sono stati portati fino all’Olimpico.

De Santis. Per la sparatoria è stato arrestato dalla polizia con l’accusa di tentato omicidio Daniele De Santis. Questa la ricostruzione: 

A sparare, secondo un’ipotesi investigativa non ancora definitivamente confermata, potrebbe essere stato un tifoso romanista, Daniele De Santis, 48 anni, famoso per aver convinto — con altri sei giallorossi — Francesco Totti nel 2004 a non giocare un derby in notturna perché la polizia aveva travolto e ucciso un ragazzino. Notizia falsa, che scatenò il panico fuori dall’Olimpico. L’ultrà, solo sospettato (nella notte è stato sottoposto alla prova dello stub), è piantonato al Policlinico Gemelli in prognosi riservata, con ferite alla testa e trauma cranico. Accanto a lui gli agenti della Digos hanno trovato una pistola calibro 7.65 con la matricola abrasa e sette bossoli. Un altro romanista sarebbe fuggito dal Ciak, dove De Santis lavora come custode. 

De Santis, detto “Gastone”, ha alle spalle una lunga scia di violenze e processi, dai quali è uscito il più delle volte senza conseguenze. Fu protagonista di diversi ricatti, soprattutto all’epoca della presidenza Sensi. Qui la ricostruzione delle vicende. 

La trattativa. Mentre il protagonista della trattativa con Totti del 2004, umiliante per il calcio italiano, veniva fermato, è cominciata quella con i tifosi del Napoli per giocare. I colloqui con le frange organizzate – e violente – della tifoseria partenopea, che chiedeva di non giocare, è andata in onda in diretta televisiva, e davanti agli occhi delle istituzioni presenti all’Olimpico, dal presidente del Consiglio Renzi a quello del Senato Grasso. 

Il braccio di ferro tra polizia e tifosi, scrive il Corriere, termina

con un ordine perentorio arrivato dai responsabili della sicurezza: si deve giocare, un rinvio rischia di trasformare il deflusso dagli spalti in guerriglia. 
Il tifoso che fa «sì» con la testa, uno dei «capi» ultrà napoletani, concede l’assenso e così fa tirare un sospiro di sollievo a chi deve garantire che tutto proceda. L’autorizzazione all’avvio della partita concede due ore per riorganizzare il dispositivo in vista dell’uscita, ma non c’è alcuna certezza di quel che accadrà dopo, di che cosa succederà durante la notte con la città gremita di tifosi del Napoli e della Fiorentina, ma sopratutto con gli ultrà di Roma e Lazio pronti a entrare in azione. Esattamente come era accaduto nel pomeriggio. 

Genny a’ Carogna. A scandalizzare l’opinione pubblica, oltre alla mediazione in sé, è il profilo dell’ultras che dà l’assenso. Così lo descrive la Gazzetta dello Sport

Si chiama Gennaro De Tommaso, capo dei Mastiffs, uno dei più noti gruppi ultrà del Napoli, figlio di un camorrista affiliato al clan Misso. È detto, appunto, Genny ’a carogna, e in passato è stato oggetto di Daspo, il divieto di assistere a manifestazioni sportive.

Il commento del giornalista sportivo Massimo De Luca, sul suo blog: 

Il gentiluomo in questione esibisce una maglietta che invoca libertà per Speziale, l’assassino dell’ ispettore Raciti, ucciso negli scontri fra tifosi catanesi e palermitani nel 2007. Val la pena di ricordare che in quell’occasione il campionato si fermò, la mobilitazione fu (o sembrò) generale, la sensazione diffusa fu che si fosse raggiunto il punto di non ritorno. 

Continua De Luca: 

La legittimazione del mondo ultras che inneggia all’ assassino di un poliziotto è  la circostanza più inquietante di una ennesima serata nera del nostro calcio, screditato in tutto il mondo via web dalle immagini dello Stadio Olimpico in ostaggio. Ci si può anche continuare a chiedere come mai nessun grande investitore straniero metta nel mirino qualche squadra italiana: ma la risposta, a volerla vedere, già c’è, sommata alla difficoltà di avviare un serio progetto di costruzione di uno stadio. Il nostro calcio è in ostaggio: lo sostenne tempo fa Capello e fu sommerso da polemiche. Sarà un caso che l’unico addetto ai lavori a denunciarlo sia stato lui che, ormai, lavora solo all’estero e non manifesta alcuna intenzione di tornare ad allenare in Italia?

L’allarme inascoltato di Capello. La polemica di Capello ricordata da De Luca riguarda le dichiarazioni dell’allenatore Fabio Capello il 26 ottobre 2009: «In Italia comandano gli ultrà», aveva detto a Coverciano. Queste le parole del tecnico:

Purtroppo gli ultrà fanno tutto quello che vogliono. Allo stadio si può insultare tutto e tutti. In Spagna invece c’è grande rispetto e le famiglie vanno allo stadio con i propri bambini: è un altro mondo.

Mi rammarico molto di quanto sta succedendo in Italia, il declino sarà sempre più evidente, basterebbe solo applicare la legge. Bisogna prendere una decisione da parte delle autorità e dei club affinchè la gente torni negli stadi e questi siano più accoglienti.

Era seguita una polemica con il presidente del Coni Gianni Petrucci, che aveva risposto:  

Comandano gli ultrà? Assolutamente no. Capello ha allenato in Italia, sono un suo amico, e non mi va che quando si è all’estero si danno dei giudizi sul proprio paese. Sono dichiarazioni che non mi intusiasmano e che lasciano il tempo che trovano. 

I precedenti. Quello di ieri non è che l’ultimo episodio di una serie molto lunga. I casi più noti di trattative tra polizia, giocatori-mediatori, e tifoserie, sono quello già ricordato del derby Roma-Lazio del 21 marzo 2004, della partita di qualificazione agli Europei tra Italia e Serbia a Genova nel 2010 (con l’intervento di Ivan Bogdanov (“Ivan il terribile”) e, sempre al Marassi, nel 2012, la partita tra Genoa e Siena. In quell’occasione i tifosi costrinsero i giocatori del Genoa a togliersi le maglie e a mediare intervenne Giuseppe Sculli. La ricostruzione degli episodi de L’Unione Sarda

Milano, Torino e le faide interne alle tifoserie. I rapporti distorti tra tifoserie e società calcistiche non riguardano solo Roma e Napoli. Scriveva nel dicembre 2013 Alessandro Da Rold su Linkiesta:

Nel panorama calcistico italiano non si può non notare che i casi di violenza degli ultimi anni siano capitati soprattutto sull’asse Torino-Milano. Juve e Milan, le squadre più gallonate, le più ricche, dei Berlusconi e degli Agnelli.

Un rapporto che è sospetto anche quando riguarda le faide interne alle tifoserie: 

La storia è sempre la stessa. I protagonisti pure. Il caso di Umberto Toia, 48 anni, ultrà della Juventus picchiato a sangue nel giorno della vigilia di Natale, non è che una storia di ordinaria amministrazione per le curve delle squadre di tutta Italia. È l’ennesimo caso di faida interna al mondo delle tifoserie dove negli ultimi dieci anni sono cambiate molte cose, dall’introduzione della tessera del tifoso allo scioglimento di gruppi storici, dai regolamenti insensati sulla condotta da tenere allo stadio alla formazione di curve cosiddette “unitarie” (La Curva Sud del Milan ne è un esempio, ndr) sostenute dalle dirigenze dei club. È un incrocio di interessi economici, diplomazie (spesso fallimentari) tra delinquenti, botte, ricatti, droga, quattrini e persino la lunga mano della criminalità organizzata. 

I numeri. C’è poco da stupirsi di quanto sta avvenendo, ha sottolineato sul Corriere della Sera Mario Sconcerti, se si considera che in Italia «gli ultrà violenti schedati sono circa 70mila». 

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