Da una parte l’ex ministro dell’Interno e dello Sviluppo Economico Claudio Scajola, dall’altra gli investigatori della Direzione Investigativa Antimafia di Reggio Calabria e i pm della Direzione Distrettuale Antimafia del capoluogo calabrese. In mezzo la latitanza a Dubai dell’ex deputato di Forza Italia Amedeo Matacena condannato in via definitiva a cinque anni e quattro mesi per concorso esterno in associazione mafiosa.
Nella mattinata di oggi, 8 maggio, è stato arrestato a Roma su richiesta della direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria Claudio Scajola: stando alle indagini degli inquirenti il quattro volte ministro ed ex coordinatore di Forza Italia avrebbe favorito la latitanza dell’ex esponente di Forza Italia Amedeo Matacena. L’indagine è stata coordinata dai pm Giuseppe Lombardo e Francesco Curcio e avallata dal Giudice per le Indagini Preliminari Olga Tarzia.
Oltre a Scajola e Matacena sono state arrestate la moglie dello stesso Matacena Chiara Rizzo e la madre Raffaella De Carolis. Ai domiciliari sono finite la segretaria di Scajola, Roberta Sacco, e la segretaria del latitante Matacena, Maria Grazia Fiordalisi, arrestate rispettivamente a Imperia e a Sanremo.
Gli inquirenti non hanno dubbi: «le investigazioni sono particolarmente ricche di riferimenti anche diretti che vedono Scajola in pole position nell’impegno volto all’individuazione di uno Stato estero che evitasse per quanto possibile l’estradizione del Matacena o la rendesse quanto meno molto difficile e laboriosa». Una serie di intercettazioni telefoniche e contatti permetterà agli investigatori di individuare nel Libano lo Stato presso cui l’ex ministro avrebbe trovato una sistemazione favorevole per Amedeo Matacena.
Chi è Amedeo Matacena
Ex deputato di Forza Italia, Amedeo Matacena, calabrese, è stato eletto due volte (1994 e 2001) a Montecitorio per il partito di Silvio Berlusconi, fu arrestato a Dubai nell’agosto del 2013. L’ex parlamentare azzurro era latitante dal mese di giugno, quando era diventata definitiva una sentenza di condanna a 5 anni e 4 mesi per concorso esterno in associazione mafiosa pronunciata il 6 giugno di un anno fa dalla Cassazione. L’esponente forzista era stato condannato a cinque anni di reclusione dalla Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Matacena era stato assolto con la precedente sentenza di due anni prima, ma la Corte di Cassazione aveva annullato il processo con rinvio ad altro collegio. L’ex parlamentare era stato coinvolto nell’inchiesta denominata “Olimpia”, condotta dalla Dia negli anni ’90, con l’accusa di essere un punto di riferimento della cosca Rosmini di Reggio Calabria. Un’inchiesta che svelò il ruolo della città di Reggio Calabria come laboratorio di trame e connivenze fra ’ndrangheta, massoneria, eversione nera e pezzi di Stato.
Per la Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria Matacena è colpevole di aver favorito la cosca Rosmini e per questo da condannare a 5 anni e 4 mesi di reclusione. Una sentenza resa definitiva dalla Cassazione, che scriveva nelle motivazioni depositate lo scorso 14 agosto 2013: «Evidentemente non si può stringere un “accordo” con una struttura mafiosa, se non avendo piena consapevolezza della sua esistenza e del suo modus operandi. Tanto basta per ritenere che Matacena ben sapesse di aver favorito la cosca dei Rosmini (e tanto lo sapeva da aver preteso la esenzione dal “pizzo”)».
Il nome di Matacena compare anche nell’inchiesta “Sistemi Criminali”, tirato in ballo dal pentito Pasquale Nucera, che descrivendo un summit tra affilitati alle cosche calabresi ricorda come a uno di questi incontri a Polsi nel 1991 (Matacena sarà poi eletto nel 1994), fosse presente anche «seppure defilato, Matacena junior “il pelato”, appartato con Antonino Mammoliti di Castellace».
Lo stesso fu tra l’altro sentito per due volte anche nel processo di primo grado a carico di Marcello dell’Utri che si è chiuso il 9 maggio scorso con la condanna definitiva a sette anni dell’ex senatore e fondatore di Forza Italia.
L’indagine
L’inchiesta della direzione distrettuale antimafia di Reggio prende le mosse dalla più ampia indagine denominata “Breakfast” che punta a ricostruire investimenti e reinvestimenti delle cosche della ‘ndrangheta, in particolare dei De Stefano, sia in Italia sia all’estero. Reinvestimenti che coinvolgono personaggi legati alla politica: all’indagine Breakfast è infatti legata la vicenda dell’ex tesoriere della Lega Nord Francesco Belsito, entrato nel consiglio d’amministrazione di Fincantieri nel 2010, periodo in cui Scajola guidava il dicastero dello Sviluppo Economico.
Grazie agli accertamenti avviati dai pm sul faccendiere Bruno Mafrici, coinvolto nelle indagini sulla Lega Nord, sono emersi i contatti fra l’ex titolare del Viminale e dello Sviluppo Economico Claudio Scajola e la moglie dell’ex deputato Amedeo Matacena, Chiara Rizzo. Proprio Rizzo chiede a Scajola un aiuto per la fuga in Libano del marito in seguito alla sentenza della Cassazione. Secondo il capo della procura di Reggio Calabria «Amedeo Matacena godeva e gode tuttora di una rete di complicità ad alti livelli grazie alla quale è riuscito a sottrarsi all’arresto».
Insieme a Scajola e Matacena, sono state arrestate la moglie dell’ex ministro, Chiara Rizzo, la madre Raffaella De Carolis e altre quattro persone, Martino Politi, Antonio Chillemi e la segretaria di Scajola, Roberta Sacco. Attraverso la loro attività, scrivono gli inquirenti, avrebbero aiutato Matacena a occultare la reale titolarità e disponibilità dei suoi beni, nonché di aver favorito la latitanza all’estero di quest’ultimo.
Dall’indagine emerge che il Libano sarebbe meta ideale per favorire la latitanza di Amedeo Matacena in quanto lo stesso Scajola avrebbe avuto entrature significative con il governo libanese e fuggire da Dubai dove era stato individuato dai Carabinieri con conseguente ritiro del passaporto. Qui entra in gioco Vincenzo Speziali Jr, sottoposto a perquisizioni e tra i papabili nuovi indagati dell’inchiesta, che avrebbe avuto buoni rapporti con Amin Gemayel esponente politico libanese, già presidente del governo libanese dal 1982 al 1988. Speziali Jr è figlio di Vincenzo Speziali, classe 1931, già dirigente Eni ed eletto senatore nel Pdl nel 2008.
Tutti al servizio di Scajola (e Matacena)
Dalle carte dell’inchiesta emerge un uso disinvolto da parte di Scajola della scorta della Polizia di Stato, delle conoscenze all’interno del Viminale e dei rapporti diplomatici con gli ambasciatori.
In questo senso gli inquirenti leggono anche i rapporti tra l’ambasciatore italiano presso il Principato di Monaco, Antonio Morabito (in buoni uffici anche con Scajola) e Chiara Rizzo, moglie di Matacena. Rizzo chiede e ottiene l’intercessione dell’ambasciatore per incontrare il marito latitante a Dubai. Per gli inquirenti Morabito aveva «piena cognizione della posizione giudiziaria di Matacena».
A gennaio 2014 Scajola mette in contatto Chiara Rizzo prima con un Assistente Capo della Polizia di Stato in servizio presso la Questura di Imperia, addetto alla scorta di cui gode ancora lo stesso. In un secondo momento per la verifica della targa di un auto la segretaria di Scajola contatterò addirittura un sovrintendente capo della Polizia di Stato in servizio presso il viminale.
Quanto basta agli inquirenti per contestare in uno dei decreti di perquisizione che i soggetti «in concorso necessario con ulteriori soggetti il cui ruolo è in corso di compiuta ricostruzione, ciascuno nella sua qualità professionale, politica e imprenditoriale, prendono parte ad una associazione per delinquere segreta collegata all’associazione di tipo mafioso e armata denominata “’ndrangheta” da rapporto di interazione biunivoca al fine di estendere le potenzialità operative del sodalizio di tipo mafioso in campo nazionale ed internazionale». Da questi soggetti lambiti per ora non rientrano l’ambasciatore italiano a Monaco e gli appartenenti alla Polizia di Stato, ma sul fronte delle indagini il capitolo è tutt’altro che chiuso: «Abbiamo ravvisato» ha infatti chiosato il pm Curcio «dei collegamenti inquietanti fra soggetti legati alla ‘ndrangheta con ambienti politici e imprenditoriali di alto livello», e le indagini non si fermano. Per il procuratore capo di Reggio Calabria Federico de Raho «non esistono intoccabili».
I guai di Scajola con le cosche
Dopo l’arresto dell’ex titolare del Viminale e dello sviluppo economico non si può non pensare alla Liguria e all’imperiese: sua terra d’origine e regione che ha visto due comuni come Ventimiglia e Bordighera sciolti per mafia nel giro di due anni.
Nel dicembre 2012 la Direzione Distrettuale Antimafia di Genova porta a compimento l’indagine denominata “La Svolta”. Poco tempo prima lo stesso Scajola, ras del Pdl ligure, avvertiva i vertici regionali del partito: «So tutto di voi, per gli incarichi istituzionali che rivestivo, ho guidato i servizi, conosco i vostri segreti».
Agli atti dell’operazione “La Svolta” partita pochi giorno dopo le affermazioni di Scajola nei confronti di Eugenio Minasso, finiscono le intercettazione dell’anziano boss di Ventimiglia Giuseppe Marciano: «Non so se mi capite, quando ha fatto il pranzo Boscetto (il senatore Boscetto, ndr) quando è venuto Scajola, quando è venuto Saso (Alessio, consigliere regionale Pdl), quando.. avete capito quella, la Barabino (assessore alla provincia di Imperia) c’erano anche loro”». Salvo poi lamentarsi del fatto che, scrive il giudice per le indagini preliminari di Genova, Massimo Cusatti, «dopo la pubblicazione sui giornali di articoli sulle inchieste di mafia nel Ponente, molti esponenti politici che frequentano il suo locale sono praticamente scomparsi, al chiaro fine di non vedere accostato il proprio nome al suo».
Nuovi indagati
Tra i nuovi indagati, resi noti lo scorso 13 maggio ci sono i fratelli Cecilia e Giorgio Fanfani, Emo Danesi ex deputato Dc sospeso dal partito nei lontani anni 80 perché massone e piduista, Daniele Santucci, presidente dell’Agenzia italiana per pubbliche amministrazioni (e socio di Pier Carlo Scajola, figlio di Claudio), come riporta il Corriere della Calabria, più volte evocato nelle conversazioni fra la moglie dell’ex parlamentare latitante e l’ex ministro, «soggetto coinvolto in tali affari, alcuni verosimilmente trovatisi nel luogo della latitanza di Matacena», già finito nei guai il 14 marzo 2014 con l’accusa di peculato per 7 milioni di euro, Giovanni Morzenti, ex presidente della Federazione italiana sport invernali (Fisi), condannato per concussione nel febbraio 2013, Pierluigi Bartoloni, amico di Giorgio Fanfani e – emerge dalle carte – in stretto contatto con Matacena, ma anche Maria Teresa Scajola e Elisabetta Hoffmann.