Qualche giorno fa, in questo articolo, avevamo azzardato una previsione: la sentenza della Corte di Giustizia Europea contro Google potrebbe cambiare il modo di utilizzare Internet da parte di tutti gli utenti. Ipotizzavamo anche che avremmo sentito ancora molto presto parlare di Mario Costeja González (il tizio che ha richiesto a Google l’eliminazione dal web di un contenuto che lo riguardava, inizialmente pubblicato sul quotidiano spagnolo la Vanguardia, e poi finito in Rete). Ecco oggi forse quel processo di cambiamento potrebbe aver effettuato i suoi primi passi.
“Diritto all’oblio”, qualcuno lo ha definito così: al di là della correttezza o meno della definizione, quel che più conta è che il motore di ricerca più utilizzato al mondo ha lanciato un servizio attraverso il quale i cittadini europei potranno chiedere che vengano cancellati i link a risultati di ricerca che si ritengano inopportuni. E anzi c’è molto di più perché Google ha già messo a disposizione degli utenti un form online che potrà essere compilato da chiunque pensi sia necessario farlo, con lo scopo di essere dimenticati dalla Rete.
Per il motore di ricerca che in Europa processa il 90% di tutte le ricerche sul Web, si tratta di un colpo durissimo. D’altronde i malumori sulla passata sentenza della Corte Ue non tardarono a farsi sentire, e un portavoce ufficiale di Google sosteneva qualche settimana fa: «Si tratta di una decisione deludente per i motori di ricerca e per gli editori online in generale. Siamo molto sorpresi che la sentenza della Corte di Giustizia Europea differisca in maniera così eclatante dall’opinione espressa dall’Advocate General della Corte di Giustizia Europea. Adesso abbiamo bisogno di tempo per analizzarne le implicazioni».
Va ricordato inoltre che la sentenza emessa lo scorso 14 maggio dalla Corte di giustizia europea contro Google, si basa su una direttiva sulla protezione dei dati in Europa che risale al 1995, praticamente un’era geologica fa, se consideriamo gli enormi passi avanti fatti in questi anni in merito alla crescita e alla trasformazione della Rete. In ogni caso i cittadini che vorranno rimuovere i link dovranno effettuare un procedura meticolosa: ovvero fornire i link esatti di cui si richiede la cancellazione, il Paese di origine e le motivazioni della richiesta. Tale richiesta dovrà essere poi accompagnata da una foto valida che ne certifichi l’identità, affinché si possa evitare di incorrere in richieste false. Da qui in poi sarà Google a valutare l’eventuale eliminazione del contenuto solo per i risultati ottenuti nelle ricerche all’interno dell’Unione Europea, tramite un’apposita commissione di esperti, in base al bilanciamento tra diritti alla privacy dell’individuo e il diritto del pubblico sapere legato al concetto di informazione online. Nel caso in cui Google decidesse di non rimuovere i link, il rischio sarebbe quello di incorrere in pesanti sanzioni.
Le grane in casa Google però non sono finite, perché la società di Mountain View, proprio in queste ultime ore, è finita nuovamente nel mirino della cronaca. Non si tratta però di qualche acquisizione milionaria, pronta a far scattare il giudizio ferreo di analisti e tecnici sulla buona riuscita o meno dell’affare, né tantomeno di uno dei tanti scontri con gli altri giganti della Silicon Valley pronti a darsi battaglia per aggiudicarsi la palma del più forte.
A far scricchiolare le mura dei magnifici uffici di Mountain View è documento messo in circolazione da Google stesso. Per la prima volta nella sua storia la società ha pubblicato un documento riguardante la diversità etnica e di genere dei suoi dipendenti. E il risultato non è proprio quello che ci si aspettava. La maggior parte dei dipendenti sono uomini bianchi, con una percentuale che raggiunge addirittura il 61 per cento; al secondo posto ci sono gli asiatici con il 30 per cento dei dipendenti. Ma quel che stupisce di più sono le percentuali di ispanici (3%) e di neri (3%). Nel totale il 70 per cento sono uomini e solamente il 30 per cento donne.
Tutto ciò sta a significare che Google mette in atto delle discriminazioni razziali? Molto probabilmente no, ma le difficoltà di creare un ambiente che sia la vera espressione della diversità, sono evidenti. Ad ammetterlo è lo stesso Laslo Bock, senior vice president delle People Operations di Google: «È difficile affrontare questo tipo di sfide se non siete disposti a discuterne apertamente, e con i fatti». Block non nasconde il fatto che Google sia lontano dall’obiettivo che si è prefisso di raggiungere in termini di diversità, ma è anche convinto del fatto che si tratti di una questione che abbraccia tutte il settore delle aziende tecnologiche.
Non solo problemi in Europa quindi per il gigante dei motori di ricerca. Certo la questione della cancellazione dei dati porterà con sé parecchi strascichi, e nel futuro potrebbe essere materia controversa per giuristi, esperti di privacy, professionisti informatici e perché no anche giornalisti. Anche la questione della diversità all’interno del contesto lavorativo non è da sottovalutare se si vuole scongiurare un danno d’immagine che non ci si può permettere. Come titola il sito The Verge in un articolo a riguardo “Google sta costruendo il futuro, ma la sua forza lavoro assomiglia molto ad un passato indesiderato”. Ça va sans dire.