EaEU, acronimo inglese per Eurasian Economic Union, è l’Unione economica euroasiatica, battezzata il 29 maggio 2014 ad Astana, Kazakistan. Ne fanno parte per ora Russia, Bielorussia e appunto Kazakistan. Tre ex repubbliche sovietiche cui presto si aggiungeranno con grande probabilità Armenia, Kirghizistan, Tagikistan e forse pure l’Uzbekistan. Cosa è? Solo una nuova sigla tra le tante che lo spazio postcomunista ha sfornato negli ultimi vent’anni? Una specie di Urss light? La risposta di Vladimir Putin all’Unione europea? Un bluff che maschera la fragilità di una potenza regionale che non vuole rassegnarsi a essere tale? Un club di autocrati e di poveracci?
«Una nuova realtà geopolitica è nata nel 21esimo secolo». Questa la dichiarazione neutrale del padrone di casa Nazarbayev che ha firmato, insieme con Vladimir Putin e Alexandr Lukashenko, il trattato di fondazione. L’Unione partirà operativamente dall’inizio del prossimo anno e il nuovo spazio unico economico garantirà la libera circolazione di prodotti, servizi, capitali, lavoratori e metterà in opera una politica concertata nei settori chiave dell’economia dei Paesi partecipanti, dall’energia all’industria, dall’agricoltura ai trasporti. Così almeno dicono i fondatori.
Il Cremlino ha parlato della formazione di un importante mercato comune nello spazio della Comunità degli stati indipendenti (Csi) che diventerà un potente centro di sviluppo economico con 170 milioni di persone e un Pil complessivo di 2,7 trilioni di dollari. All’appello di Putin manca quell’Ucraina che Mosca voleva tenere legata a sé, ma che la rivoluzione di febbraio e la guerra nel Donbass non stanno tanto avvicinando all’Europa, quanto spingendo verso il baratro. E Vladimir Vladimirovich non sembra preoccuparsene più di tanto.
Il momento in cui è arrivato il battesimo di Astana, con la crisi ucraina che ha allontanato Russia e Stati Uniti, un po’ meno l’Europa, è significativo, proprio perché é il segnale che Mosca persegue il progetto di integrazione euroasiatica in maniera indipendente, accelerando verso oriente e non verso occidente. Ma la tempistica non è certo da sopravvalutare, visto che il progetto dell’Unione parte da lontano, prima del conflitto in Ucraina e anche di quello in Georgia del 2008. Il fatto che il piano di riallineamento delle ex repubbliche sovietiche continui senza Kiev, considerato inizialmente un anello fondamentale per la realizzazione dell’EaEU, mostra come il Cremlino se ne infischi della più popolosa delle vecchie sorelle. E in questo momento forse si capisce anche perché.
L’Ucraina non è solo un Paese in guerra e sulla via di un possibile smembramento, ma sull’orlo del tracollo economico-finanziario. Non si è ancora ripresa dalla crisi del 2009, quando il Pil è crollato del 15%, e che quest’anno cadrà ancora più in basso, con un tonfo dell’8%, se non peggio. E chissà quando si rimetterà veramente in sesto. Al confronto, gli aspiranti all’ingresso nell’EaEU, i piccoli e poveri Armenia, Kirghizistan e Tagikistan (l’Uzbekistan è a parte, visto che sembra non avere troppa fretta di unirsi al gruppo), sono in condizioni smaglianti. Da questo punto di vista, proprio per loro, entrare nell’Unione sarebbe un vantaggio, mentre la Russia, che non sta proprio bene, avrebbe comunque il compito poco remunerante di fare da traino. I problemi si relativizzano proprio per il fatto che le economie in questione sono leggere. Il fardello ucraino graverebbe invece non poco, ma allo stato attuale delle cose sembra che la questione sia ormai da risolvere tra Washington e Bruxelles. E il conto andrà a finire alle cancellerie occidentali.
L’asse economico che conta e intorno al quale si muoverà tutta l’Unione è ovviamente quello tra Mosca e Astana, con tutto il rispetto per Minsk, che sta nel club perché a Lukashenko manca ogni praticabile alternativa. Russia e Kazakistan sono potenze energetiche non necessariamente concorrenti ed entrambe guardano sia a ovest che a est, dove la Cina assetata di gas e petrolio ha già cominciato a ordinare da bere. Come l’Unione europea è uscita dalla Ceca, la vecchia comunità del carbone e dell’acciaio, così la nuova Urss rinasce nel nome dell’energia. E come nel corso degli anni l’Europa é cresciuta sotto il ruolo egemone della Germania, così l’EaEU sarà guidata dalla Russia, il Paese più grande con l’economia più forte.
È presto per prevedere cosa diventerà davvero l’Unione voluta da Putin, è però certo che si tratta di un progetto, non solo economico, ma geopolitico, che sta nell’ordine delle cose e segue la stessa linea che ha percorso l’Europa occidentale dopo la seconda guerra mondiale. La disgregazione dell’Urss, “la più grande catastrofe geopolitica del XX secolo” secondo la definizione putiniana, ha creato un vuoto in Eurasia che la volontà di potenza del Cremlino e il corso della globalizzazione stanno portando di nuovo a colmare. Stretta tra l’Europa e la Cina, la Russia conduce insomma il riassemblaggio delle ex repubbliche sovietiche come se fosse un processo quasi fisiologico. E se l’Ucraina non ci sarà, almeno nel suo intero, non se ne farà una ragione.