Portineria MilanoCsm, quella stima di Napolitano per Bruti Liberati

Csm, quella stima di Napolitano per Bruti Liberati

Si conoscono da anni, si stimano da decenni. Nel giorno in cui il Csm ha archiviato la pratica a carico del Capo della procura di Milano Edmondo Bruti Liberati vale la pena ricordare come il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, abbia sempre avuto un rapporto di stima e fiducia nei confronti dell’ex leader di Magistratura Democratica. Apprezzamenti ricambiati tra due uomini di Stato che sin dagli anni ’60 hanno viaggiato in parallelo, prima sulla politica e poi sul fronte della giustizia. Bisogna partire anche da qui, da questo contesto storico politico vicino al vecchio Pci, per capire i motivi che hanno spinto il Capo dello Stato a difendere in questi mesi diverse volte il numero uno del palazzo di Giustizia meneghino dopo la denuncia presentata a palazzo dei Marescialli dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo. Inutile girarci intorno. La lettera “fantasma” che il vicepresidente del Csm Michele Vietti non ha mostrato al Csm con cui Napolitano è intervenuto sulla diatriba è stata «determinante» per il superamento dell’impasse. Non era mai accaduto in questi ultimi otto anni un endorsement di questo tenore da parte del Capo dello Stato a palazzo dei Marescialli. Anche perché in questo modo le contestazioni a Bruti sono state smussate, in particolare quella sull’assegnazione del’indagine su Ruby a carico di Silvio Berlusconi, che a suo modo contribuì alla capitolazione dell’ex Cavaliere nel 2011. Forse non gli eviteranno il mancato rinnovo in luglio, ma alla fine a pagarla potrebbe essere solo il denunciante, quel Robledo che aveva accusato il suo superiore di criticità nella gestione delle inchieste nel palazzaccio di Milano. 

Napolitano, che è bene ricordarlo è anche il presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, secondo quanto riferito da Vietti, avrebbe richiamato l’organo di autogoverno della magistratura alla «tutela della credibilità» dell’ufficio giudiziario di Milano «indebolito dall’eccesso di polemiche». E soprattutto avrebbe chiesto che si tenesse «conto del ruolo delle responsabilità che la legge sull’ordinamento giudiziario attribuisce al capo dell’ufficio». L’inquilino del Quirinale in pratica ha riconosciuto la validità della riforma del 2006 sul principio della gerarchizzazione delle procure, quello schema piramidale contro cui diverse correnti dei togati si sono spesso scagliate. Scelta di stato, di rispetto della legge. Eppure sembra esserci qualcosa di più tra Bruti Liberati e Napolitano. Si perde nei meandri della procura di Milano, ma arriva fino ai corridoi dell’Università Statale dove il Capo delle procura è stato uno studente di giurisprudenza, spesso impegnato politicamente, soprattutto sul versante di una sinistra «riformista». Si torna in sostanza indietro agli anni ’60, quando Napolitano era già uno dei padri nobili del Pci, professore delle Frattocchie, le scuole di formazione, punto di riferimento per molti ragazzi che si avvicinavano alla politica in quegli anni. 

Il rapporto tra i due si è consolidato negli anni, in particolare grazie a Loris D’Ambrosio, lo stimato consigliere del presidente della Repubblica agli Affari dell’Amministrazione della Giustizia, scomparso il 26 luglio del 2012 e travolto dalle indagini sulla trattativa Stato-Mafia di Palermo. E si è cementificato nel 2010 quando Bruti Liberati diventò Capo a Milano, grazie a un’intesa bipartisan, suggellata, spiegano i maliziosi, dallo stesso inquilino del Quirinale. D’Ambrosio è stato un collaboratore di Giovanni Falcone, è stato per diversi anni capo dei Gabinetto del Guardasigilli, ha partecipato più volte alla riforma del codice penale, proprio quando Bruti Liberati era presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, negli anni ’90. D’Ambrosio non è mai stato associato a correnti, ma Md fu la prima a partecipare al «dolore» per la sua morte. Anzi fu proprio Bruti Liberati a scrivere nel necrologio di piangere «il collega e amico Loris D’Ambrosio. Nei diversi e delicatissimi incarichi rivestiti nella sua lunga carriera ha servito la giustizia e le istituzioni con dedizione totale, profonda competenza giuridica, discrezione e integrità assoluta». Fu una presa di posizione apprezzata dal Colle, che in quei mesi aveva difeso D’Ambrosio dalle accuse e dalle «insinuazioni» del Fatto Quotidiano per le intercettazioni del processo sulla trattativa Stato-Mafia portata avanti dal pm Antonio Ingroia, anche lui di Md.

Persino sul caso Sallusti, il direttore del Giornale condannato per diffamazione nel 2012, altra vicenda finita nel calderone delle contestazioni di fronte al Csm, sia Bruti sia Napolitano si sono trovati in linea. Il primo nel «sospendere» il carcere per il giornalista, in quanto «caso particolare», il secondo nel commutare la condanna in una pena pecuniaria. Negli ultimi mesi Napolitano si è spesso appellato alle toghe in guerra tramite Vietti, in particolare nei momenti in cui lo scontro è stato agli apici. Lo ha fatto almeno tre volte, terminando poi la sua difesa il 18 giugno con la lettera al Csm. E per chi se lo fosse dimenticato, nel luglio del 2011, quando il quotidiano Libero pubblicò una vignetta contro il Capo dello Stato dedicata ai costi della politica e titolata «Assedio ai papponi di Stato», fu proprio Bruti Liberati a far scattare un’indagine per «offesa all’ onore e al prestigio del capo dello Stato» a carico del direttore Maurizio Belpietro. Per la cronaca la decisione della Procura non ha superato nemmeno il vaglio dell’udienza preliminare: la giudice Laura Marchiondelli ha prosciolto Belpietro con la più ampia formula «perché il fatto non sussiste». Ma anche allora al Colle apprezzarono l’atteggiamento di Bruti Liberati. E Clementina Forleo, ex gip a Milano, poi allontanata, protagonista del caso Unipol nel 2007 sui furbetti del quartierino che coinvolgevano gli ex Ds Massimo D’Alema e Piero Fassino, su Facebook scrive: «Sarà la storia e non questo Csm a fare giustizia su quello che è accaduto nelle segrete stanza della Procura milanese».

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