Non c’era solo il Mose, l’autostrada Venezia-Mestre o le prossime speculazioni sul porto off shore a largo del Lido, la cricca del Consorzio Venezia Nuova ha avuto in questi anni a propria disposizione un pezzo di laguna che ha permesso affari milionari su gas e cemento spesso in violazione delle regole di rispetto ambientale e paesaggistico. Il piatto forte per il principe rinascimentale Giovanni Mazzacurati e per il re del project financing Piergiorgio Baita, infatti, è stato l’Arsenale, tra gli spazi più estesi della Serenissima, nei secoli fucina di navi da guerra del Doge per combattere i turchi, dal 2005 fino al 2013 boccone che ha scatenato l’appetito dei partiti politici di destra e sinistra, delle grandi multinazionali estere come Exxon o quella della nostra Finmeccanica, persino dell’immobiliarista Salvatore Ligresti. È una storia lunga, complessa e intricata quella di questi storici 500mila metri quadri di superficie edificabile, pari a un sesto della superficie di Venezia. Uno spazio suddiviso tra Biennale, Comune, ministero della Difesa, Demanio, Ca’ Foscari e persino Actv, l’azienda di trasporto pubblico veneziano. Ma rilevante nell’inchiesta sul Mose della procura di Venezia, dopo la raffica di arresti a giugno, gli interrogatori e le indagini ancora in corso. Tanto importante che l’ex sindaco Giorgio Orsoni – che sabato 28 giugno si è visto respingere dal Gup la richiesta di patteggiamento – nei suoi colloqui privati la addebiterebbe proprio alla sua situazione giudiziaria. «Mazzacurati – ripete spesso l’ex primo cittadino – mi sta facendo pagare la vicenda dell’Arsenale».
La guerra infatti sull’ex cantiere navale veneziano è stata tra le più violente di questi anni. E ha coinvolto governi, amministrazioni comunali, il Magistrato alle Acque a libro paga della cricca e ora soppresso, sottosegretari e politici di destra e sinistra. ll risultato è che ancora adesso il Cvn dispone degli uffici all’interno dell’Arsenale come della cosiddetta «control room» del Mose, la cabina di pilotaggio del sistema di dighe mobili che devono proteggere Venezia dall’acqua alta. Non solo. In quest’area ci sono pure i bacini di carenaggio per la manutenzione delle paratie che a quanto pare la nuova gestione del consorzio vorrebbe spostare a Marghera. Nei sogni di Mazzacurati l’Arsenale sarebbe dovuto diventare la cittadella della Scienza di Venezia. In pratica se ne sarebbe voluto appropriare in toto, cacciando tutti gli altri proprietari, persino la Biennale che non a caso non ha mai avuto rapporti idilliaci con il gran capo delle tangenti veneziane. Ma sulla strada si mise sin dal giorno della sua elezioni Orsoni che nel 2013, un po’ grazie alle inchieste della magistratura un po’ grazie al Pd al governo, è riuscito a riportare gli spazi un tempo del Consorzio di nuovo al comune.
Arsenale
Storia di uno scippo alla città per altri interessi
Bisogna tornare al giugno del 2005, ultimi istanti del secondo governo Berlusconi, come pure gli ultimi giorni dell’amministrazione comunale di Paolo Costa a Venezia, per capire i tempi dello «scippo» di Mazzacurati. Fu in una notte prima dell’estate, infatti, che il governo dell’ex Cavaliere infilò in un decreto l’assegnazione al Consorzio Venezia Nuova e alla Mantovani una fetta di Arsenale, in uso e gestione per più di trent’anni. Roberto Pravatà, il vice presidente del Cvn, finito nell’inchiesta, ha spiegato in un interrogatorio del 2013 come funzionava la gestione dell’Arsenale. «Il Cvn aveva la concessione in esclusiva di una vasta porzione dell’Arsenale ai fini della manutenzione e gestione del Mose, ad un corrispettivo pressoché irrisorio. Ciò era disciplinato da una convenzione stipulata dal Cvn con l’agenzia del demanio».
E poi aggiunge Pravatà: «In realtà la Mantovani ha utilizzato i bacini di carenaggio per fare ben altre attività, effettuando opere diverse, nel proprio interesse, come già accennato nel mio memoriale, quali costruzioni di piloni o manutenzioni di navi. Si consideri che il nolo di bacini di carenaggio normalmente è enormemente più costoso. Mazzacurati sostenne che, anche se non era prettamente oggetto della convenzione, era un modo di dare lavoro. Mazzacurati e Baita cercarono di creare consenso organizzando una festa per la riapertura dell’Arsenale alle attività produttive. Paltecipò Galan avallando sostanzialmente l’operazione e complimentandosi ampiamente. Successivamente venne creata una società consortile denominata Cav tra Condott, Fincosit e Mantovani per proseguire nello sfruttamento dei bacini»
Il gas, dal Qatar all’Indonesia fino all’Adriatico
Come spiega Pravatà, l’Arsenale è stato usato per altre attività. La più importante e fruttifera è stata quella che ha portato alla costruzione dei piloni di cemento per il rigassificatore dell’Adriatico, gestito dalla Adriatic Lng, joint venture spartita 45% da ExxonMobil, al 45% da Qatar Petroleum e al 10% da Edison: fornisce circa il 10 per cento del fabbisogno nazionale di gas. Fu anche questa una storia di polemiche tra città e ambientalisti da un lato e la cricca di Mazzacurati dall’altra. I lavori sono stati realizzati nel 2008 durante il governo Prodi, che non protestò più di tanto di fronte a una città che vedeva usare uno spazio storico per costruire piloni per un rigassificatore, quasi fosse un magazzino per lo stoccaggio di cemento. Di fatto anche all’epoca l’ottimo lavoro di oliatura del sistema da parte di Mazzacurati funzionò. La Soprintendenza non disse nulla, il Magistrato alle Acque benché meno, così Baita poté sfruttare uno spazio adibito ad altro per chiudere i lavori del rigassificatore di Rovigo. Non solo. Per celebrare la nascita di questo terminal di rigassificazione, realizzato lungo le coste del Mare Adriatico all’altezza di Porto Tolle, il 19 ottobre del 2009, l’ex governatore del Veneto Giancarlo Galan pensò bene di invitare il Sultano del Qatar alla Fenice per un gran galà di festeggiamenti.
Tra i presenti oltre al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e all’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, diversi ministri, come Altero Matteoli e Claudio Scajola, sponsor del rigassificatore, il primo anche lui sotto indagine per l’inchiesta sul Mose, il secondo ai domiciliari per ben altre vicende. E a Venezia c’è chi fa notare che un po’ di interesse per il gas forse lo stesso Galan lo ha avuto in questi anni. Non a caso nell’inchiesta i magistrati contestano all’ex presidente della regione Veneto affari in Indonesia per 55 milioni di dollari proprio con una società per il gas, la Thema di Paolo Venuti, commercialista di Padova della famiglia Galan. Nel luglio del 2013 Venuti ne parla con la moglie Alessandra Farina, entrambi sono intercettati dalla polizia giudiziaria. La Farina chiede al marito: «Cosa dici di questi affari della Sandra (la moglie di Galan) che sembra che stia diventando miliardaria?». Venuti spiega alla moglie che il gas, in Italia, arriva al «rigassificatore di Porto Tolle». E lei: «Io mi domando ma è possibile che uno faccia i miliardi come dice lei (Sandra Persegato)?». Il commercialista: «O fai il colpo gobbo o non è da loro». E la moglie: «Cosa vuol dire, che chiudono tutto e vanno alle Bahamas?»
Arsenale
Nel 2012 il decreto Passera e gli interessi del clan di Paternò
È l’11 ottobre del 2012. E in poche righe «nascoste» nel decreto legge sull’agenda digitale italiana presentato dal ministro delle Infrastrutture e dello Sviluppo economico Corrado Passera e approvato in consiglio dei Ministri, compare un codicillo che ribalta la concessione dell’Arsenale di Venezia. Doveva tornare al Comune per il decreto sulla spending review, ma il nuovo provvedimento stabilisce che l’area dei Bacini e delle Tese dell’Arsenale concessa a Magistrato alle Acque e Consorzio Venezia Nuova per i lavori di manutenzione delle dighe del Mose devono restare di proprietà dello Stato, affidandolo al demanio, lasciando le briciole al Comune. Non solo. Grazie a quel decreto il Magistrato alle Acque e il sistema di imprese legato al Consorzio Venezia Nuova sarebbero rimaste, a tempo indeterminato, i “padroni di casa”. Napolitano firmò e solo dopo una lunga battaglia parlamentare di Felice Casson la vicenda si è risolta con il ritorno dell’Arsenale al comune. Ma in quei mesi, a cavallo tra il 2012 e il 2013, a muoversi nell’ombra era tutto il reparto della Difesa, in particolare il sottosegretario alla Difesa Filippo Milone, vicino ai La Russa, nonchè esponente di spicco del clan di Paternò fondato da Salvatore Ligresti e Michelangelo Virgillito a Milano ormai più quarantanni fa.
Fu Milone, che all’epoca aveva il compito di occuparsi delle dismissioni del ministero della Difesa, a mettersi subito di traverso per cedere ai privati parti dell’Arsenale, sbarrando la strada al Comune nella gestione delle aree, «sostenendo, al contrario, l’interesse di soggetti privati, disposti ad investire in contanti». Ne nacque un’interrogazione del senatore Casson dove l’ex magistrato veneziano ricordava di come Milone vantasse diversi conflitti di interesse e fosse presente in «ben cinque società immobiliari e di una finanziaria». Tra queste la Quadrifoglio Re Srl, che si occupa di riqualificare le ex Manifatture tabacchi di varie città, la Sviluppo Centro est, nata per la riqualificazione di 60 ettari in zona Torre Spaccata a Roma, controllata dall’ormai ex Immobiliare lombarda (Fonsai-Ligresti) e dalla Lamaro Appalti SpA (società di costruzione dei fratelli Toti); nella Federservizi immobiliare, controllata al 100 per cento da Assoimmobiliare. Poi ancora nel Consorzio Prampolini; e, soprattutto Progetto Alfiere SpA, società che si occupa della trasformazione delle tre torri e di una vasta area dell’Eur, a Roma, controllata ancora una volta Fintecna, l’immobiliare di Ligresti e dei fratelli Toti. A Venezia il consigliere Beppe Caccia ricordò pure la vicinanza di Milone a Finmeccanica, la holding della Difesa all’epoca già falcidiata dalle inchieste, anche perché ex consigliere di Ansaldo Sts. L’assalto fallì. Ma in questi giorni in cui si continua a parlare di Annamaria Cancellieri come possibile nuovo commissario del comune il nome di Ligresti è ritornato fuori tra le calli veneziane. Non sia mai che l’assalto possa ripartire, dati i buoni rapporti dell’ex ministro di Grazia e Giustizia e l’ingegnere.