Tre mila ingegneri ai mondiali, in Brasile. Non sono quelli che hanno progettato i tanto contestati 12 stadi che ospiteranno le partite, ma quelli che arriveranno per giocare il loro mondiale: la RoboCup. Appena si spegneranno le luci sugli atleti, i ricercatori di 45 Paesi si riuniranno a João Pessoa e si sfideranno sui campi da calcio dedicati ai loro robot.
Era il 1997 quando un gruppo di professori giapponesi e americani ha pensato di lanciare una sfida scientifica per promuovere la ricerca nel campo dell’intelligenza artificiale e dei sistemi multi-robot. L’idea è stata di organizzare un mondiale in cui a sfidarsi, al posto di giocatori umani, fossero robot del tutto autonomi. Nessun telecomando, nessun intervento dei loro progettatori: i “calciatori” fanno tutto da soli, elaborano una strategia, scartano gli avversari e fanno gol. E dopo, esultano pure.
L’obiettivo dichiarato di questa competizione è arrivare entro il 2050 a creare una squadra di automi in grado di sfidare — e battere — la formazione campione del mondo Fifa. Per farlo, ogni anno, gli ingegneri provenienti da università, centri di ricerca e aziende di tutto il mondo portano in campo le loro squadre, cercano di superarsi a vicenda e, alla fine, condividono i rispettivi risultati per contribuire allo sviluppo scientifico di tutta la “comunità robotica”, come la definisce Francesco Riccio, studente di Intelligenza artificiale robotica alla Sapienza di Roma. Francesco è il team leader della squadra della Sapienza, nata nel 1998 per volontà del professor Daniele Nardi, tra i primi fondatori dell’iniziativa a livello mondiale e attuale presidente della RoboCup. Alla fine degli anni Novanta il prof. Nardi insieme ai colleghi di altre cinque università italiane ha ottenuto un finanziamento dal Consorzio Padova Ricerche che ha permesso di acquistare i primi robot e pagare il primo viaggio per le competizioni internazionali, un momento fondamentale di scambio di informazioni e di crescita.
Terminate le risorse messe a disposizione dal consorzio padovano, per un anno, è stato il Cnr a permettere la prosecuzione del progetto. Poi la squadra nazionale si è sciolta per mancanza di fondi ma il prof. Nardi non si è dato per vinto. Ha cercato aziende che sponsorizzassero questa ricerca e, per essere sicuro di poter contare su un budget minimo, risparmia parte dei fondi destinati ad altri progetti e li destina alla squadra.Quella della Sapienza è l’unica squadra italiana classificata per la RoboCup in Brasile. Gareggia nella categoria Standard Platform League in cui tutti i partecipanti utilizzano lo stesso tipo di robot prodotto da un’azienda francese: la gara consiste nello sviluppare il software più avanzato per far interagire i robot. Ciascun automa funziona grazie a una serie di sensori che raccolgono dati dall’ambiente circostante: questi dati sono quindi elaborati da un processore all’interno dello stesso robot e utilizzati per decidere l’azione da compiere.
Ad esempio, spiega Francesco Riccio, uno dei processi fondamentali per permettere ai robot di spostarsi e capire in quale porta devono tirare è quello della localizzazione: grazie alle telecamere montate al posto degli occhi il robot è in grado di elaborare, in base alle linee del campo, dove si trova rispetto alla porta e, soprattutto, di riconoscere qual è la porta della sua squadra e quale quella degli avversari. Un tipo di tecnologia che, in un futuro che Francesco immagina non troppo lontano, potrebbe essere utilizzato su robot domestici, che entreranno nelle nostre case per fare di tutto, dai mestieri di casa alla cura degli anziani. RoboCup, infatti, non significa solo calcio. Oltre alla competizione sportiva ci sono altri tipi di gare, dedicate ai robot domestici e ai robot da salvataggio. Nel 2011, durante il disastro nucleare di Fukushima, per recuperare i corpi furono utilizzati robot sviluppati per la RoboCup.