Portineria MilanoSbirri venduti e magistrati corrotti: il sistema Mose

Sbirri venduti e magistrati corrotti: il sistema Mose

La Guardia di Finanza ha dovuto indagare su se stessa nell’inchiesta sul Mose di Venezia dove è stato arrestato il generale Emilio Spaziante. Ma anche nell’indagine sull’Expo 2015 di Milano l’ex Dc Gianstefano Frigerio, il professore della cupola, millantava rapporti con il capo generale delle fiamme gialle Saverio Capolupo. Non è un caso che l’operazione veneziana si chiamasse in codice “Antenora” (come ricordato dal quotidiano IlPiccolo), seconda “delle zone in cui è distinto il cerchio nono dell’Inferno dantesco”, quello dei traditori. «In essa sono puniti coloro che hanno tradito la fede spezial (If XI 63) creata dall’appartenenza alla stessa patria o allo stesso partito politico». Gli scandali che stanno terremotando il Nord Italia in queste ultime settimane, colpendo esponenti del Pdl o del Pd, tirano in ballo non solo i ladri, ma anche «le guardie» (copyright Matteo Renzi). E oltre ai guardiani delle legalità, personaggi spesso impegnati in interviste tese a condannare la corruzione, a finire in arresto ci sono anche magistrati della Corte dei Conti, come Vittorio Giuseppone o giudici del consiglio di Stato e del Tar, persino funzionari come il Magistrato delle Acque di Venezia che dovrebbero garantire la legalità delle opere pubbliche. Non solo. In entrambe le inchieste compare l’ombra dei nostri servizi segreti (in particolare in relazione all’imprenditore Enrico Maltauro, costrutture di caserme e basi militati statunitensi in Italia ndr), altro tassello funzionale a garantire sicurezze giuridiche e a far viaggiare spedito il giro di appalti, mazzette e conti all’estero con l’aiuto di uno come Roberto Meneguzzo, numero della Palladio Finanziaria, la Mediobanca del Nord-Est

Del resto non è la prima volta che la nostra Guardia di Finanza viene travolta dalle inchieste della magistratura. Già nel 2011 il generale Spaziante, insieme con l’ex capo di stato maggiore Michele Adinolfi comparve per alcune soffiate nell’inchiesta sulla P4 di Luigi Bisignani. E a ben guardare i protagonisti sono sempre gli stessi e riportano a galla una guerra che si consumò nel 2008, quando nel cambio della guardia tra il governo Prodi a quello Berlusconi, l’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti fece fuori tutti gli uomini dell’ex numero uno di via XX settembre Vincenzo Visco. Il deus ex machina di quella operazione di spoil system fu Marco Milanese, ex Gdf, ex braccio destro, indagato nell’inchiesta sul Mose e accusato di aver intascato una mazzetta da 500mila euro. Ma la vera mente dell’operazione di occupazione del potere da parte dei tremontiani fu Vincenzo Fortunato, ex magistrato, potente capo di gabinetto del ministero dell’Economia per quasi dieci anni, che caso vuole sia stato fino al marzo del 2014 “collaudatore” proprio del Mose, del sistema di dighe mobili che dovrebbe salvare la laguna dalle maree. A nominarlo nel 2011 insieme a Pietro Ciucci, presidente di Anas, fu il Magistrato dell’Acque di Venezia, allora ancora di nomina della cricca del capo supremo, Giovanni Mazzacurati.

Grazie alla Gdf gli indagati sapevano di essere intercettati

Spaziante, arrestato giovedì scorso all’Hotel Savoia di Milano, secondo gli inquirenti, è stato un tassello fondamentale per la cricca bipartisan che gestiva il giro delle tangenti su un’opera faraonica da svariati miliardi di euro. Perché oltre a collaborare insieme a Milanese per sbloccare i fondi del Cipe, teneva informati i sodali della cricca sulle indagini della Guardia di Finanza. Non solo. Consigliò pure a Mazzacurati di acquistare un blackberry con una nuova scheda telefonica per evitare di essere ascoltato. Nell’ordinanza di custodia cautelare i magistrati spiegano nel dettaglio le richieste che i vertici del Consorzio Nuova Venezia volevano sapere sulle inchieste in corso. E’ l’allora generale della Gdf della provincia di Venezia, Walter Manzon, perquisito nei giorni scorsi, ad attivarsi. E a chiedere al colonnello Renzo Nisi, l’ufficiale che per primo ha indagato sul Cvn scoprendo il marcio delle acque veneziane, di fornirgli le informazioni delle ultime indagini in corso. Nisi è il cosiddetto «buono» di tutta la vicenda, grazie al suo operato l’inchiesta non è stata insabbiata. Nel 2013 è stato trasferito a Roma e prima di andarsene disse: «La pietra ha cominciato a rotolare e presto diventerà una valanga».

Come si legge nei verbali agli atti, Nisi, uomo appunto integerrimo, non avendo in quel momento «alcun tipo di sospetto trattandosi di dati richiesti da suo diretto superiore gerarchico» fornì i dati. E’ il 26 ottobre del 2010. Grazie all’intervento di Speziante e Manzon la cricca viene a sapere tutto. «Il nominativo dei soggetti nei cui confronti sono in corso le indagini tecniche e la qualifica»; il tipo di intercettazioni in corso, se ci fossero cimici o fossero solo intercettati i cellulari; le utenze monitorate dalla fiamme gialle per conto della procura. Per questo motivo Mazzacurati e Spaziante non parlano mai al telefono, perché sanno di essere intercettati. Ma il 3 dicembre del 2010 una microspia piazzata nell’ufficio delll’ex presidente del Cvn svela che il gran burattinaio del Mose conosce la situazione. Ne parla con un ex diplomatico, Antonino Armellini. E svela: «Mi hanno detto di una telefonata che hanno registrato con il dottor Letta, una con Matteoli…le hanno registrate».

L’accordo con la Guardia di Finanza trovato nella casa di Baita: 2 milioni di euro per orientare le indagini

Il sodale di Mazzacurati è Piergiorgio Baita, l’ex top manager della Mantovani costruzioni, Il re del project financing arrestato lo scorso anno, altra gola profonda nell’inchiesta. È nella sua casa che gli inquirenti trovano in un’agenda la conferma dell’accordo con il relativo importo delle spese a «risultato raggiunto». E nel corso dell’interrogatorio Mazzacurati spiega che non solo Milanese ringraziò dopo aver ricevuto una tangente di 500mila euro («Io ho un po’ di ritegno su queste cose, mi colpì» dice ai magistrati), ma che dopo si trovò a dover fronteggiare le richieste di Spaziante che per «orientare le indagini» chiedeva una tangente di 2 milioni di euro. Di questi soldi Mazzacurati ne verserà solo un quarto in due tranche, nel 2011 e 2012. «Mi rifiutai di corrispondere altro denaro, anche per le difficoltà di reperire una somma quale quella richiesta» afferma durante l’interrogatorio del 9 ottobre del 2013.

 

Ordinanza di custodia cautelare

Servizi segreti e magistrati

Oltre a Giuseppone della Corte dei Conti, anche lui arrestato e anche lui addetto, secondo gli inquirenti, a dare una mano al Consorzio Nuova Venezia, nelle carte dell’inchiesta ci sono pure i magistrati del Tar. E’ soprattutto Claudia Minutillo, ex segretaria del Doge Giancarlo Galan, a raccontare ai magistrati delle lotte interne alla burocrazia italiana, alla Gdf e ai Servizi. La Minutillo racconta anche degli intrecci tra Baita, Corrado Crialese, avvocato cassazionista e numero uno di Adria Infrastrutture già in Fintecna, e Bruno Amoroso, presidente del Tar di Venezia. Lo stesso Baita conferma a più riprese di aver pagato giudici del Consiglio di stato fino a 120 mila euro per avere sentenza favorevoli.

Se nelle carte dell’Expo 2015 spunta il nome del numero uno del Dis Giampiero Massolo, in quelle sul Mose è sempre la Minutillo a raccontare altri dettagli sull’assuzione di una figlia «di uno dei servizi segreti». Si legge: ««I cognomi di queste due ragazze sono significativi: una si chiama Splendore, il cui padre è comandante dei Servizi segreti (si tratta del direttore dell’Aise del Triveneto Paolo Splendore ex Sisde noto alle cronache per aver lavorato con Bruno Contrada ndr), che evidentemente si pensava potesse avere un ruolo nell’ambito delle indagini in corso; e l’altra si chiama A., il cui padre è un importante funzionario della Regione del Veneto, che ha un ruolo fondamentale in molte attività del Gruppo Mantovani, come per esempio tutte le opere di bonifica e di salvaguardia della Laguna. Per esempio: successe che un giorno andai da Chisso per chiedere chiarimenti su un accordo di programma che non si faceva e A. doveva seguire la questione. “Ma voi non gli dovevate assumere la figlia? Lui su questa cosa è molto arrabbiato, tu assumi la figlia e vedrai che le cose si risolvono”, mi disse».

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