L’accordo Ferrari-Bisol – lanciato all’ultimo Vinitaly – è la risposta migliore a chi sostiene da sempre (a ragione, spesso) che i produttori di vino italiani sono incapaci di buone operazioni, in nome di un superiore interesse. In questo caso, tutto è filato liscio, non solo grazie al lavoro dietro le quinte degli advisor ma in virtù di un legame umano tra le due famiglie protagoniste. Da una parte Gianluca Bisol, presidente e ad della Desiderio Bisol & Figli, la cantina più famosa tra quelle del Prosecco Superiore, il Docg di Conegliano-Valdobbiadene: lo scorso anno ha venduto oltre tre milioni di bottiglie (con i brand Bisol, Jelo e Belstar) fatturando 17 milioni di euro. Dall’altra parte Matteo Lunelli, presidente di Cantine Ferrari nonchè vicepresidente e ad della holding familiare a cui fanno capo le già citate cantine, i marchi Sorgiva e Segnana – rispettivamente acqua minerale e grappa – oltre alle tenute in Trentino, Toscana e Umbria. Il fatturato totale è di 65 milioni di euro ma con l’acquisizione di Bisol, il nuovo obiettivo è fissato a quota 80: fattibile, considerando che il Prosecco vive un periodo d’oro: nel 2013 c’è stato il record di export con 312 milioni di bottiglie, quasi il 25 per cento in più dell’anno precedente.
Il Prosecco vive un periodo d’oro: nel 2013 c’è stato il record di export con 312 milioni di bottiglie, quasi il 25% in più del 2012
Non è un caso che Lunelli e Bisol abbiano poco meno di 40 anni e siano cresciuti in due tra le grandi famiglie del vino italiano. Hanno iniziato a ragionare insieme nella primavera 2013 e alla fine si è trovata la soluzione: Cantine Ferrari – simbolo per eccellenza del Trento Doc e del Metodo Classico in Italia – ha acquisito il 50 per cento della Desiderio Bisol & Figli che per prima cosa aumenterà la produzione, acquistando nuovi vigneti nel Cartizze e costruendo una nuova cantina a Valdobbiadene. Curiosità: dicono che il “signore del Prosecco” non abbia ceduto a lusinghe cinesi, americani e del gruppo Lvmh per la profonda stima verso la famiglia trentina. Giovanissimo, conobbe Gino Lunelli, zio di Matteo, rimanendo colpito dalla personalità e ovviamente dall’incredibile cantina. È proprio a Matteo Lunelli che Linkiesta ha chiesto di fare il punto sull’operazione.
Gianluca Bisol e Matteo Lunelli
Sono fautore da sempre di un comune impegno delle maggiori aziende del wine e food italiano per conquistare i mercati mondiali
Dottor Lunelli, dopo essere entrati in Club Italy – la newco che ha acquisto il 20 per cento della Eat Invest farinettiana – ha concluso un’altra operazione molto italiana, destinata soprattutto all’export. Corretto?
Senza dubbio. Sono fautore da sempre di un comune impegno delle maggiori aziende del wine e food italiano per conquistare i mercati mondiali. In questo senso, l’accordo con Bisol prosegue il nostro progetto di creazione di un gruppo dell’eccellenza del bere nazionale. Intorno al marchio Cantine Ferrari vogliamo affiancarne altri che rappresentino il meglio della viticoltura made in Italy.
Perchè Bisol? Alcuni hanno pensato a un’operazione di mero salvataggio.
L’azienda non stava male, anzi. Lo scorso anno sono cresciuti del 15 per cento. Ma Gianluca e il fratello Desiderio, che hanno fatto tanto per Bisol facendole raggiungere traguardi importanti, si sono resi conto che per andare oltre in termini di qualità e sviluppo commerciale occorreva una struttura diversa. La loro scelta dimostra grande fiducia nei nostri confronti e permette loro di ottenere quei benefici che può portare la presenza in un gruppo come il nostro.
Comunque sia la vostra che la loro sono aziende a carattere familiare. Quasi sorprendente in un settore sempre più legato a gruppi finanziari o della moda.
A me piace sottolineare che le aziende familiari hanno – al di là del fascino che deriva dalla loro storia- un vantaggio rispetto alle multinazionali: puoi lavorare in un’ottica generazionale, quindi proseguendo nel solco della passione. Ci vogliono tre anni per portare sul mercato un Brut e dieci per una Riserva del Fondatore (il top della produzione, ndr). Non si sta mai fermi: stiamo piantando un vigneto sperimentale in altitudine, nel Bondone. Un progetto iniziato lo scorso anno che porterà ad avere uve di qualità non prima di sette anni. E per l’eventuale riserva penso ce ne vorranno una ventina. Capito perché la continuità di una famiglia ha ancora un senso?
Le reti di vendita resteranno separate?
Si, per ora. Ma le collaborazioni e le sinergie nasceranno in tutto il mondo. Entrambi i marchi hanno persone in vari Paesi chiamate a comunicare i due brand. Noi, per esempio, abbiamo collaboratori che parlano il cinese e pertanto sarà possibile per loro promuovere più marchi. Ma non vogliamo fare alcuna rivoluzione, Bisol va già bene e vogliamo capire cosa si può migliorare, viste le grandi potenzialità negli Usa, ma anche in tutta l’Asia. Cantine Ferrari, che esporta il 20% della produzione, lavorerà con il suo export-team per far sì che l’estero conti di più.
Avete sede a Trento e terreni in regione. Acquistato in Umbria e in Toscana. Ora la grande operazione con il Prosecco. Prossime mosse in Italia?
Non lo so. Ci sono zone vinicole che mi piacciono molto, dal Piemonte all’Etna. Ma la sfida con Bisol è appena partita, occupiamoci di questo. È chiaro che se guardo alla Lunelli Holding, in futuro vedo un “aggregatore” di marchi e vini di eccellenza italiani. Noi ci candidiamo per assumere questo ruolo per raccontare la diversità dei nostri territori Le aziende del vino sono chiamate, da un lato, ad avere le radici solide e, dall’altro, devono formare gruppi che vendono ovunque. La vera sfida per la terza generazione dei Lunelli, se vogliamo, è proprio questa: portare il nostro brand nel mondo quale simbolo dello stile di vita italiano.
Senta Lunelli, voi che siete l’eccellenza del Metodo Classico, non può negare che sulla qualità del Prosecco ci sia ancora molto da lavorare..
Vero, difatti con Bisol puntiamo proprio sulla qualità e l’eccellenza. Assieme ad altri produttori abbiamo l’ambizione di promuovere il marchio del Prosecco. Nel mondo, purtroppo la peculiarità della Docg non è riconosciuta e sono pochi i marchi ben identificati e richiesti dai consumatori. Un Prosecco percepito come vino generico -“unbranded” come dicono gli anglosassoni – sposta la competizione solo sul prezzo e questo mette a rischio il valore del prodotto. Noi invece dobbiamo e vogliamo lavorare per costruire la consapevolezza dell’esistenza della Docg.