I dodici motivi di “Orange is the New Black”

I dodici motivi di “Orange is the New Black”

Non è soltanto il fatto di riconoscere la supremazia televisiva a un mezzo che non è ancora televisione (ma non è più internet). E non è nemmeno incornare Netflix a “futuro”, quanto arrendersi all’evidenza che è più che mai “presente”. Gli Emmy lasciano il via cavo e si inchinano alla grandiosità del Web. Di quelle produzioni che escono in massa, soddisfacendo la fame del pubblico per la vera serialità, per il binge-watching , per le serate infinite di fronte agli stessi personaggi, senza tirare il fiato fino alla tredicesima puntata. Fino al finale, necessario e dovuto alla perfezione , che l’intuizione ha voluto arrivare sempre prima e sempre più certo. Non è preferire un mezzo all’altro, ma rendersi conto della rotondità di un paio di capolavori e sottolinearla. Giustamente e senza pregiudizi.

La seconda stagione di House of Cards ha collezionato 13 nomination, senza molte sorprese, mentre la prima di Orange is the New Black, dopo il Critics’ Chioice Award come miglior comedy, ne ha infilate 12, più di quante ne abbia mai ricevute qualsiasi altra. L’obiettivo di questi Emmy è arrivare in cima, destituendo Modern Family che, comunque, ha decisamente fatto il suo tempo. Netflix vola a un totale di 31 nomination negli ultimi due anni e la critica non potrebbe dirsi più in linea: Orange is the New Black — per me che critico non sono — è un capolavoro, alla luce poi di una seconda stagione non ancora in odore di premiazioni ma già completa e sfavillante. E forse sarebbe anche ora di smetterla di aspettare la televisione, la traduzione italiana e la celebrazione tardiva di quello che quando arriva è già passato.

Le ragioni del successo, per la verità, sono facili da individuare e probabilmente se ne è già parlato fin troppo. Quello che resta da fare è una breve analisi per punti, perché se c’è qualcosa al mondo di peggiore dei premi televisivi sono i premi televisivi non argomentati.

Orange is the New Black ha quattordici ottime motivazioni per aspirare all’olimpo delle migliori serie Tv di sempre, una per ognuna delle protagoniste. Ma per attenermi all’argomento ho deciso di sgranare il rosario sulle dodici nomination, in ordine di annuncio e dunque, si presume, di importanza. Eccole qui.

1. Outstanding Comedy Series

 https://www.youtube.com/embed/fBITGyJynfA/?rel=0&enablejsapi=1&autoplay=0&hl=it-IT 

Che dire? Ogni puntata della prima stagione è un giro di serratura nella porta blindata che ci tiene chiusi dentro il penitenziario di minima sicurezza assieme a Taylor Schilling e compagne. Per dodici puntate uscire non è soltanto difficile, ma anche poco consigliabile, perché il mondo di fuori sembra essere assai meno rassicurante di quello di dentro. Chi inizia a guardare Orange is the New Black abbraccia in pieno l’antico adagio bassifondesco statunitense «if you can’t do the time, don’t do the crime», che parafrasato può essere inteso come: una volta che cominci, non pensare neanche per un secondo di piantare la cosa a metà. E d’altronde, perché dovremmo? La costruzione dei personaggi, così come la linea narrativa sono talmente vicini alla perfezione da far dubitare di un esistenza della televisione prima di Netflix — con le dovute eccezioni, ma chi mi conosce sa che mi piace esagerare — e il giro di chiavistello che prelude al primo sbattere di palpebre dei titoli di testa si rivela premonitore. Il sistema a flashback non è propriamente una novità, ma il fondo lo fa una premessa piuttosto innovativa — le dinamiche carcerarie femminili — e una scrittura calcolata e asciutta, veloce e equilibrata tra tragedia nera e comicità sconsiderata.

2. Taylor Schilling – Outstanding Lead Actress in a Comedy Series

Non so bene da dove salti fuori Taylor Schilling. È comparsa lì in mezzo, vestita di arancione come tutte le altre, e in pochi minuti ha lasciato intendere di essere quella che andava seguita, la carcerata senza la quale niente di quello che vediamo succedere sarebbe rilevante. Nel primo fotogramma della prima scena della prima stagione è nuda, ma non è decisamente questo. Poi è provocatoria, ma non è nemmeno questo. Forse è il fatto che per i primi episodi abbia sempre lo sguardo da animale ferito, da bambino sperduto, da chi si trova agli antipodi dello stare bene, ma poi cominci a diventare dura e meschina come soltanto chi è stato molto dolce e molto ragionevole. Forse è il fatto che incarna tutta la mutazione della reclusione, la perdita dell’illusione accanto alla coltivazione cocciuta e disperata della speranza. Forse è che è sempre con un piede sulla porta, ma è anche l’unica che sembra essersi adattata veramente a quello che è destinata a diventare: un animale in gabbia. O forse è soltanto che è un’attrice magnifica e che quelle come lei vincono i premi.

3. Kate Mulgrew – Oustanding Supporting Actress in a Comedy Series

Brighton Beach è uno dei miei posti preferiti a New York. Ha un’aria di provincia sovietica e assieme di periferia scafata. Sa di fritto e di mare. Red, il personaggio interpretato da Kate Mulgrew, non è di Brighton Beach in realtà, ma di Coney Island, però ha quell’espressione da matrona russa vendicativa che sta tanto bene con un foulard nel vento freddissimo che tira sui moli di legno. Schifata, stufa, superiore. Una leonessa che nel corso della serie diventerà una leonessa ferita, in controtendenza rispetto all’evoluzione di Piper, la protagonista. La recitazione di Mulgrew è eccezionalmente intensa, senza mai perdere aderenza rispetto al realismo che caratterizza l’intera serie.

4. Uzo Aduba – Oustanding Guest Actress in a Comedy Series

Don’t fuck with Crazy Eyes . All’inizio sta tutto lì, e quello di Uzo Aduba potrebbe tranquillamente essere un ottimo personaggio di sfondo, che scombina qualche puntata e infesta le altre come uno spirito del passato. Poi però cominciano ad affiorare i livelli inferiori, comincia a delinearsi la stratificazione complessa e il lavoro certosino che va ben oltre il diastema e l’atteggiamento altalenante tra colpi duri e pentimenti. Forse fare riferimento alla seconda stagione è prematuro, visto che questi Emmy sono ancora legati alla prima, ma il futuro rende giustizia a Crazy Eyes, e ad Aduba assieme.

5. Laverne Cox – Oustanding Guest Actress in a comedy Series

Ora, la notizia che tutti riportano è quella della prima trans candidata agli Emmy. Va bene, è vero ed è un traguardo piuttosto importante. Ma Laverne Cox non è solo questo. È un’attrice di classe e di presenza. Di classe perché malgrado il metro e ottanta di muscoli asciutti irradia una femminilità sontuosa e panteresca, di presenza per via del metro e ottanta di muscoli asciutti, ma anche dell’innegabile sensualità, che va oltre il genere. Ci vuole un individuo consapevole di sé e della sua natura per dipingerne un’altro con le stesse caratteristiche, e ci vuole una donna completa per portarsi in televisione e spaccare lo schermo in mezzo ad altre tredici con la stessa aspirazione. Cox lo fa benissimo.

6. Natasha Lyonne – Oustanding Guest Actress in a Comedy Series

Uh, Natasha! Mi ricordo di Lyonne in una strana serie di film adolescenziali, post-adolescenziali e pseudo-adulti che si srotola da American Pie in avanti. Poi c’è un vuoto. Poi eccola di nuovo a interpretare Nicky Nichols in Orange is the New Black. Matura, rauca, definita. Sta nella parte come se l’avesse recitata per tutta la vita — e non lo so se c’entra qualcosa col suo passato, francamente mi sembra poco importante. È credibile ma è anche trascinante, non si limita a fare il suo, ma dà una pennellata di profondità a tutta la serie.

7. Jodie Foster per Lesbian Request Denied – Oustanding Directing for a Comedy Series

Ci sono tre cose fondamentali da dire sul terzo episodio della prima stagione di Orange is the New Black: la prima è che è il terzo episodio, e già denota tutta la stabilità di una serie destinata al passo lungo. La seconda è inchioda tutti i personaggi al loro ruolo e di conseguenza li lascia liberi di andare. Piper può diventare Piper e Crazy Eyes smette di essere Crazy Eyes. C’è la delicatezza dell’impaccio di una e la fermezza della mano dell’altra. C’è il futuro di tutta la serie, il futuro di Netflix e quello della televisione, il futuro di tutte le ragazze che ci hanno lavorato. La terza cosa è Jodie Foster, una premessa che avrebbe reso superflue le altre due conclusioni.

8. Liz Friedman e Jenji Kohan per I wasn’t Ready – Oustanding Writing for a Comedy Series

Se il pilota deve dare l’idea di una serie, ma non è per forza fedele al suo destino, quello di Orange is the New Black va in netta controtendenza. Forse perché non è propriamente un pilota, ma un inizio, molto più semplicemente. Non è fatto per convincere, la serie è già tutta lì, è fatto per spingere il pubblico a continuare e assolve completamente al suo compito. La scrittura di Orange è miracolosa. Un’altalena tra leggerezza e brutalità, sensualità e goffaggine totale. Piper incarna la serie, e il pilota è Piper. Con gli occhi sgranati davanti ai cancelli del penitenziario, per niente preparata a quello che sta per succedere.

9. Jennifer Euston – Oustanding Casting for a Comedy Series

Questa dovrebbe essere una voce noiosa, tecnica, poco invitante, ma in questo caso rappresenta il centro del mio ragionamento. È raro vedere un cast tanto affiatato e ben assortito come quello di Orange is the New Black, forse unico. È raro trovare così tanti talenti in un mazzo di nomi che, tutto sommato, sono piuttosto poco conosciuti. Fatte le eccezioni di Jason Biggs — star di American Pie e il più ebreo tra gli attori gentili — e Laura Prepon — geniale in That 70’s Show — tutti gli altri sono perle rare, perché inaspettate, e azzeccatissime nei rispettivi ruoli. Tra tutti: l’accento sbracato di Yael Stone, che ha l’aspetto di qualcosa che dovresti sempre portare in tasca per migliorarti la giornata, la bellezza squadrata di Samira Wiley che ha gli occhi di un soldato e la fisicità di un ragazzino, la completa inadeguatezza di Taryn Manning che, o è così davvero, o una delle attrici più strepitose che si siano viste da anni a questa parte. Poi Selenis Leyva, che sembra qualcuno che potresti incontrare a Echo Park e ti converrebbe cambiare strada, Lea DeLaria che basta guardarla quando sorride, Diane Guerrero che è il motivo per cui mangerei solo pizza. Poi tutto il resto, c’è una nomination agli Emmy a giustificare il mio tagliar corto.

10, 11 e 12. Oustanding Single Camera Ending in a Comedy Series

Be’, queste sì che sono voci noiose, ma in pratica servono a dimostrare che tutto, in Orange is the New Black, è andato bene, fin ora, e che dietro un cast eccezionale, scrittori e registi meravigliosi c’è anche una produzione che non la manda a dire a cavi e satelliti.

X