La mutazione di Monsanto

La mutazione di Monsanto

La Monsanto che il mondo conosce, il più delle volte con un’opinione negativa, sta cambiando. La multinazionale delle sementi transgeniche è risultata la terza società più odiata negli Stati Uniti in un’indagine dell’istituto Harris Poll sulla reputazione aziendale ed è una delle più criticate dagli ambientalisti di tutto il mondo per la sua ricerca sugli Ogm e per le pratiche commerciali che impone agli agricoltori.

Le sementi transgeniche rimangono i prodotti di punta della società e la pratica di vietare ai contadini di seminare i campi con le sementi dei raccolti precedenti è tutt’ora un punto fermo della tutela della proprietà intellettuale del gruppo. Ma la Monsanto sta mutando: ora la ricerca si sta spostando sulla selezione genetica più tradizionale, seppure con tecniche all’avanguardia, e il suo business si sta spostando sempre più sui software e hardware per gli agricoltori. Programmi che dicono con esattezza cosa, dove, quando e a che profondità seminare: soluzioni che permettono notevoli incrementi di produttività ma che stanno ugualmente sollevando molte controversie. Businessweek ha dedicato alla multinazionale e ai suoi cambiamenti un lungo speciale. Eccone alcuni estratti, cominciando dalla descrizione della giornata di un contadino. 

Le fattorie da 4.400 acri (circa 1.780 ettari, ndr) di Dustin Spears si allungano per 50 miglia attraverso il nord dell’Illinois in un arcipelago di lotti sconnessi, per lo più in affitto. Anche nelle migliori circostanze, bisogna correre per seminare il grano in tempo per approfittare della stagione di crescita completa. Quando la primavera è insolitamente fredda e piovosa, come è stata quest’anno, la finestra si restringe ancora di più. 

Ed è per questo che Spears è nel suo trattore alle due del mattino il primo lunedi di maggio, e si muove a 8 miglia all’ora attraverso una foschia illuminata da luci alogene di terreno rivoltato. Sulla seminatrice da 60 piedi (18 metri) dietro di lui, una serie di sensori da 47mila dollari aiuta depositare ogni chicco di mais a una profondità di due pollici (circa 6 centimetri), non importa quanto sia duro o morbido il terreno. Un computer in cabina calcola la fertilità delle diverse parti del campo e regola di conseguenza la seminatrice. I semi stessi sono un nuovo ibrido con un rivestimento verde smeraldo con insetticidi e fungicidi. Il Dna inserito nel semi produce una proteina che uccide i parassiti come la piralide del mais, larve del mais (helicoverpa zea) e la diabrotica del mais. Altri geni innestati conferiscono immunità ai diserbanti che Spears usa, semplificando notevolmente la programmazione delle sue nebulizzazioni. 

Il contadino 32enne siede nella cabina del trattore, indossa una felpa con cappuccio, un berretto da baseball, dei jeans, un auricolare Bluetooth, e un volto stanco. Quando il trattore si avvicina alla fine di una linea, il suo pilota automatico suona allegramente, e lui pigia un quadrato su uno dei touchscreen alla sua destra. Il trattore fa un’inversione e lui torna a navigare sul web, a guardare video in streaming, o controllare gli ultimi prezzi del mais. «Vedete come diventa noioso?» dice Spears. «Starò ad ascoltare musica per 12 ore. Farò refresh sulla timeline di Twitter qualcosa centomila volte durante il giorno».

L’articolo parla poi delle proteste contro la Monsanto:

Il 24 maggio le città di tutto il mondo hanno visto la seconda edizione della “Marcia contro la Monsanto.” A New York qualche migliaia di manifestanti si sono riuniti a Union Square, accanto a un mercato contadino, a sentire gli altoparlanti dire che la società di combatte negli stati di tutto il Paese contro l’etichettatura obbligatoria degli alimenti geneticamente modificati; che le colture organiche sono state inquinate da polline Ogm soffiato dal vento, con il risultato, oltretutto, che Monsanto ha citato in giudizio gli agricoltori biologici per il furto di proprietà intellettuale; che la Monsanto aveva sviluppato un gene “Terminator” che ha reso le colture sterili. Alcuni dei manifestanti erano vestiti come api, perché studi hanno trovato una connessione tra la moria di colonie di api e una diffusa classe di insetticidi chiamati neonicotinoidi (Monsanto non fa neonicotinoidi, ma li incorpora in alcuni dei suoi trattamenti delle sementi).

Il nome della società è diventato sinonimo di malvagità aziendale, come la Standard Oil di un secolo fa, o i contractor militari privati Blackwater. Una voce che persiste è che Blackwater, i cui problemi reputazione l’hanno portata a cambiare il suo nome più volte, si è fusa con la Monsanto. Alla marcia di New York, un giovane ha tenuto un cartello che diceva: “Perché acquistare Blackwater se il tuo obiettivo è quello di nutrire il mondo?” 

Accuse che lo stesso giornale si occupa di ridimensionare: 

L’azienda non si è, infatti, fusa con Blackwater. Non ha mai portato un seme Terminator al mercato e ha promesso di non provare. È, tuttavia, estremamente redditizia. La Monsanto di oggi è stata scorporata nel 2000 dopo la fusione con la casa farmaceutica Pharmacia & Upjohn. Quell’anno l’utile netto della nuova società è stato di 149 milioni di dollari; l’anno scorso è stato di 2,5 miliardi. Dal 2000, il valore di borsa della Monsanto è cresciuto da 7 miliardi dollari a più di 66 miliardi.

L’articolo descrive le attività sugli Ogm e le controversie che ne derivano. Ma la parte successiva rivela come stia cambiando molto il focus della società stessa.

Dopo un decennio in cui si è concentrata sulle sementi e colture geneticamente modificate, Monsanto sta ampliando il suo focus. Gran parte del suo budget da 1,5 miliardi dollari per la ricerca è destinato alla coltura tradizionale, la stessa arte in cui fu pioniere un secolo e mezzo fa il botanico Gregor Mendel sulle sue piante di pisello, anche se a una scala e la velocità che farebbe rimanere allibito il frate. La Monsanto si sta anche occupando dell’impiego mirato di batteri, funghi e altri organismi viventi per proteggere e nutrire i semi: tecnologie agricole che prendono in prestito, almeno concettualmente, concetti dall’agricoltura biologica. 

Nei suo forse maggiore cambiamento, la Monsanto si sta spostando nell’informatica. Attraverso l’acquisto di due società, la Precision Planting e la Climate Corporation, la Monsanto ha iniziato ad offrire prodotti software e hardware che raccolgono ed elaborano le informazioni rilevanti per un agricoltore: dati su temperatura, pioggia, terreno, semi e insetti. I Big Data hanno già trasformato tutto, dalla logistica del commercio alle agenzie di incontri; la Monsanto ritiene di poter fare lo stesso per l’agricoltura. «Non parliamo di una fattoria», dice Hugh Grant, l’amministratore delegato e presidente di Monsanto. «Non parliamo di un campo. Parliamo, letteralmente, per ogni metro quadrato in questo campo, di fare la cosa migliore per il suolo e l’acqua, in un approccio metro per metro. Penso che questo sia un grande pezzo della società futura».

L’articolo prosegue descrivendo in dettaglio il funzionamento della tecnologia ereditata dalla Climate Corporation e l’attività di ricerca che avviene dei 250 laboratori e 124 “camere della crescita” della sede di Chesterfield, in Missouri. Le tecniche di selezione accelerata hanno permesso di creare nuovi prodotti, tra cui la Melorange, un melone extra-dolce, e la EverMild, una cipolla che piangere meno.

La società ha progettato qualcosa che chiama un “seed chipper”, una macchina delle dimensioni di un armadio con tubi e stantuffi che prende i semi, circa uno al secondo, e ne lima un pezzo piccolo per verificare i marcatori genetici. Utilizza un sistema di scansione ottica per garantire che l’embrione della pianta all’interno non venga intaccato. Le piante sono verificate nei loro tratti caratteristici prima che siano ancora nate. «È possibile gestire decine di milioni di semi attraverso il laboratorio, invece di piantarli nei campi», dice Sam Eathington, responsabile del “plant breeding” della società. 

Una macchina selezionatrice di semi della Monsanto (Brent Stirton/Getty Images)

L’ultimo punto è quello, da sempre controverso, dell’obbligo di non riutilizzare i semi dei raccolti precedenti. Una pratica commerciale sfociata anche in battaglie legali. 

Per Monsanto, l’introduzione di una nuova caratteristica, tra la ricerca, lo sviluppo e l’approvazione regolamentare, richiede in genere una decina di anni e costa circa 100 milioni di dollari. La società è notoriamente vigile su tale investimento. Manda agenti a testare le colture degli agricoltori per vedere se stanno usando i suoi semi senza pagare – o perché li hanno avuti da un amico o perché usano semi conservati dal raccolto dell’anno precedente. C’è un numero verde per segnalare la “pirateria del seme”. Anche prima che i semi biotech arrivassero ​​sul mercato, gli agricoltori di mais tendevano a non conservare i semi, dal momento i semi ibridi comprati sul mercato davano rendimenti più elevati, ma gli accordi sulla tecnologia che gli agricoltori firmano al momento dell’acquisto dei semi biotech della Monsanto vieta loro di farlo.

La società ha citato in giudizio gli agricoltori, una pratica che rappresenta gran parte della sua reputazione come azienda prevaricatrice. La Monsanto dice che queste cause sono rare – 250mila agricoltori americani comprano i suoi semi ogni anno, e dal 1997 ne sono stati citati in giudizio solo 145. Fraley sostiene che questi non sono agricoltori, biologici e non, le cui colture sono inavvertitamente impollinate da Ogm. Sono coltivatori che intenzionalmente cercano di ottenere i benefici dai semi geneticamente modificati senza pagare i 40 dollari o giù di lì che costano in più per acro.