Nei giorni scorsi il nostro presidente della Repubblica ha sostenuto che l’Italia non ha nulla da invidiare agli altri paesi periferici della Ue in termini di aggiustamento delle finanze pubbliche. Al netto del giudizio di valore sulle politiche fiscali restrittive, oramai da tutti denominate “politica dell’austerità”, come si nota dai dati del Fondo Monetario Internazionale, l’aggiustamento di bilancio strutturale, dal suo punto di minimo, è stato di 3,4 punti percentuali per l’Italia, contro 3,3 della Francia, 5,6 della Spagna, 6,5 del Portogallo, 7,9 dell’Irlanda e, infine, 20,6 punti della Grecia. Fra l’altro l’aggiustamento dei conti pubblici italiani, come si nota dalla scomposizione del saldo in entrate e spese, è stato sin qui fortemente sbilanciato sul lato delle entrate.
Non si vuole sostenere che le politiche restrittive siano un bene di per sé, ma affacciarsi a quella che rischia di essere una negoziazione difficile con i nostri partner in tema di flessibilità sull’interpretazione del fiscal compact, con conti e numeri che non corrispondono alla realtà dei fatti, non pare essere, a giudizio di chi scrive, una scelta politica particolarmente felice.