Il viaggio de Linkiesta nell’emergenza nomadi della Capitale. La terza e ultima puntata sul dramma sociale dei campi rom, le storie dei protagonisti e l’incredibile spreco di denaro pubblico. (La prima puntata, la seconda puntata).
TERZA PARTE- «Spesso gli zingari si trovano ai margini della società e a volte sono visti con ostilità e sospetto». Se l’è presa con i romani Papa Francesco. «Mi ricordo tante volte qui a Roma, alcuni zingari salivano sul bus. E l’autista diceva: “Guardate i portafogli”. Questo è disprezzo, sarà anche vero, ma è disprezzo». Per i nomadi della Città Eterna, la difesa più autorevole e rumorosa è arrivata direttamente dal Vaticano. L’ennesima rivoluzione del Pontefice. Perché nella Capitale la diffidenza verso le comunità rom è seconda solo all’ignoranza. I campi nomadi sono un mondo sconosciuto. Città nella città, microcosmi autosufficienti nelle regole e nella prassi. All’interno degli insediamenti sono state sequestrate locande che smerciavano bibite, persino panifici abusivi allestiti nelle baracche. Najo Adzovic era il portavoce del Casilino 900, il campo più grande d’Europa (prima dello sgombero nel 2010). Oggi vive tra i container di via di Salone, periferia orientale della Capitale. Camicia bianca e scarpe sportive, in un buon italiano parla del «tribunale popolare» all’interno degli insediamenti. Una forma di giustizia parallela. Secondo un’antica tradizione, la procedura è rigorosa. Quando una persona infrange le regole, il consiglio degli anziani – «i saggi» – si riunisce per decidere le sanzioni. La più grave è l’allontanamento dal campo. Una nazione in miniatura, con i suoi giudici e le sue leggi. Adzovic racconta i matrimoni combinati tra le famiglie, le doti e le ragazzine promesse in sposa. Regole valide «solo per alcune etnie e non per tutti i rom», ci tengono a sottolineare a via di Salone.
Il futuro degli insediamenti resta un mistero. «Ormai il sistema dei campi fa acqua, è logico che vadano superati» spiega un dirigente del Campidoglio che si occupa dell’emergenza nomadi. «Ma l’integrazione non è cosa facile». Tante le differenze con gli italiani. Forse troppe? «Una volta abbiamo proposto a marito, moglie e figli di trasferirsi in un appartamento. Hanno rifiutato perché volevano una casa anche per nonni, zii, cugini e altri parenti. Hanno un altro concetto di famiglia». Il desiderio di normalità fa il paio con le recriminazioni di un presente grigio. Adzovic è deluso: «Questi campi dovevano essere villaggi di passaggio e invece siamo all’abbandono. La scolarizzazione non funziona, vengono gli scuolabus e salgono pochi bambini. Gli sportelli sociali presenti negli accampamenti non ci danno lavoro. Servirebbe un presidio h24 delle forze dell’ordine. E invece oggi i campi sono terra di nessuno dove vince il più forte». All’interno dei campi si trova anche chi di motivi per soggiornare a spese della collettività non ne avrebbe. Nel 2013 le forze dell’ordine hanno scoperto conti correnti, gioielli e depositi titoli per dieci milioni di euro. Altri due milioni a gennaio 2014. Persone che al dipartimento Politiche sociali del Comune si presentavano come indigenti e ottenevano alloggio nei moduli abitativi, utenze gratuite (acqua, elettricità, gas) ed esenzione dalla tassa sui rifiuti nei villaggi attrezzati della Capitale. Polizia Locale e Guardia di Finanza hanno smascherato un centinaio di “Paperoni” e a maggio sono state notificate alcune revoche di assegnazione degli alloggi.
Veduta aerea del “villaggio della solidarietà” di Castel Romano
Popoli e legalità, incontro e compromesso. Parlando della difficile convivenza all’interno dei campi, il vicecomandante della Polizia Locale di Roma Capitale Antonio Di Maggio ripercorre una fetta di storia: «Durante la guerra in Jugoslavia ci sono stati forti conflitti tra etnie, soprattutto bosniaci contro serbi. Si è arrivati allo scontro fisico, coltelli e bastoni, tanto che alcuni dei nostri agenti sono stati feriti cercando di separare i contendenti». Il tempo non ha guarito tutte le ferite. Nazionalità e culture continuano a incontrarsi, spesso forzatamente. Dopo gli sgomberi di insediamenti abusivi, decine di nomadi sono stati ricollocati in campi già abitati. Rom, sinti, caminanti. Bosniaci, serbi, macedoni, romeni. L’ambientamento non è stato sempre immediato. Najo Adzovic non si nasconde: «I villaggi di Roma sono diventati incontrollabili dal punto di vista dell’ordine e della sicurezza. Chi è più forte, cioè i criminali, minaccia le famiglie più deboli che vogliono integrarsi e lavorare. Negli accampamenti ci sono dei kapò, anche perché questa amministrazione non ha dato il potere a 360 gradi a chi di dovere, soprattutto alla polizia di Roma Capitale, di intervenire e creare la giusta sicurezza». Pochi giorni fa sua figlia di 22 anni è stata aggredita. «L’hanno sfregiata. I carabinieri hanno fermato un uomo con precedenti penali, che non abitava in questo accampamento. Ma un giudice ha deciso di liberarlo. Adesso non sappiamo dove si trova, la notte non possiamo neanche dormire perché abbiamo paura che torni ad ammazzarci. Che giustizia è questa?». Segue uno sfogo che si fa appello. «Siamo ritornati al far west. Trent’anni fa nei campi si aveva rispetto per donne e bambini. Oggi non c’è rispetto per nessuno. Nei campi c’è un’alta percentuale di tossicodipendenti. Non c’è più la microcriminalità per fame, ma la criminalità organizzata. Il prefetto e il sindaco devono prendersi la responsabilità di ripristinare ordine e sicurezza dentro questi accampamenti. Siamo a una situazione di non ritorno».
Ma quanti sono i nomadi a Roma? Difficile avanzare stime precise. La Polizia locale di Roma Capitale ha censito 4.851 persone all’interno dei sette villaggi attrezzati e dei due tollerati. A queste si aggiungono i 6.900 nomadi trovati nei quasi duecento campi abusivi individuati dal 2013 a oggi. L’insediamento più grande è quello di Candoni. Sorge nella periferia meridionale della città, tra via Portuense e la Magliana. Qui vivono circa mille nomadi, divisi in due settori (uno per la comunità di origine bosniaca e uno per quella romena). A denunciare la situazione critica del campo è l’associazione 21 Luglio, da sempre legata alle comunità rom e sinti. «Le condizioni strutturali dell’insediamento – si legge sul sito – appaiono in cattivo stato. Le abitazioni consistono in case-container particolarmente deteriorate e con spazi interni insufficienti ad accogliere le persone che vi risiedono». Eppure solo lo scorso anno i contribuenti hanno speso per il campo di Candoni circa 2.400.000 euro.
Almeno 900 rom vivono nell’insediamento di Castel Romano, lungo la via Pontina. È uno dei campi più “difficili” della città, anzitutto per chi ci vive. Il villaggio è distante oltre 30 chilometri dal centro, senza per questo essere servito da mezzi di trasporto pubblico. Per tenere in funzione l’insediamento, nel 2013 il Campidoglio ha investito 5,5 milioni di euro (quasi 150mila solo per la bolletta della luce). I report ufficiali della Polizia locale di Roma Capitale descrivono una realtà preoccupante. «Sta aumentando la situazione di estremo degrado già presente da tempo – si legge – Tale condizione è dovuta all’aumento dei camper abusivi e da persone che quotidianamente abbandonano ogni sorta di rifiuto e bruciano rame creando un ambiente malsano ad altissimo rischio ambientale e sanitario». I vigili denunciano la presenza di una discarica abusiva «con presenza di circa 30-35 carcasse di veicoli e/o parti di veicoli fuori uso» nella zona adiacente al villaggio, all’interno di un’area protetta del parco naturale “Decima Malafede”. Non solo. Il vicecomandante della Polizia locale Antonio Di Maggio parla apertamente di «fenomeni legati allo spaccio di stupefacenti». Senza considerare che proprio dal campo di Castel Romano «partono quotidianamente per il centro di Roma diverse borseggiatrici minorenni».
Roulotte a margine del “villaggio della solidarietà” di via di Salone, zona est di Roma
Difficile verificare le accuse. Seppure è indubbia la massiccia presenza di nomadi alla stazione Termini. Tra i binari dello scalo ferroviario si offrono come facchini, salgono e scendono dai Frecciarossa con i bagagli dei viaggiatori, meglio se turisti. Presidiano le biglietterie automatiche per aiutare i passeggeri, quasi sempre dietro compenso. Gruppi di decine di persone. Uomini e donne, adulti e ragazzi. Solo pochi giorni fa – così scrivevano i principali quotidiani locali – i carabinieri hanno arrestato 4 persone e ne hanno denunciate 21 per una serie di borseggi. Alcuni dei fermati venivano dal campo de La Barbuta. È il più recente. Creato nel 2012 da Alemanno, oggi ospita 550 nomadi di origine macedone e bosniaca. Anche qui la convivenza non è sempre semplice. «La spazio interno all’insediamento – conferma l’associazione 21 Luglio – presenta diverse criticità, principalmente dovute a forme di convivenza forzata tra famiglie eterogenee tra loro e in una condizione di particolare fragilità sociale». Nei pressi del campo la Polizia locale di Roma Capitale ha recentemente sequestrato due discariche abusive. Mentre alcuni interventi «di messa in sicurezza con rimozione dei rifiuti da parte del Dipartimento Tutela ambiente e del Verde (in questa zona sono state sequestrati circa 700 chili di eternit, ndr)» sono costati al Campidoglio quasi 300mila euro. A La Barbuta opera anche la Croce Rossa. Una presenza non priva di polemiche: recentemente il modulo abitativo assegnato alla Cri all’interno del campo è stato preso di mira da ignoti. Qui sono stati rubati alcuni computer (mentre altri presìdi, come quello della vigilanza, sono stati dati alle fiamme). «Il campo è ormai fuori controllo – si è sfogato il presidente della Croce Rossa di Roma Flavio Ronzi – Non c’è alcuna regola degna di un campo cosiddetto attrezzato. Da mesi attendiamo risposte dall’assessore Cutini ma fino ad ora abbiamo ascoltato solo silenzio. Un silenzio assordante che lede la dignità di tutti coloro che vivono e lavorano nel Villaggio».
Dai campi alla città. Nelle strade di Roma non è difficile incontrare nomadi che, a tutte le ore del giorno, passano al setaccio i cassonetti spingendo passeggini adibiti a carrelli. Quello dei rifiuti è un business silenzioso ma enorme. Da una parte indumenti, oggettistica e utensili che finiscono nei mercatini abusivi della Capitale. Dall’altra il materiale metallico selezionato e rivenduto al chilogrammo. Non si butta via niente, si smaltiscono persino elettrodomestici e altri rifiuti ingombranti, che alcune aziende preferiscono affidare ai nomadi invece di seguire la prassi ordinaria. Spiega il vicecomandante Antonio Di Maggio: «Molti soggetti si offrono di svuotare le cantine dei privati e poi nelle adiacenze dei campi ammassano gomme, batterie, materassi. Materiale di ogni genere». Con roghi tossici annessi. Un report del gruppo di Sicurezza Pubblica ed Emergenziale parla di «accertata attività di gestione illecita di rifiuti» nei pressi degli insediamenti, «abbandono e smaltimento anche mediante incenerimento a terra», «ricettazione di parti di automezzi».
Tombini ritrovati dalla Polizia locale di Roma Capitale nei pressi del campo nomadi di via di Salone
Un altro business è quello del rame, l’oro rosso della Capitale. Insieme ad altri metalli è oggetto del desiderio per una compravendita sotterranea. Dai lampioni alle ferrovie, in alcuni casi i tombini e le scale mobili delle stazioni di periferia. All’altezza del campo “tollerato” di via Salviati le telecamere della Polfer hanno documentato il furto dei pannelli di alluminio e rame lungo la linea ferroviaria Tav. Emblematico il caso di un Frecciarossa costretto a fermarsi, col macchinista che scende a controllare la situazione dei binari. La Polizia locale prova a giocare d’anticipo: tra luglio 2012 e febbraio 2014 sono una quarantina gli autocarri e veicoli sequestrati nei pressi di cinque accampamenti romani, oltre ad alcuni terreni vicini adibiti a discariche abusive. «Negli ultimi anni – si legge in un recente rapporto della squadra di Di Maggio – si è assistito ad un aggravamento delle situazioni di degrado sia all’interno dei villaggi che nelle aree limitrofe. Spesso tali villaggi risultano collegati con le comunità di soggetti dimoranti all’interno di insediamenti abusivi radicati nel territorio». La situazione di degrado, scrive ancora la Polizia locale, sembra «strettamente connessa alle attività antropiche e in particolare alle attività di gestione rifiuti esercitate in forma imprenditoriale da alcuni gruppi familiari ivi dimoranti». Rilievi circostanziati, dettagli preziosi. Il timore è che in Campidoglio non li abbia ancora letti nessuno.
(FINE)