TaccolaSea Handling, un ripasso

Sea Handling, un ripasso

Nuovo nome ma, per ora, stessi soci e poca discontinuità reale: per questo motivo la Commissione europa non ha ritenuto sufficiente la trasformazione di Sea Handling in Airport Handling. Il 23 luglio ha deciso di continuare la sua battaglia contro Sea e la sua controllata e ha deferito l’Italia alla Corte di giustizia europea. Il motivo, in parole povere: non aver recuperato, come ingiunto nel 2012gli aiuti di Stato illegali concessi a Sea Handling. 

Se vi foste persi tra le centinaia di articoli apparsi negli ultimi anni sulla stampa locale e nazionale, ecco un ripasso. 

Cosa fa Sea Handling

Sea Handling, che dal 1° settembre opererà come Airport Handling, è una delle tre società che si occupa di handling negli aeroporti di Milano Malpensa e Milano Linate. Le altre due società sono la Ata Handling e Aviapartner. A differenza di altre società del comparto, Sea Handling effettua un servizio integrato: carico e scarico dei bagagli, movimentazione delle rampe, check-in. 

Dipendenti

Sea Handling ha avuto fino a giugno circa 2.400 dipendenti. Come spiega Dario Grilanda, segretario generale della Fit Cisl Laghi, il numero era di circa mille persone in più all’epoca dell’operazione Malpensa 2000, cioè della trasformazione dello scalo varesino in hub. Con la costituzione di Airport Handling, 600 persone sono uscite dalla società, che ne conta quindi circa 1.800. Dei fuoriusciti, 300 dovrebbero passare in Sea e 300 hanno accettato gli incentivi volontari all’esodo, in genere con prepensionamenti.   

I presunti aiuti

Tra il 2002 e il 2010 la Sea ha sostenuto i bilanci in bilico di Sea Handling, il cui fatturato è di circa 120 milioni di euro all’anno. In totale i ripianamenti delle perdite hanno avuto un valore di 360 milioni di euro. Per la Commissione europea tale iniezione di liquidità avrebbe raggirato le regole di mercato dei Paesi comunitari. 

L’intervento della Ue

Tutta la vicenda del contenzioso tra Ue e Sea comincia nel 2006, quando la Commissione Ue riceve una denuncia riguardo un presunto aiuto di Stato per Sea Handling da parte di un suo concorrente.

Nel giugno 2010 la Commissione avvia, attraverso il neo commissario alla Concorrenza Joaquín Almunia, un’indagine approfondita sui provvedimenti adottati dalle autorità italiane a partire dal 2002 per compensare le perdite subite dalla società Sea Handling. Il motivo dell’intervento è che il mercato dell’assistenza a terra è aperto alla competizione. Le misure di aiuto, come scrisse la Commissione, «sono in particolare in grado di impedire ad altri concorrenti di accedere al mercato dell’assistenza a terra sugli importanti scali di Milano Malpensa e Milano Linate».

Si tratta di aiuti, secondo la Ue, perché la Sea era allora controllata esclusivamente da soggetti pubblici, con il Comune di Milano all’84,6% e l’Asam, società della Provincia di Milano, al 14,6 per cento. 

I ricorsi 

La posizione della società di gestione aeroportuale milanese è stata da subito netta: non solo nessun fondo o contributo è pervenuto a Sea in nessuna forma, «né dal Comune né dalla Provincia, ma tali enti, in qualità di azionisti di Sea, hanno ricevuto, pro quota, negli anni, rilevanti importi, a titolo di dividendi». «Gli interventi di copertura delle perdite di Sea handling – recitava una nota del 2010 – fin qui operati da Sea sono giustificati da una logica di mercato». 

La richiesta di restituzione dei 452 milioni

Nel dicembre 2012 l’Unione europea chiede a Sea Handling la restituzione di 452 milioni di euro (360 più gli interessi). 

La richiesta di sospensiva

Contro la decisione i soci di Sea – il Comune e il fondo F2i -, insieme al governo italiano, fanno ricorso alla Commissione Ue, e chiedono anche una sospensiva, visto che per l’Europa la decisione sarebbe dovuta essere immediatamente eseguita a prescindere dagli esiti successivi del ricorso. 

La mossa del Comune di Milano

Per prendere ulteriore tempo, in attesa della sospensiva (tutt’altro che scontata) dell’Ue, il Comune nel marzo 2013 gioca anche la carta tutta italiana di un ricorso al Tar della Lombardia. Il 22 maggio il Tar accoglie la domanda. Ma, come scrisse Il Sole 24 Ore, quello che sembrava un gol del Comune, diventa un autogol. A Bruxelles, scrive il quotidiano il 30 maggio 2013, «qualche commissario europeo starebbe storcendo il naso di fronte all’iniziativa del Comune di Milano: la decisione con cui il Tar ha accolto la richiesta di sospendere il recupero, per mezzo dello Stato italiano, degli aiuti illeciti non cambierebbe la situazione. Per Bruxelles il governo italiano continua a non rispettare la decisione, utilizzando peraltro strumenti finalizzati ad allungare i tempi. E ora il rischio è un deferimento alla Corte di giustizia europea».

La bocciatura del Consiglio di Stato (e di Gamberale)

Una conferma di quanto azzardata fosse la mossa arriva il 25 settembre 2013, quando il Consiglio di Stato accoglie l’appello del Governo contro il ricorso al Tar del Comune di Milano. Una posizione sconfessata dallo stesso Vito Gamberale, numero uno del fondo F2i, divenuto azionista di Sea con il 29% e salito successivamente al 44%: ci sono le condizioni, commentò, «per difendere una Sea Handling al 100% di Sea ma bisogna riprendere subito un dialogo diretto e leale con la Commissione e il tema dovrà essere gestito contemporaneamente dai due soci». Un riferimento, quest’ultimo, alle iniziative del Comune di Milano, «di cui non si accetteranno mai più iniziative isolate».

L’idea della Newco

Il giorno dopo la sentenza del Consiglio di Stato, si delinea la strategia di Sea, che poteva scegliere tra tre strade: la liquidazione (con tutti i suoi debiti); l’apertura di un newco con più azionisti, tra cui appunto il nuovo possibile soggetto; la vendita totale della partecipata. 

Si decide per la newco. Come riportò Il Sole 24 Ore, i vertici del gruppo aeroportuale – a fronte del valore commerciale e strategico riconosciuto al l’handling – avevano ottenuto dalle autorità Ue il via libera a mantenerlo in capo a Sea, senza alcuna restituzione degli aiuti, al verificarsi di due condizioni: riportare l’attività in utile (dal 2005 ad oggi i bilanci si sono chiusi sempre in rosso) e un’effettiva discontinuità dal punto di vista gestionale. Tutto ciò, operativamente, si sarebbe dovuto tradurre – secondo quanto ricostruito da RadiOcor – nella creazione di una nuova società con una organizzazione del lavoro più efficiente e che al tempo stesso, a fronte di una difesa dell’occupazione, avrebbe potuto prevedere qualche sacrificio sul fronte degli stipendi. 

L’accordo con i sindacati e la bocciatura Ue

Il 4 novembre 2013, spiega Grilanda della Fit Cisl, si arriva a un accordo tra Sea, Comune di Milano e sindacati per la nascita della nuova società, che avrebbe dovuto assicurare una “discontinuità” rispetto alla gestione precedente. Dopo qualche mese di silenzio, nel marzo 2014 la Ue gela tutti. Come scrisse Repubblica, Bruxelles chiese «più discontinuità», economica, ma non solo, ovvero un piano bis. «Tradotto – riassumeva il quotidiano -, per salvarsi, la società deve avere un nuovo padrone. Un privato, cioè, non solo deve diventare azionista ma deve anche essere il socio più importante con oltre il 51 per cento di quote».

Più nello specifico, le richieste della Ue erano su cinque punti: discontinuità proprietaria (Airport Holding non avrebbe potuto avere lo stesso azionista di riferimento dei privati); discontinuità commerciale (non ereditare in automatico i contratti, ma conquistarseli); discontinuità sulle attività (non avrebbe potuto svolgere tutte le attività prima svolte da Sea Hangling); discontinuità dei mezzi di servizio (non avrebbe potuto ereditare in automatico i mezzi di Sea Handling); discontinuità sul contratto di lavoro (avrebbe dovuto avere costi e regole del lavoro differenti). 

Il nuovo accordo

Alla nuova richiesta della Ue, ricorda Grilanda, sono seguite proteste sindacali. «Eravamo sicuri – commenta – che avremmo fatto la fine di Fiumicino, dove parcellizzazione aziendale ha portato a una situazione di debolezza strutturale, con aziende importanti in fallimento».

La risposta del governo, riassunse Il Giorno, fu su quattro punti: la Sea si sarebbe impegnata a trovare eventuali soci privati nei successivi due anni, riservando loro non più del 30%; il governo e Sea si sarebbero impegnati a nominare un trust che garantisse l’indipendenza di Airport Handling da Sea. Sugli altri fronti di discontinuità, Airport Holding non avrebbe ereditato i contratti di Sea Handling e che i macchinari di Sea Handling fossero riacquistati da Airport Handling tramite asta, mentre la nuova società avrebbe coperto gli stessi servizi della precedente. 

A seguito di lunghe contrattazioni con i sindacati, contrassegnate anche da dure contrapposizioni tra confederali e autonomi, si arriva a un accordo con i sindacati. Si ridefiniscono elementi quali i riposi annuali e l’organizzazione dei turni. Si decide che la nuova società avrebbe avuto 1.800 dipendenti. Come detto, circa 300 sarebbe confluiti in Sea e altri 300 sarebbero andati verso prepensionamenti. 

La nuova indagine Ue, su Airport Handling

Pochi giorno dopo l’avvio delle attività di Airport Handling (il 1° luglio), il 9 luglio arriva la notizia che la Commissione ha aperto un’indagine per esaminare se l’iniezione di capitale di 25 milioni di euro da parte della Sea alla controllata Airport Handling, sia in linea con le norme sugli aiuti di Stato. In particolare, la Commissione vuole verificare se tale iniezione di capitale aggirerà la sua decisione del 2012, da cui è partita tutta la vicenda, e che richiedeva di rimborsare gli aiuti di Stato illegali che Sea aveva dato alla sua Sea Handling.

Il deferimento

L’Ue, intanto, ha deciso di procedere con il deferimento dell’Italia alla Corte di giustizia europea per non avere recuperato, come ingiunto nel 2012, gli aiuti di Stato illegali. La manovra della creazione della nuova società sembra, quindi, non aver sortito alcun effetto, perché la multa rimane in essere. Bisogna ora vedere se preverrà la linea fin qui seguita da Comune di Milano e Governo o se, dentro Sea, prevarrà la linea del fondo F2i. Nell’ultima assemblea di Sea, ricorda Il Giorno, Rita Ciccone, esperta di diritto comunitario, in rappresentanza proprio di F2i aveva fatto mettere a verbale la contrarietà del fondo al piano Airport Holding. Una contrarietà che la F2i pare ora voler ribadire. 

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