Quarant’anni di politica. Di scontri contro le istituzioni. Di polemiche con le destra di Milano, in particolare con l’ex vicesindaco Riccardo De Corato, di manifestazioni, di festival sulla marijuana libera, di concerti di musica elettronica, di convegni sul sociale, di mostre fotografiche, di rap, di rock, di reggae e di tanto altro ancora. È difficile per un milanese definire il Leoncavallo, uno dei centri sociali storici in Italia, avamposto “dell’illegalità” — per dirla in maniera destrorsa — ma anche un accogliente porto di mare, innovatore nell’importare culture musicali e artistiche difficili da trovare in Italia, per un capoluogo lombardo che in questi anni è cambiato, che ha superato gli anni di piombo, ha visto crollare gli anni del benessere socialista e della Milano da bere, quelli del centrodestra berlusconiano e che ora si ritrova a palazzo Marino quel Giuliano Pisapia che è stato spesso proprio ospite (e amico) dei leoncavallini. Alla fine va dato un merito ai ragazzi di via Watteau: hanno mantenuto lo slogan “Qui sono e Qui resto” rottamando buona parte della politica meneghina. E hanno superato anche tanti altri centri sociali, forse meno organizzati, scomparsi in questi anni, come ha dimostrato l’ultima vicenda dello Zam. Il Leonka da mercoledì è diventato “borghese” o “legale” come hanno scritto alcuni quotidiani. Frasi che stonano con il passato di lotta e resistenza per chi lo conduce. Daniele Farina, storico leader, ora parlamentare di Sinistra e Libertà, scrive sulla sua pagina Facebook: «Ci sono voluti 39 anni. È, quello di oggi, un atto che riconosce le ragioni di quanti in questi anni si sono battuti per questo risultato e per una città diversa».
C’è chi protesta a destra, come il solito De Corato, pronto a parlare di Vietnam. Chi lo fa a sinistra, come Stefano Boeri, che ha postato su Facebook un commento dove parla di «errore di prospettiva nella regolarizzazione del Leoncavallo». Sul sito del Leonka si legge una nota: «Pensiamo che questa operazione sia il primo passo avanti nel percorso verso la definiva soluzione che cerchiamo da anni, noi che abbiamo sempre detto qui sono e qui resto! «Esiste la possibilità di trasformare una situazione di irregolarità in un’opportunità per la città superando situazioni di criticità», dice il Comune e «i progetti in grado di dare risposte efficaci ai bisogni di spazi fruibili per attività creative e culturali che emergono…» diventano ora l’argomento reale della discussione, dopo che le pregiudiziali ideologiche sembrano superate. Adesso si apre una fase completamente nuova, inizia un “secondo tempo” in cui ci confronteremo con la nuova proprietà che dovrà riconoscere la nostra identità e considerare il lavoro fatto che da sempre ha reso il Leoncavallo 10.000 metri quadri di Spazio Pubblico Autogestito “fruibile, bello e accessibile”. L’accordo con il Comune è questo. Palazzo Marino è il nuovo proprietario dell’immobile occupato che da una ventina d’anni è la sede del centro sociale Leoncavallo. La Giunta ha infatti approvato l’atto di permuta con il precedente proprietario, la società L’Orologio Srl del gruppo della famiglia Cabassi, che riceve in cambio dello stabile di via Watteau 7 quello di via Trivulzio 18, realizzato nel 2003 con destinazione residenziale ma mai completato, e l’ex plesso scolastico di via Zama. Se ne parlerà poi in consiglio comunale, ma appare evidente che presto potrebbe esserci una regolarizzazione di uno spazio da vent’anno sotto sfratto.
Erano partiti da via Casoretto nel 1975 i ragazzi del Leonka. Lo ha ricordato anche Rodolfo Sala, storica firma di Repubblica, sul quotidiano di venerdì 1 agosto. Di quel primo spazio occupato volevano «farne un avamposto dell’“autorganizzazione”, parola mitica e inflazionata nel clima bollente di quegli anni, e proprio mentre si intestano quello spazio inutilizzato, su un volantino spiegano che in questo spicchio di città ci sono tante cose che non funzionano, addirittura mancano: asilo nido, scuola materna, doposcuola, mense interaziendali, consultorio medico, biblioteca, palestra, spazi per spettacoli e incontri». Scrive Sala: «È quasi un atto d’accusa alla prima giunta di sinistra insediata da qualche mese a Palazzo Marino, invitata dai leoncavallini (su via Leoncavallo si affacciano tre capannoni industriali attigui alla palazzina) a «dimostrare nella pratica la sua volontà di venire in contro alle esigenze della popolazione ». E questo passaggio Lo ricordano nelle pagine di storia sul loro sito: «La prima occupazione, il 18 ottobre 1975, fu di un piccolo stabile di via Mancinelli, nella periferia nord-est della città, ad opera di alcuni “Comitati di Caseggiato” (in particolare di Casoretto e Lambrate), dei collettivi anti-fascisti della zona e Avanguardia Operaia, e di qualche esponente dei movimenti Lotta Continua e Movimento Lavoratori per il Socialismo».
Altri tempi, di un’altra Milano. Di Brigate Rosse, della morte di Fausto e Iaio, due ultras di sinistra li definiva il quotidiano La Stampa, di lotta armata, a cui alcuni esponenti del centro sociale presero parte. Poi nel 1985 la svolta musicale. «Il centro sociale si aprì, con alcune contraddizioni interne» si legge «a un collettivo di giovani punk e ad appartenenti ad altre subculture giovanili minori (dark, industrial, neopsichedelici), molto lontani dagli schemi della politica esistente fino ad allora; una fetta consistente di essi era costituito da ex-occupanti del centro sociali Virus. Da tale incontro prese vita l’Helterskelter, collettivo che per alcuni anni organizzò concerti ed altre iniziative culturali negli spazi del Leoncavallo, ospitando diversi gruppi, performer e artisti di livello internazionale (Henry Rollins, DOA, Scream, O!Kult, Borghesia, Etant Donnes). Negli anni seguenti il centro sociale divenne un punto di riferimento della musica indipendente italiana». Poi arrivarono gli anni ’90, Tangentopoli, la caduta delle vecchie giunte socialiste, ma il Leoncavallo è rimasto sempre lì. Con la giunta di Gabriele Albertini si avviò un percorso di regolarizzazione. Poi gli scontri con Letizia Moratti e le aperture dell’allora assessore alla Cultura Vittorio Sgarbi. Alla fine è arrivato Pisapia. Il Leoncavallo, regolarizzato o no, resisterà anche a lui. È una certezza.