Mare ultima frontiera delle “bollicine”: non quelle dell’acqua ma del vino. È tutto un fiorire di iniziative legate alla conservazione delle bottiglie sui fondali, perché niente garantisce maggiormente le tre condizioni ideali per l’invecchiamento: l’assenza di luce, temperatura costante e immobilità. Progetti ad altissimo costo come la cantina Veuve Clicquot, appena immersa nel Mar Baltico: un’idea nata dal ritrovamento nel 2010 nell’arcipelago delle Aaland – fra Svezia e Finlandia – di una nave affondata intorno al 1880. A bordo, i sommozzatori trovano 168 bottiglie di un liquido che pare vino. È champagne con il logo Vcp – Veuve Clicquot Ponsardin – che faceva parte di una cospicua fornitura diretta verosimilmente alla corte degli zar, grandi consumatori di champagne. Dieci di quelle quarantasette bottiglie vengono restituite alla casa madre e, protette come fossero reliquie, sono sottoposte a esami, analisi ed esperimenti di ogni tipo. Finché, nel maggio del 2012, una è destinata a un’esclusiva degustazione dallo stupefacente risultato: del perlage, cioè delle bollicine, la traccia è quasi impercettibile, ma il vino è integro. Evidentemente gli alti standard di lavorazione già allora praticati e la stessa qualità delle bottiglie, dei tappi e dei sigilli hanno protetto il vino.
Ecco perché ha preso il via un progetto incredibile, che soltanto qualche settimana fa è stato rivelato e avviato: “A cellar in the sea”, una cantina nel mare, ovvero lo studio e la sperimentazione nell’arco di cinquant’anni del processo di invecchiamento dello Champagne nelle condizioni “naturali” che il fondo del mare può garantire, e cioè l’assenza di luce, la temperatura costante, l’immobilità. I tecnici di Veuve Clicquot hanno concepito e realizzato un contenitore ritenuto ideale per l’invecchiamento sott’acqua, il “Caveau d’Aaland”, che è stato stipato d’una selezione delle famose “yellow label” in formato classico e magnum, di Vintage Rosé millesimato 2004 e di Demi Sec. Il 18 giugno scorso il contenitore è stato immerso a quaranta metri di profondità, accanto al relitto ritrovato quattro anni fa. D’ora in poi sarà monitoraggio continuo (e costosissimo).
La febbre attecchisce anche in Italia
In Italia, la “ febbre”ha attecchito in modo ovviamente più artigianale. Il pioniere è stato Piero Lugano – titolare dell’azienda vinicola Bisson di Chiavari – che già nel 2009 posò in fondo al golfo di Portofino 6.500 bottiglie di Abissi-Riserva Marina di Portofino. La Tenuta del Paguro di Brisighella conta di arrivare a 10mila bottiglie l’anno di Merlot, Sangiovese, Albana e Cabernet che immerge dal 2010 nel relitto di una piattaforma petrolifera al largo di Ravenna. Sempre in Adriatico, ma più a Nord, il vino rosso di Ornella Molon Traverso viene affinato in barrique – per sei mesi – nella Laguna di Caorle dove diventa Lagunare Rosso, bordolese classico con uvaggio Merlot e Cabernet. È invece il bianco simbolo della Sardegna, il Vermentino Doc a essere protagonista nel progetto di Santa Maria La Palma che ha appena immerso 700 bottiglie nell’Area Marina Protetta di Capo Caccia, nei pressi di Alghero.
Piero Lugano, titolare dell’azienda vinicola Bisson di Chiavari, pioniere della conservazione del vino in mare (OLIVIER MORIN/AFP/Getty Images)
Riserva Lago d’Iseo
E poi c’è il seguace dell’acqua dolce, quella del piccolo bellissimo Iseo. Si chiama Alessandro Belingheri, classe ’78, cresciuto a Darfo e approdato ad Artogne. Un uomo dei sogni – in parte realizzati – che si definisce «più camuno che bresciano o sebino, perché qui in valle si coltivavano i vigneti già nel 16 a.C. e io mi sento un po’ loro erede». Scoperta la terra grazie agli zii, è al ristorante dei suoi che si è innamorato del vino: corsi di sommelier, le fiere del settore, visite in cantine. Risultato, nel 2004 – quando nasce il disciplinare Igt per la Valle Camonica – fonda la sua azienda, autofinanziandosi. Ha le idee chiare, solo produzioni autotocne: dai terreni di Cividate Camuno e Berzo Inferiore nasce il Ciass Negher, vitigno a bacca rossa antichissimo secondo alcuni (il nome in dialetto significa “mi piace il vino nero”) mentre quello dell’Annunciata di Piancogno serve per i vini bianchi. Le tradizioni sono nel cuore di Belingheri. «Ho deciso di fare il primo Passito della Valle Canonica solo quando ho scoperto che ne facevano uno simile nel 1500».
Alessandro Belingheri, titolare dell’Agricola Valle Camonica
Oggi guida una realtà da circa 15mila bottiglie l’anno. Ma il rispetto della storia va di pari passo con l’innovazione e il coraggio: la scintilla scocca nel 2009. «Avevo letto che a fine anni ’90 i croati avevano fatto i primi esperimenti, poi ho conosciuto che la cantina ligure Piero Bisson aveva provato a spumantizzare il suo vino a Portofino: perché non provare sotto casa?». Non è un gioco: una ventina di permessi da enti e associazioni locali, il robot della Protezione Civile per scegliere il fondale migliore, la modifica delle casse per contenere le bottiglie. Nel luglio 2011, circa 1.500 bottiglie, esito della vendemmia 2010 e divise in tre casse, scendono a 40 metri di profondità nelle acque davanti Peschiera Maraglio. Il vino, fatto solo con uve rosse, non poteva che chiamarsi Nautilus: spumante Metodo Tradizionale – quindi non è un Franciacorta – senza aggiunta di zuccheri. «Le abbiamo recuperate un anno dopo, erano diverse dal solito – racconta il titolare dell’Agricola Valle Camonica – la temperatura di 5 gradi e la pressione di 4 bar costanti avevano reso le bollicine più buone e persistenti. E sono piaciute al pubblico che per me è la cosa più importante».
Le bottiglie di spumante Metodo Tradizionale dell’Agricola Valle Camonica, nel Lago d’Iseo
Da qui è partita la produzione in modo molto regolare: il vino della vendemmia resta in cantina sino al giugno successivo, poi viene calato nell’Iseo dove si ferma un anno. Una volta riportato a galla, altri sei mesi in cantina e infine si vende: un ciclo mediamente sui due anni, con la scelta di allungarlo. “Non ho ancora deciso quando recuperare le 4.000 bottiglie calate nel 2012 come per le 4.000 appena scese non escludo di arrivare al 2017. Quanto ai numeri dipende solo dalla quantità e qualità della vendemmia, non uso e non voglio usare artifizi o soluzioni non naturali” sottolinea il patron di Artogne. Ci scusi Belingheri, ma al di là che la maturazione nel lago ha costi superiori a quella tradizionale, non soffre nel sapere le sue amate bottiglie sul fondo dell’Iseo? Non le può vedere, né controllare…”No, fa parte della mia scelta. Ogni volta che tiriamo su una cassa e apriamo una bottiglia, mi emoziono come un bambino: come sarà quest’annata? La tecnologia ci ha dato molto ma anche tolto troppe cose: lasciatemi almeno questa sorpresa”. Prosit.