I primi camion stanno già tornando indietro. Respinti alle frontiere, riportano in Italia prodotti ortofrutticoli per migliaia di quintali. Tornano a Modena i tir carichi di pere, rientrano in Patria centinaia di forme di grana padano. Una partita di mele Granny Smith è stata rispedita ieri nel veronese, circa 60 camion-frigo con 12mila quintali di pesche sono rientrati pochi giorni fa in Piemonte. Sono i primi effetti dell’embargo russo. La decisione del premier Vladimir Putin di fermare le importazioni agricole da tutti quei paesi che in seguito al conflitto con l’Ucraina hanno adottato sanzioni economiche contro Mosca. Italia compresa.
E proprio il nostro Paese rischia di pagare un costo altissimo. Solo lo scorso anno l’export verso la Russia dei nostri prodotti agroalimentari ha raggiunto la cifra di 720 milioni di euro. «E in gran parte si tratta delle grandi eccellenze italiane – racconta a Linkiesta Gianluca Lelli, capo area economica di Coldiretti – Parliamo del grana, dei prosciutti». La lista dei prodotti boicottati da Putin è lunga. Ci sono le carni di manzo e maiale, pollo e pesce. Frutta e verdura. «E poi c’è il settore del latte e dei latticini, il primo che andrà in crisi». Probabilmente i milioni di quintali di prodotti che i paesi comunitari spedivano in Russia finiranno presto per riversarsi sul mercato europeo. Con le conseguenze che è facile immaginare.
L’embargo russo non riguarda ovviamente tutti i prodotti italiani. Restano escluse le bevande, gli alcolici e i prodotti per bambini, ad esempio. Non è poco: stando ai dati della Coldiretti solo vini e spumanti rappresentano il 16 per cento del valore delle nostre esportazioni agroalimentari verso Mosca. Il danno economico rischia di essere ugualmente ingente. Al momento si attendono risposte da Bruxelles. Si spera ancora di risolvere il braccio di ferro con Putin attraverso i canali diplomatici. In gioco, per il nostro Paese, ci sono almeno 220 milioni di euro in esportazioni annue. Dagli oltre 70 milioni relativi alle spedizioni ortofrutticole del 2013, ai 60 milioni di euro per le carni e i 45 milioni per latte e formaggi registrati nello stesso periodo. «È ancora incerta la situazione della pasta – spiega la Coldiretti – Esportata nel 2013 per un valore di 50 milioni di euro, ma in aumento del 20 per cento nel primo quadrimestre». Oltre il danno, la beffa. In tempi di crisi economica il mercato russo era una delle poche realtà positive. Non solo l’export aveva tenuto, ma era persino in crescita. «Un mercato oggettivamente interessante per i nostri prodotti – conferma Lelli – Dove è forte il richiamo al vero made in Italy e dove la vicinanza geografica rappresenta un indubbio vantaggio, soprattutto per i prodotti deperibili».
A Brescia si contano i danni. Per il vicepresidente nazionale di Coldiretti Ettore Prandini è qui che potrebbero registrarsi le perdite più significative. «Un embargo – raccontava domenica sulle pagine locali del Corriere – che rischia di costare alla prima provincia agricola italiana oltre cento milioni di euro in un anno». Frutta, verdura, prodotti derivati dal latte. E non solo. I contraccolpi per la mancata vendita in Russia dei prosciutti di Parma si sentiranno anche qui. Non tutti sanno, ad esempio, che le carni lavorate in Emilia provengono dai maiali allevati nel bresciano. Un business da quasi un milione e mezzo di euro l’anno.
E poi ci sono i formaggi. È stato calcolato che il valore dell’export verso Mosca del solo grana padano supera i 15 milioni di euro annui. Nel 2013 il fatturato delle esportazioni in Russia del parmigiano reggiano è stato di quasi 6 milioni di euro. In crescita rispetto all’anno precedente del 16 per cento. Adesso più di diecimila forme di questa grande eccellenza italiana rischiano di rimanere in Emilia. Pensare, così raccontava qualche giorno fa sull’edizione locale de La Repubblica il presidente del consorzio grana padano Giuseppe Alai – che entro il 2020 si stimava di vendere all’estero almeno il 50 per cento della produzione.
Se a Modena si guarda con timore all’export delle pere – in Russia è stato appena rescisso il contratto con una delle principali cooperative locali – in Veneto preoccupa la vendita di mele. Un carico di Granny Smith è stato rispedito nel veronese pochi giorni fa. In ballo c’è un business importante. Secondo la Camera di commercio di Verona, solo lo scorso anno le aziende locali hanno esportato in Russia 11,4 milioni di euro di frutta. Come se non bastasse «è da giovedì scorso – così si leggeva ieri sul Corriere del Veneto – che seicento quintali di nettarine partite da Padova girano per mezza Europa». Respinte le pesche alla dogana, si prova a prendere tempo prima di rientrare in Italia. In attesa delle decisioni della Commissione europea, c’è chi studia il modo di aggirare l’embargo. Alcuni paesi europei, ad esempio, avrebbero trovato il sistema di triangolare le esportazioni. Arrivando in Russia attraverso nazioni non colpite dal boicottaggio di Putin.
Intanto ai danni immediati potrebbero presto sommarsi quelli indiretti. Senza una soluzione diplomatica, l’embargo di Mosca potrebbe durare un anno. Un periodo sufficiente perché tutti i prodotti comunitari respinti ai confini russi finiscano per riversarsi sul mercato europeo. Se Gianluca Lelli teme le conseguenze per il settore del latte e dei formaggi, c’è chi scommette sulla crisi del mercato di carni e derivati del maiale. Di fronte a un improvviso aumento dell’offerta, i prezzi rischiano di crollare. «Non è nemmeno il caso di ipotizzare la vendita a prezzi scontati dei nostri prodotti – spiega Lelli – Prima cerchiamo di risolvere la vicenda russa. Con la situazione dell’economia italiana, piuttosto che vendere prodotti sottocosto facciamo prima a chiudere».