Mogherini, la ragazza Erasmus che ha convinto l’Europa

Mogherini, la ragazza Erasmus che ha convinto l’Europa

Dalla Farnesina a Bruxelles. Prima parlamentare “semplice”, poi ministro degli esteri e ora Alto Rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea. La promozione di Federica Mogherini è una giostra di diplomazie e polemiche. A febbraio come a luglio. L’attuale Lady Pesc è stata una delle carte a sorpresa giocate da Matteo Renzi tra gli arazzi del Quirinale, spiazzando un prudentissimo Giorgio Napolitano. Il Capo dello Stato aveva preparato la lista con i suoi punti fermi per il nuovo esecutivo, tra cui spiccava la riconferma di Emma Bonino alla Farnesina, in virtù del capitale di rapporti internazionali e continuità nell’azione del ministero. Invece no, «pur con qualche perplessità», Re Giorgio ha dovuto cedere davanti all’insistenza del rottamatore, deciso a cambiare verso agli esteri. Così è arrivata la ribalta mediatica per Federica Mogherini, che al Colle saliva indossando il suo piumino grigio perla, sorridente ma non troppo. In estate è stato il turno dell’Europa, con un blocco di Stati scettici sulla sua nomina al vertice del superministero continentale. Ma anche qui la spunta il premier rottamatore, che per Mogherini ha condotto una battaglia serrata. Nonostante gli scetticismi vecchi e nuovi.

Romana classe 1973, laurea con lode in Scienze politiche alla Sapienza ed Erasmus ad Aix-en-Provence, in quegli Stati Uniti d’Europa che il premier paventa da anni. Le tappe politiche le ha percorse tutte, iniziando dal liceo classico Lucrezio Caro dove si allenava come rappresentante d’istituto portando gli esteri come tema durante le autogestioni. Poi la crescita nella Sinistra Giovanile, quindi l’approdo al consiglio nazionale dei Ds: un’onesta carriera di partito che l’ha vista al dipartimento esteri di via Nazionale. Deputata dal 2008, nel suo BlogMog rendiconta l’attività a Palazzo, con Franceschini segretario e mentore politico diventa responsabile nazionale Pd per le Pari Opportunità. A dicembre 2013 un’altra promozione: responsabile per Europa e affari internazionali nella segreteria di Matteo Renzi. Gli addetti ai lavori le attribuiscono «ottime competenze e buone entrature in Europa» dove ha tenuto un filo diretto con il Pse e l’internazionale socialista. Diversi i viaggi e le missioni all’estero, da Bruxelles all’Africa, che si sommano ai sodalizi internazionali come il Consiglio per le relazioni Italia-Usa, il German Marshall Fund for the Us e l’Istituto Affari Internazionali. Agli atti anche i rapporti con la Nato, già presidente della delegazione italiana all’assemblea parlamentare Nato di agosto 2013, nonostante lei non venga annoverata tra gli atlantisti doc. Il Giornale le ha rinfacciato una foto con Arafat e «una sviscerata passione islamista» cresciuta con la tesi di laurea redatta sul rapporto tra religione e politica nell’Islam.

A ridosso della nomina governativa, i più critici rimproveravano al ministro la mancanza di «relazioni internazionali di alto profilo», quelle che più contano in plancia di comando alla Farnesina: «Non ha l’esperienza in mare aperto, si è sempre mossa nel recinto di partito». All’alba della carriera nella poltrona di Mrs Pesc, risuona la stessa musica intrisa di dubbi e rimostranze. Tanto da alcuni Stati membri (in primis Polonia e paesi baltici) quanto dagli addetti ai lavori. «Troppo giovane e inesperta». Secondo Le Monde la candidatura Mogherini è «una scelta sbagliata», soddisfa diverse condizioni perchè è donna, socialdemocratica e brava con le lingue straniere, «tutte tranne una: l’esperienza e l’aura personale che questa conferisce». Poco prima è piombato il commento del Financial Times che bollava con l’aggettivo «disappointing» (deludente) la nomina della Mogherini. Il motivo? «In un momento di importanti tensioni internazionali l’Ue dovrebbe scegliere un pezzo grosso riconosciuto». Aggiunge il giornale finanziario inglese che «il mondo degli affari italiano, in particolare in aree come quella dell’energia, resta strettamente legato alla Russia». E nel suo periodo alla Farnesina Mogherini «ha rispecchiato il desiderio dell’Italia di pacificazione con il Cremlino, piuttosto che di confronto». Un’accusa che lambisce da mesi le stanze dei bottoni del ministero italiano. Mogherini? «Troppo filorussa». Lo sostenevano le Repubbliche Baltiche, lo hanno sottolineato i media continentali. Il problema non è solo la persona, ma il paese. In un certo senso lo ha messo nero su bianco Jean-Claud Juncker: «Esistono riflessi e valutazioni diplomatiche costruiti nel corso di una lunga storia. L’Italia è sempre stata molto vicina alla Russia».

Tailleur sobri, viso poco truccato, l’unico vezzo sembra incarnato dai capelli biondi e lisci. Sbarca in europa sotto l’egida renziana ma la sua storia di partenza è quella di dirigente di stretta osservanza franceschiniana, poi accolta nella grande famiglia del rottamatore non prima di aver lanciato frecciatine all’indirizzo del premier. Twittava così nel novembre 2012: «Renzi ha bisogno di studiare un bel po’ di politica estera, non arriva alla sufficienza temo #terzaelementare». Mamma di due bimbe, sostiene che «Bella Ciao è la più bella ninna nanna del mondo». Volontaria dell’Arci, attiva coi movimenti per la pace e il forum sociale europeo, da giovanissima ha collezionato esperienze lavorative nei call center. Adora i romanzi gialli ed è sposata con Matteo Rebesani, già collaboratore parlamentare di Veltroni e poi membro del gabinetto del sindaco in Campidoglio. Chi la conosce la descrive come «una ragazza studiosa», poco mediatica ma «preparatissima». Parla inglese, francese «e un po’ di spagnolo» ed è forgiata da anni di lavoro sul campo. La Farnesina avrebbe dovuto essere l’occasione di una vita, e invece è rimasta una parentesi di sette mesi, perchè la carriera si impenna in Europa. A Bruxelles la sua nomina è stata sofferta e chiacchierata, mentre servivano trattative e diplomazie.

Già la sola sfida al vertice del ministero italiano era impegnativa, caduta in un periodo nevralgico tra il conflitto Russia-Ucraina, i postumi delle rivoluzioni arabe, la polveriera del Medio-Oriente, il ritorno del terrorismo internazionale. Mogherini si è data da fare con vertici di emergenza, incontri bilaterali, conferenze internazionali. Senza dimenticare l’infausta eredità dei marò e la stazza della Farnesina: un pantheon amministrativo culla di feluche e dirigenti dal potere affastellato nel tempo. Quarantenne in un ministero dove l’età media dei dipendenti segna i cinquant’anni, le ore di formazione sono in media 1,4 per ciascuno e il turnover si ferma al 16,4%, la bionda romana ha mostrato una certa dose di coraggio nel paventare la necessità di «riorganizzare il sistema retributivo» alla Farnesina, valorizzando «le energie della nostra diplomazia come giovani e donne che sono la faccia meno vista ma quella che fa marciare la macchina nel mondo».

La Farnesina è un bestione partorito dall’architettura fascista, originariamente pensato come Palazzo del Littorio. Dosi massicce di travertino bianco sono mitigate dal bronzo della palla di Pomodoro alla base di un parallelepipedo di nove piani che ingurgita 1300 stanze, 6,5 chilometri di corridoi e un volume di 720.000 metri cubi. Un gigante con otto direzioni generali, l’ispettorato, il cerimoniale diplomatico, la segreteria generale, tre unità (di coordinamento, di crisi, di analisi e programmazione). Poi c’è l’apparato diplomatico: 319 distaccamenti in giro per il mondo tra ambasciate, consolati e istituti di cultura. Il conto dei dipendenti oscilla intorno alle 6.500 unità, anche se il numero dei diplomatici cala ed è la metà di quello di Francia, Gran Bretagna e Germania. Nella sola sede di Roma sono ben 458 i dirigenti (di cui 419 diplomatici) a fronte di 1.984 impiegati. Il rapporto è di 1 ogni 4,3.

Stipendi da favola, fiumi di denaro (quasi 300 milioni di euro nel 2013) per «progetti di cooperazione allo sviluppo» e consulenze importanti (il Filp denuncia «nomine di personale a riposo, pagato profumatamente e legatissimo alla casta, persone che cumuleranno più emolumenti») fanno il paio con spending review e riorganizzazione della ragnatela consolare, incluse le proteste degli italiani all’estero. Intanto negli anni gli stanziamenti al ministero si asciugano progressivamente: da 2,5 miliardi di euro del 2005 a 1,9 del 2013. Sette mesi sono pochi e Mogherini si è inserita in corsa, mentre i tagli erano già operativi: con il decreto legge 95/2012 Bonino ha affilato le armi per poi passare la mano a Mogherini, che ha proseguito l’opera. Nel mese di aprile il Consiglio dei Ministri ha disposto la chiusura di quattro ambiasciate (Honduras, Islanda, Repubblica Dominicana, Mauritania) oltre che della rappresentanza permanente presso l’Unesco. Intanto Mogherini annunciava un piano di tagli per 108 milioni comprendenti la ristrutturazione della rete diplomatica, la vendita di immobili, un ritocco ai contributi alle organizzazioni internazionali, ma anche una revisione del trattamento e delle indennità di servizio dei dipendenti all’estero. Ambasciatori compresi, principali destinatari di polemiche e attacchi stampa in un ministero mediaticamente a metà strada tra casta e blasone.

Poi c’è il nodo cruciale della penetrazione commerciale in Oriente e nei paesi di nuova espansione. La geografia diplomatica italiana non è più attuale. Ad ammetterlo, in un’intervista a La Stampa è stata la stessa Elisabetta Belloni, direttrice del personale della Farnesina: «La rete va riorientata, come certe aree del mondo e le nuove aree di approvvigionamento delle materie prime vanno assolutamente presidiate. La nostra rete è ancora una delle più importanti ed estese, ma è ancora troppo orientata su logiche anni Sessanta». Tanta Europa, forse troppa: basti pensare che a Vienna ci sono nostre sedi di rappresentanza presso l’Osce e l’Onu, la sede bilaterale, i consolati e l’istituto di cultura. Mentre in molte altre parti del mondo la presenza tricolore, soprattutto nell’ottica «contemporanea» di diplomazia commerciale, ancora stenta a decollare: anche per questo Mogherini stava pensando di snellire la struttura consolare europea convogliando risorse nelle zone ancora troppo «inesplorate». Anche perchè, come ha ribadito l’ex ambasciatore italiano a Washington Gianni Castellaneta: «Le feluche sono diventate un riferimento prezioso per le imprese italiane. I diplomatici sanno combinare economia, diritto e politica e sintetizzare rapidamente situazioni complesse».

Un ministero «too big to fail» eppure colpito negli anni da errori, figuracce ed equilibri da puntellare nel rapporto tra burocrazia e politica, funzionari e ministri. Dalla guerra di Libia del 2011 ai Marò e al caso Shalabayeva, con scie polemiche e stracci rimpallati da una scrivania all’altra. «La Farnesina viene sistematicamente scavalcata», ha avuto a dire l’editorialista del Corriere della Sera Sergio Romano in costanza della vicenda kazaca. «I rapporti internazionali non passano più direttamente e soltanto dal ministero degli Esteri, ciascuna istituzione del nostro paese ha una sua autonoma proiezione internazionale». Un ministero pieno di eccellenze ma depotenziato negli anni, con le cifre che parlano prima dei politici: il bilancio della Farnesina pesa solo lo 0,2% sul bilancio dello Stato contro l’1,1% in Germania e l’1,8% in Francia. Da fiore all’occhiello a gregario della compagine governativa.

Dalla passerella internazionale di Massimo D’Alema al tramonto romanesco di Emma Bonino. Nel mezzo il maestro di Sci Franco Frattini, che in uno dei rapporti diplomatici diffusi da Wikileaks veniva definito dall’ambasciatore Usa Ronald Spogli «sempre più irrilevante, demoralizzato e privo di risorse». Poi il “tecnico” Giulio Terzi di Sant’Agata, marchiato a vita per il pasticcio dei Marò, rinnegato dai colleghi diplomatici e tacciato di poca leadership nei corridoi della Farnesina. La parentesi delle larghe intese con Emma Bonino si è chiusa bruscamente per lasciare il posto alla quarantenne deputata Pd, intenzionata «a portare un tasso di politicità maggiore rispetto al passato, che ci consente di costruire sinergie comuni con i partner europei»La scrivania dei sogni alla Farnesina è durata sette mesi. Praticamente un’inezia, perchè adesso le hanno apparecchiato quella più alta e impegnativa di Bruxelles. Federica, la ragazza Erasmus, sarà la responsabile della politica estera e della sicurezza comune dell’Unione Europea. Dovrà guidare la diplomazia continentale in una fase di massima tensione mondiale e, se possibile, convincere gli scettici. A partire dal semestre di presidenza italiano, anzi renziano. 

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