Il futuro è soggettivo e cambia da persona a persona. Parlando di televisione, il futuro è sempre dietro l’angolo. È dietro l’angolo da talmente tanto tempo che viene il sospetto di esserci già, nel futuro, e che il mezzo non possa mai raggiungere una maturità più completa di questa. Leggevo, qualche giorno fa, un articolo di Valerio De Simone su Pagina 99, che accennava al progetto Wigs e faceva riferimento a un probabile interesse di Rupert Murdoch nell’acquistare il network digitale. «Il futuro è delle Web Series» è il nocciolo del ragionamento — un po’ scarno, per la verità — di De Simone. Vero. Così vero che ormai è un concetto del tutto superato, visto che il confine tra Web e Tv è sfumato in una sovrapposizione che ha dell’incastro perfetto. Netflix, Hulu, Apple Tv, tutto quello che ci circonda è l’evidenza del superamento definitivo dei mezzo, tutto complotta per la definizione di un nuovo prodotto, per cui non ci sono più Serie Tv, ma ciò che prima o poi è destinato a finire in uno schermo di fronte a un divano — se questo è “Tv” — è anche destinato a passare per un sito Internet. Per cui — lungi dall’insegnare il mestiere al collega — mi sento di dissentire fortemente dal concetto di “futuro” espresso fin qui.
Il pubblico critico è quello dei laptop, che piano piano si converte alle Smart Tv. Sono loro che decidono il rinnovo di una serie, episodio dopo episodio, stagione dopo stagione, anno dopo anno. Quindi sì, Fox combatte YouTube perché sul Web si fa il business, ma la fase adulta è già in pieno tramonto dell’età, all’alba della saggezza, alle porte della senilità e pronta ad evolvere di nuovo. In qualcosa di più completo che non conosce nulla di diverso dall’interazione diretta.
Quello che vorrei fare è parlare del passato di questo futuro che abbiamo davanti agli occhi. Chiunque abbia mai visto una puntata di Childrens Hospital — per cui chiunque nel raggio di quel pubblico critico cui ho già fatto accenno — sa che mi riferisco a un periodo attorno al 2008, al tramonto dei medical drama, mentre Scrubs si preparava al canto del cigno e theWB.com dava al mondo quello che sì, sarebbe stato il futuro. La strada di Childrens Hospital, condivisa con diverse altre micro-serie andate online su WB, è sintetizzabile in una passerella diretta dal Web al canale via cavo [Adult Swim], che per chi non sa cosa sia il via cavo è comunque il Web. Le produzioni che hanno caratterizzato il passaggio non hanno nulla a che vedere con le auto-produzioni da YuouTuber di belle speranze, e nemmeno con l’ondata di ritorno che il pubblico italiano sta (forse) sperimentando in questo periodo. Parliamo di prodotti completi e di altissima qualità, inscatolati in pillole, somministrati per gradi in maniera geniale. Childrens Hospital, che già alla sua prima stagione vantava nel cast Lake Bell e Henry Winkler, è costruito su eterne sintesi delle puntate precedenti, senza che inizi mai un episodio completo. Fate questo per circa otto minuti e avete dato al termine Webisode una nuova, fresca, strabiliante, dignità.
Se network come [Adult Swim] hanno costruito la propria fama sulle micro produzioni Web dal carattere pruriginoso, fino ad acquistare macro-produzioni Tv della portata di American Dad e Bob’s Burger — rimanendo fedeli al principio che senza lo streaming non si va da nessuna parte — altre case, già ampiamente inchiodate alle schermo come Comedy Central, hanno avuto la lungimiranza di anticipare i tempi e battere la miopia congenita di giganti à la Fox.
Ho scoperto Broad City un paio di anni fa, quando era già piuttosto seguita come Web Series e girava tra YouTube e Hulu. Era una cosa piccola ma geniale, così dissacrante e profondamente femminile da mettere in imbarazzo lo spettatore — questo spettatore, per lo meno. Ilana Glazer e Abbi Jacobson erano giovanissime, si davano un gran da fare per far ridere e ci riuscivano, credetemi. Tanto che, quando nel 2013 la serie è stata formattata per la Tv, opzionata da Comedy Central e battezzata da Amy Phoeler, non ci ho trovato niente di straordinario. Broad City ha seguito la seconda strada: quella che arriva al pubblico ampio — forse di questo stiamo parlando, di ampiezza del pubblico, che cresce di pari passo con l’aumentare dei mezzi su cui la serie è disponibile — attraverso una gavetta che somiglia di più a una gavetta ma che, a conti fatti, è infinitamente più agevole che stare ad aspettare l’evoluzione del genere. Ora parliamo di un rinnovo, di passerelle di gala e di grandi collaborazioni. Nel 2009, quando è andato in onda il primo semi-episodio, parlavamo dell’idea di registrare una conversazione via Skype e di inventarsi la definizione di “Sneak Attack Femminism”. Ora parliamo di andare in onda in Italia, dove ancora lo streaming è sinonimo di replica e le serie arrivano quando ormai nessuno è rimasto per guardarle — o così dovrebbe essere, ad aver fiducia nel pubblico.
Questo dunque era il futuro, incominciato sei anni fa e adesso perfettamente integrato e pronto a diventare altro, come da ottime tradizioni, e che anzi ha già compiuto il suo passaggio da Web Series a Web Tv e comincia con l’alluce a saggiare le acque della Global Television. La novità sta in produzioni che hanno l’aria familiare di una serata tra amici cialtroni, erba e coca-cola, accanto a colossal della portata di True Detective, meth e predicatori. Entrambe sostenute da gruppi con a disposizione diversi milioni di dollari e senza alcuna paura di sbagliare il mezzo: basta coprirli tutti. Continuiamo a chiamarla televisione, sia chiaro, ma teniamo in mente che è tanto tempo che non passa più solo per la Tv.