Donato Bruno non ce l’ha fatta. Di nuovo. Il senatore di Forza Italia, cresciuto alla corte di Cesare Previti e fidato di Silvio Berlusconi, se come avvocato civilista non ne sbagliava una, ora, dopo la 14esima fumata nera in Parlamento, vede ormai diminuire le sue speranze di diventare giudice della Consulta. Era un sogno, è diventato un incubo. Anche se nulla è ancora deciso. Lo chiamano anche “The Voice” perché quando parla ricorda il radiocronista sportivo Sandro Ciotti. Ma Bruno, nato nel 1948 a Noci, nella ricca provincia di Bari, cittadina di meno di 20mila abitanti, senatore di Forza Italia, rischia di passare alla storia come il giudice costituzionale “mancato” per eccellenza. Da una vita al fianco di Silvio Berlusconi, sin dalla fine degli anni ’70, tra operazioni immobiliari e Fininvest, lavoratore indefesso, parlamentare “modello” (oltre a vantare uno degli studi legali di diritto civile più importanti a Roma, nella scorsa legislatura era tra i deputati più presenti a Montecitorio, ndr), anima riformista e bipartisan, Bruno potrebbe essere definito un soldato. Lontano dai riflettori come i classici ultras berlusconiani, ma sempre impegnato in prima linea da più di trent’anni a difendere il Cavaliere, su ogni fronte giudiziario.
Non è mai stato il suo avvocato come Gaetano Pecorella o Niccolò Ghedini, ma nelle grandi operazioni mediatiche contro la magistratura, in particolare quella milanese, “The Voice” è sempre stato in prima linea nella difesa del Capo. Come nel 1998, quando si scagliò con un’interrogazione al ministro di Grazia e Giustizia contro Francesco Saverio Borrelli, allora capo del Palazzaccio meneghino per un prolungamento d’indagine sul Lodo Mondadori. «L’accanimento giudiziario del Pool milanese nei confronti di Silvio Berlusconi» scriveva Bruno «e del suo movimento è evidente e ricavabile da dati oggettivi, nonché ormai riconosciuto da pressoché tutti gli osservatori». Ne nacque uno screzio con Giovanni Maria Flick, all’epoca Guardasigilli. E lo “squalo” non si astenne dalle critiche. «Lei è stato difensore di De Benedetti – gli ricordò Bruno -. Non vorrei che, al sospetto che qualcuno ha per quella che è stata la sua attività professionale precedente, si possa aggiungere oggi un suo comportamento appiattito nei confronti del Pool…».
Nemico acerrimo di Nichi Vendola, che accusò di aver imbrogliato per entrare in Parlamento a metà degli anni ’90, tra i parlamentari più ricchi secondo le ultime dichirazione dei redditi, quasi 2 milioni di euro («Sono favorevole a questa trasparenza. È giusto che tutti sappiano come sta messo un rappresentante eletto» spiegò), di strada ne ha fatta tanta per arrivare alla Consulta questo avvocato pugliese che è stato per tanti anni presidente della Commissione Affari Costituzionali. Non è bastato. Ci provò già nel 2008 a entrare nell’élite delle toghe, ma il suo nome saltò per fare spazio a Giuseppe Frigo. Bruno non se la prese. Ha aspettato il suo momento. Ha continuato a tessere una tela di conoscenze profonde anche nel centrosinistra. Negli ultimi giorni è stato tirato in ballo nel fallimento della Ittierre di Isernia. Il Fatto Quotidiano ha pubblicato la notizia di un’inchiesta giudiziaria che al momento resta avvolta dal mistero. Lui ha chiesto spiegazioni, nei prossimi giorni potrebbe recarsi a Isernia per verificare la sua posizione. Intanto i dubbi, soprattutto all’interno del Partito democratico, hanno imposto una frenata alla sua candidatura alla Consulta.
Per tanti anni socio di un altro noto avvocato alla corte di Berlusconi come Cesare Previti, a Montecitorio si narra che in questi anni sia diventato molto amico di Umberto Ranieri, storico esponente del Pci napoletano, ora nel Pd, da sempre vicino al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Doveva essere questa l’arma vincente per sbaragliare la concorrenza di Antonio Catricalà, candidato molto vicino a Gianni Letta, costretto a ritirarsi dalla competizione per la Consulta. Non è bastato neppure questo. Per Bruno e Violante – personalità designata dai dem – se ne riparlerà la prossima settimana. Il Parlamento in seduta comune tornerà a votare il 30 settembre. Sette giorni in cui i maggiori partiti dovranno decidere se confermare le due candidatura. E al momento non è ancora sicuro che Forza Italia continui a puntare sul suo uomo.
Eppure in questi giorni è stato proprio Berlusconi, in accordo con Renzi, a chiedere via sms a tutti i parlamentari di votare per il senatore pugliese e per Luciano Violante. Bruno è molto amico di Letta senior. Nel 2009 partecipò a una cena a casa di Luigi Mazzella, altro giudice costituzionalista, insieme con Berlusconi, Angelino Alfano, lo stesso Letta, Paolo Maria Napolitano (un altro giudice della Consulta, ndr) e Carlo Maria Vizzini. Il piatto forte del banchetto era il Lodo Alfano che avrebbe dovuto difendere il Cavaliere dagli attacchi «dei giudici comunisti». Ne nacque un putiferio, ma di Bruno non si accorse nessuno. Scaltro, intelligente, mai fuori posto, lo definisce chi lo conosce, quest’anno si è ritrovato in casa la grana del figlio Nicola, anche lui avvocato, finito nelle indagini della procura capitolina sul giro di baby squillo. The Voice ha difeso il giovane pargolo 35enne: «Al mio paese si dice «male non fare e paura non avere» scrisse in una nota.
Non è falco, non è colomba. Bruno è Bruno. Nel 2006 diventò avvocato di Stefano Ricucci, fresco di estate dei furbetti del quartierino. The Voice arrivò allo “scalatore” di Bnl-Unipol grazie a Previti, vicino di casa di Ricucci all’Argentario. Per l’immobiliarista romano andò più che bene. Pur essendo uno della vecchia guardia berlusconiana, quella per intenderci dei Vittorio Dotti e appunto Previti, in questi anni è rimasto spesso in disparte, lavorando nell’ombra, ma ha guadagnato la stima di Denis Verdini, il guardiano del patto del Nazareno tra Berlusconi e Renzi.