C’è una guerra senza esclusione di colpi dentro l’Eni, il colosso petrolifero italiano travolto nelle ultime settimane dalle inchieste della Procura di Milano. Gli strascichi delle indagini per l’affaire Nigeria sul nuovo amministratore delegato Claudio Descalzi stanno creando non pochi malumori e tensioni nell’azienda pubblica più importante d’Italia. E con le polemiche sono ricominciati a scorrere i veleni, scomparsi appena cinque mesi fa, quando il premier Matteo Renzi nominò il nuovo numero uno del cane a sei zampe. Eppure, nonostante la fiducia del premier dei giorni scorsi («Felice di aver scelto Descalzi. Aspetto le sentenze») la situazione è così instabile che c’è chi sostiene che lo stesso nuovo numero uno potrebbe lasciare, nonostante non sia stato rinviato a giudizio. Ipotesi che cozzano di sicuro con la volontà del presidente del Consiglio, ad appena cinque mesi dalle nomine pubbliche.
Sono voci non confermate, ma che danno la tara sulla situazione interna. Gli spifferi sono tornati a circolare. È un momento così difficile che in queste ore sono ricominciati a circolare i nomi di possibili successori. Si fa il nome di Andrea Guerra (uno dei soci de Linkiesta, ndr), l’ex amministratore delegato di Luxottica, stimato da Renzi e già nell’orbita Eni a maggio. Oppure quello di Lorenzo Maugeri, l’americano, ex manager Eni, anche lui tra i papabili di primavera. C’è poi un terzo nome, quello di Carlo Malacarne, presidente di Snam. Qualcuno azzarda persino il nome di Franco Bernabè, come «commissario», data l’esperienza avuto in passato nell’azienda. «Ma è difficile che Descalzi non finisca il mandato, bisognerà vedere che decisioni prenderà il consiglio di amministrazione nei prossimi mesi…» spiega un fonte che conosce bene gli assetti interni.
La guerra senza esclusione di colpi si consuma in queste ore tra la vecchia guardia di uomini vicini all’ex amministratore delegato Paolo Scaroni, ancora presenti nel management del gruppo, e lo stesso Descalzi. È una battaglia in parte trapelata in questi giorni giorni sui giornali. Prima un’intervista del neo amministratore delegato alla Repubblica («All’Eni decideva tutto Scaroni»). Poi la rettifica sempre sul giornale del gruppo di De Benedetti («Non è vero che non parlo con Scaroni»). Quindi le parole di fuoco del faccendiere Luigi Bisignani sul Fatto Quotidiano («Da Descalzi lacrime di coccodrillo»). È un ritratto a tinte fosche, una telenovela (copyright Nicola Porro sul Giornale), che più che toccare i guai giudiziari, riguarda da vicino gli assetti interni di San Donato come quelli strategici del cane a sei zampe. Francesco Manacorda, vicedirettore della Stampa, ha tratteggiato lunedì 22 settembre quelle che sembrano le strategie della nuova gestione. Il punto importante è uno: Descalzi vuole spostare l’asse dalla direttrice Est-Ovest a quella Nord-Sud, «cioè ridurre drasticamente i rapporti con la Russia per stringere sempre di più i rapporti con i Paesi africa e nell’area del Mediterraneo».
Non è di certo facile portare avanti un piano così innovativo, dopo quasi nove anni di potere scaroniano, incentrato anche sull’intreccio di rapporti tra il presidente russo Vladimir Putin e l’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Per questo motivo il clima dentro Eni sta diventando incandescente. Perché passa da una ristrutturazione interna che Descalzi, a quanto si mormora, avrebbe voluto fare già nei mesi passati e che ora avrebbe deciso di accelerare. Certo, appena arrivato il nuovo amministratore delegato ha modificato gli assetti, trasformando le divisioni dell’Eni in semplici unità di business puntando per un accentramento dei poteri. Ma non tutto è stato modificato alla radice. A rischiare potrebbero essere anche gli uomini cresciuti alla corte di Scaroni e ancora nell’organigramma del cane a sei zampe.