Requisiti di ammissione: cittadinanza italiana o in uno degli Stati membri dell’Unione europea. È quello che chiede il ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca nell’ultimo bando di assunzione del personale ausiliario, tecnico e amministrativo delle scuole (Ata) del 5 settembre 2014, ignorando del tutto le modifiche sull’accesso al pubblico impiego previste dalla “legge europea 2013” (la numero 97 del 6 agosto 2013, la legge con cui l’Italia adegua la propria normativa agli obblighi comunitari), che invece apre le graduatorie della pubblica amministrazione anche agli extracomunitari senza cittadinanza italiana. E non è l’unico caso: secondo l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, Asgi, che monitora i bandi di assunzione nella pa, molte amministrazioni pubbliche – statali, regionali e locali – non si conformano alle nuove norme, continuando a prevedere tra i requisiti di accesso quello della cittadinanza italiana o comunitaria. «Si tratta del mancato aggiornamento dei modelli dei bandi pubblici», spiegano dall’Asgi, «siamo quindi di fronte a ignoranza della legge che genera discriminazioni e che non è giustificabile, visto che la nuova legge risale al 2013».
La legge europea 2013, all’articolo 7, prevede l’accesso ai posti di lavoro della pa – che non implichino esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri – anche alle categorie di cittadini di Stati terzi non membri dell’Ue con permesso di soggiorno Ce o titolari dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria, e anche ai «familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente». Queste regole rappresentano oltre il 60% degli stranieri extracomunitari regolarmente soggiornanti in Italia, ai quali si aggiungono i cittadini degli Stati membri dell’Ue (circa 1,5 milioni oggi in Italia) che dal 1994 hanno diritto di accedere al pubblico impiego.
La grande maggioranza degli stranieri regolari può già accedere alla gran parte dei posti del pubblico impiego. Ma il decreto 717 del 5 settembre 2014 del ministero dell’Istruzione per l’assunzione del nuovo personale Ata sembra non saperlo. All’articolo 3, tra i “Requisiti generali di ammissione”, è scritto nero su bianco: «a) cittadinanza italiana (sono equiparati ai cittadini gli italiani non appartenenti alla Repubblica), ovvero cittadinanza di uno degli Stati membri dell’Unione Europea».
(Tratto dal decreto 717 del 5 settembre 2014 del ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca)
Il bando, che riguarda lavori che vanno dai cuochi delle mense ai bidelli fino ai segretari, prevede che le domande debbano essere presentate entro mercoledì 8 ottobre. Il 15 settembre scorso l’Asgi ha inviato una lettera al ministero dell’Istruzione chiedendo che vengano modificati i requisiti per essere ammessi nelle graduatorie con l’eliminazione della clausola della cittadinanza italiana o Ue, e che venga posticipata la data ultima di presentazione della domanda per dare ai cittadini stranieri la possibilità di partecipazione alle stesse condizioni di quelli italiani e di altri Stati membri dell’Ue. «Abbiamo contattato diversi uffici del Miur», raccontano dall’Asgi, «ma ancora non abbiamo ricevuto alcun riscontro».
Ma quello del Miur non è l’unico caso. Di bandi errati, e quindi discriminatori, ce ne sono di tutti i tipi. E si distinguono in varie categorie: quelli (come quello del Miur) che prevedono tra i requisiti la cittadinanza italiana o comunitaria, e quelli che usano la formula «cittadini italiani o di uno Stato membro dell’Unione europea o equiparati». Una formulazione, spiegano da Asgi, «che è innanzitutto tecnicamente errata perché non si tratta di una equiparazione ma di un diritto autonomo degli stranieri, e in più non risponde ai canoni di trasparenza dell’azione pubblica», costringendo gli stranieri a districarsi nel burocratese per capire se rientrano nella categoria degli “equiparati” o no. Ma ci sono formule ancora più oscure come: «Cittadinanza italiana o di uno Stato memebro dell’Ue ovvero titolarità di diritti e/o condizioni di cui all’articolo 38 D. lgs 165/01 e s.m.i». Per evitare discriminazioni, o semplicemente scoraggiamenti, basterebbe una formula chiara e identica per tutte le amministrazioni da indicare nei bandi di ammissione del personale del pubblico impiego, suggeriscono dall’Asgi.
Uno degli ultimi bandi segnalati dall’associazione riguarda l’offerta di posti di lavoro per operatori sociosanitari in una casa di riposo di Schio, in provincia di Vicenza, che inserisce tra i requisiti richiesti quello della cittadinanza italiana o comunitaria. In questi casi, spiegano da Asgi, «inviamo una lettera chiedendo una modifica del bando. Nel caso in cui non venga apportata alcuna modifica, si passa alla azione giudiziaria per discriminazione facendo valere il diritto del singolo cittadino straniero escluso dal bando del concorso, o si può addirittura ipotizzare discriminazione per scoraggiamento». Ma c’è anche il caso delle licenze dei taxi del Comune di Milano che – in base al “Regolamento per il servizio pubblico delle autovetture da piazza” – sono aperte solo ai cittadini italiani, e i legali dell’Asgi hanno chiesto al consiglio comunale di modificare subito «la norma illegittima». La stessa cosa vale per il bando del ministero dell’Istruzione.
(Requisiti per l’assegnazione delle licenze dei taxi approvate dal Comune di Milano nel 2000)
Prima delle legge europea 2013, in Italia non è mai stato del tutto chiaro se lo straniero potesse accedere ai concorsi pubblici o no. Agli stranieri, davanti alla galassia delle norme varate in attuazione delle direttive comunitarie, non restava altro che impugnare davanti al giudice i bandi di concorso che avevano come requisito la cittadinanza italiana, chiedendo che venisse riconosciuto il carattere discriminatorio. Valeva, ad esempio, soprattutto nell’accesso al trasporto pubblico locale, dove vigeva ancora un regio decreto in vigore dal 1931, abrogato definitivamente solo dal 6 aprile 2014. La maggior parte delle aziende dei trasporti negli anni scorsi ha continuato a escludere gli extracomunitari dalle assunzioni, finché qualcuno non faceva ricorso. Nonostante i giudici dessero quasi sempre ragione al ricorrente grazie a diverse espressioni della Corte Costituzionale, nel 2013 la legge europea ha fatto chiarezza in materia, includendo tutto il pubblico impiego. Ma, a quanto pare, non dalle parti del ministero dell’Istruzione.